Dalla storia della refrigerazione nella filiera della carne, all’importanza del macello come osservatorio epidemiologico e di benessere degli animali da reddito, per passare da alcune patologia di grande importanza per la sanità animale (PSA) e quella pubblica (T. gondii) in un workshop della SISVet.

In occasione del 77° Congresso1 annuale SISVet (Società Italiana delle Scienze Veterinarie) si è tenuto un workshop sulla filiera delle carni che ne ha approfondito tematiche di storia, tradizione e innovazione, moderato da Ugo Dalla Marta (Ministero della Salute) Adriana Ianieri (Università degli Studi di Parma) e Luciano Pinotti (Università degli Studi di Milano).

Paolo De Castro, membro della Commissione agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo e professore dell’Università degli Studi di Bologna, ha sottolineato come l’agroalimentare e il settore delle carni rappresentino un anello fondamentale per la nostra economia sia per l’indotto che garantiscono, che in termini di posti di lavoro e per il ruolo indispensabile all’equilibrio dell’ambiente e delle risorse agricole e zootecniche.

Purtroppo, questo sistema viene sempre più frequentemente minacciato da una controinformazione dilagante, ne è un esempio il tentativo di far passare gli allevamenti come fonte di inquinamento alla stregua delle emissioni gassose industriali.

Carni e refrigerazione

Ivo Zoccarato (Università degli Studi di Torino) è tesoriere dell’Associazione Italiana di Storia della Medicina Veterinaria e della Mascalcia. Nel suo intervento ha narrato la storia dello sviluppo della refrigerazione artificiale e il suo ruolo nel commercio delle carni tra il XIX e il XX secolo, quando nacque la necessità di sviluppare un’industria del freddo in seguito al progressivo inurbamento e alla conseguente delocalizzazione delle produzioni.

L’industria del freddo si sviluppa inizialmente nel contesto dell’industria della macellazione nei pressi di Chicago a metà 1800, con testualmente allo sviluppo della rete ferroviaria e alla nascita dei primi veicoli refrigerati. Prima di allora la carne “fresca” era disponibile solo attraverso macelli locali e i metodi di conservazione erano rappresentati da essicazione, affumicatura, salatura a secco o in salamoia.

I primi carri refrigerati venivano riempiti con ghiaccio “invernale” formatosi naturalmente dalla congelazione di stagni, pozze alpine o fossati di pianura e raccolto durante l’inverno in speciali ghiacciaie.

Il primo battello per il trasporto transoceanico delle carni fu varato con il nome di Eboe nel dicembre 1869 a Liverpool. Nel 1875 fu acquistato dalla Société pour le Transport de la Viande Fraiche di Rouen e ribattezzato Frigorifique.

Le celle frigorifere (-2 °C), con macchine refrigeranti a etere metilico, dovevano essere isolate dalle sale macchine (40 °C). Allo scopo, Charles Tellier (ingegnere francese) realizzò una doppia parete di abete riempita con dieci centimetri di sughero macinato e paglia di grano falciato e non trebbiato. In questo modo, la paglia manteneva la sua forma tubolare e ogni stelo rappresentava un piccolo serbatoio d’aria: un eccellente isolante elementare. Tellier può quindi essere considerato le père du froid” (il padre del freddo).

In Italia, l’industria del freddo compare tardivamente rispetto a Stati Uniti ed altri Paesi europei, ma nonostante la presenza di impianti di macellazione datati, ebbe un grande impulso in seguito all’aumento dei prezzi della carne. Una delle prime camere frigorifere di Torino fu installata intorno al 1888 in uno spaccio di carni macellate: utilizzava 800 kg di ghiaccio per la prima carica e occorrevano poi 60 kg al giorno per sostituire il ghiaccio che andava sciogliendosi. Poteva contenere fino a 3 capi di media mole.

All’inizio del 1900 si contavano 350 battelli frigoriferi, che trasportavano circa 9 milioni di carcasse da Argentina, Australia e Nuova Zelanda.

La bontà delle carni conservate col freddo, oltre che da un’azione del freddo stesso che ne affina le proprietà, riescono migliori pel fatto che derivano da animali sacrificati in buone condizioni di riposo e di nutrizione, mentre le carni fresche sono date generalmente da animali che hanno subito le conseguenze dannose di lunghi viaggi e di non poche privazioni.

Mancini, 1904.

Nel 1925 il consumo pro capite annuo di carne bovina si attestava sui 9,1 kg, di cui 3,3 kg di carne congelata. Solo negli anni ’30 il frigorifero comincia a comparire nelle case degli italiani.

Valutazione di salute e benessere: il ruolo del macello nella filiera della carne

Giovanni Loris Alborali (IZSLER), ha voluto sottolineare l’importanza del macello come luogo in cui è possibile effettuare una valutazione della salute e del benessere animale basata sulla categorizzazione del rischio in allevamento.

Classyfarm è un approccio integrato alla Salute pubblica veterinaria che raccoglie i dati da banche dati nazionali, controlli ufficiali, autocontrollo e analisi di laboratorio. Le aree di valutazione del rischio sono rappresentate da benessere animale, biosicurezza, parametri produttivi, consumo di antibiotico, antibiotico-resistenza e lesioni monitorate al macello.

Le check-list di Classyfarm in autocontrollo sono compilate dal veterinario aziendale e si tratta di misure basate sulle risorse riguardanti gestione e personale aziendale, strutture e ambiente, piani d’emergenza e sistemi di allerta, mentre le check-list nell’ambito dei controlli ufficiali sono stilate dall’autorità competente e sono misurazioni basate sull’animale. Si tratta di indicatori, che possono essere misurati direttamente sull’animale o indirettamente attraverso la raccolta di dati in azienda, correlati alle esperienze dell’animale e della sua capacità di far fronte all’ambiente circostante. Due tipi di indicatori, quindi, ma un unico sistema di valutazione.

In un allevamento di suini, le valutazioni sull’animale comprendono elementi come BCS, zoppie, pulizia, lesioni cutanee, malattie enteriche, morsicature della coda, tasso di mortalità e altri ancora.

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© Dusan Petkovic – shutterstock.com

Il macello può essere sfruttato come un eccellente osservatorio epidemiologico, con il vantaggio, rispetto alle valutazioni compiute in allevamento, di ridurre i costi e i rischi per la biosicurezza, di consentire l’osservazione di un elevato numero di maiali e di diverse aziende al giorno, di avere una visibilità migliore per certi indici e di poter effettuare valutazioni post-mortem. Dal macello si possono inviare feedback ad allevatori e veterinari, si possono compiere studi epidemiologici, effettuare l’analisi comparative delle aziende e pianificare i controlli ufficiali basati sul rischio.

Indipendentemente dalla sicurezza alimentare, il veterinario ispettore ufficiale fornisce i dati sulla salute e sul benessere animale durante la visita ante-mortem, registrando presenza di sporcizia sugli animali o anomalie cliniche e comportamentali negli animali in vita e durante la visita post-mortem, annotando rilievi anatomo- patologici in organi e carcasse.

Purtroppo, vi è una mancanza assoluta di un sistema di codici condivisi e standardizzati a livello nazionale, che consentirebbe, oltre alla registrazione, anche l’aggregazione e l’utilizzo di questi dati. La valutazione di misure effettuate in macello, infatti, richiede un sistema a punteggio che sia semplice, condiviso, validato, oggettivo e standardizzato, nonché idoneo alle velocità della linea di macellazione.

Nei macelli di suini, queste misurazioni sono, per quanto riguarda il benessere, lesioni cutanee (graffi, morsi o ferite) correlate ad aggressioni, a strutture di allevamento non idonee o a maneggiamenti troppo violenti; lesioni a carico della coda: morsicature da ascriversi ad anomalie comportamentali che hanno un’origine multifattoriale (stress, ambiente, affollamento, arricchimento ambientale, trasporto); lesioni auricolari, indice di aggressione; eventuale presenza di ascessi paravertebrali. Per quanto riguarda lo stato di salute, si valutano le lesioni a livello di polmoni, pleura e fegato.

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© Dusan Petkovic – shutterstock.com

Riuscire a produrre un sistema a punteggio che tenga conto di tutti questi elementi è piuttosto difficile per l’operatore a causa dell’alta velocità delle linee di macellazione, del lavoro e del tempo da impiegare e per la scarsa oggettività insita nei giudizi dell’essere umano. La tecnologia, tuttavia, offre un aiuto con la computer vision, che consente una valutazione visiva in continuo, oggettiva, standardizzata e in tempo reale, e la raccolta di dati accessibili e condivisibili. Questo è l’ambito di azione di un progetto pilota che vede la collaborazione dell’Università di Parma, dell’Università degli Studi di Milano e dell’IZSLER, finanziato e promosso dal Ministero della Salute.

Il progetto ha lo scopo di sviluppare un modello basato sull’intelligenza artificiale per la valutazione automatizzata in macello di indicatori su carcasse e organi di suini. Il primo passo è quello di insegnare, all’intelligenza artificiale, l’anatomia del polmone sano e cosa deve essere rilevato come lesione, mentre nella seconda fase il sistema verrà trasferito in campo.

La sfida della PSA

Secondo Davide Calderone, direttore di ASSICA (Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi), per evitare il tracollo, a causa della peste suina africana, di una filiera che vale intorno ai 20 miliardi di euro e conta su un export che ne vale all’incirca due, servono azioni rapide e un piano di contrasto efficace. È quindi necessario che il Governo doti il Commissario e la task force deputata dei necessari poteri di azione e dei finanziamenti adeguati, perché l’unica possibilità di fermare l’allargamento delle zone di contagio è porre adeguati correttivi sul piano delle recinzioni e di contenimento.

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© Dmytro Stoliarenko – shutterstock.com

È inutile, infatti, depopolare senza aver prima installato le recinzioni di contenimento laddove vengano individuate delle falle. Inoltre, è importante difendere aziende, occupati, filiere del Made in Italy, prodotti che rappresentano la tradizione dei diversi territori. Oltre ai divieti all’esportazione che alcuni Paesi come il Giappone hanno decretato all’epoca della prima comparsa della malattia, a gennaio 2022, si sono aggiunte le restrizioni imposte dal Canada e dagli Stati Uniti sui salumi a breve stagionatura.

Toxoplasma gondii nelle carni

La prof.ssa Laura Kramer, responsabile dell’Unità Operativa di Parassitologia e Malattie Parassitarie dell’Ospedale veterinario universitario didattico di Parma, si è occupata, nella sua relazione, della valutazione del rischio derivante dalla presenza di Toxoplasma gondii nelle carni.

In Europa, T. gondii è al secondo posto tra i parassiti di origine alimentare e l’infezione cronica da cisti tissutali di T. gondii può predisporre a malattie neurologiche. Sebbene, il consumo di carne infetta, cruda o poco cotta, sia considerato un importante fattore di rischio per l’uomo, soprattutto in Europa, dove è stato associato al 30-63% delle infezioni, non esistono normative specifiche, né metodi standardizzati per la rilevazione del parassita nei prodotti alimentari.

L’attuale prevalenza dell’infezione negli animali da carne varia in funzione della presenza di gatti negli allevamenti, delle dimensioni dell’allevamento, della posizione geografica e conseguente area climatica, della tipologia e del management. Le carni di suino e ovino sono le principali fonti di infezione. Riguardo agli ovini è stato riportato che la trasmissione verticale endogena, quindi in gravidanze successive all’infezione primaria, è probabilmente la norma. I suini sono altamente recettivi all’infezione, ma in questi animali la trasmissione congenita è bassa.

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© Tetiana Chernykova – shutterstock.com

In ogni caso, la prevalenza è fortemente influenzata dalla tipologia di allevamento. Infatti, gli interventi mirati a ridurre il numero di gatti e a proteggere gli alimenti da contaminazione hanno mostrato una riduzione della sieroprevalenza statisticamente significativa, mentre il controllo dei roditori non ha portato ad una riduzione significativa.

Per quanto riguarda la carne di bovino, la persistenza di cisti tissutali di T. gondii non è la norma e, quando presenti, normalmente in animali giovani, interessano prevalentemente fegato e linfonodi mesenterici. Per questa ragione, il ruolo della carne bovina nella trasmissione di T. gondii sembra essere poco rilevante. Nonostante siano stati trovati anticorpi contro T. gondii nei bovini in numerose indagini in tutto il mondo, Italia compresa, si ipotizza una mancanza di correlazione tra la presenza di anticorpi e il rilevamento di cisti tissutali.

Il ruolo della carne di cavallo non è ancora così chiaro, in quanto si sa poco della correlazione tra sieropositività e la presenza di cisti tissutali. Tuttavia, uno studio indica i ceppi di T. gondii di origine brasiliana come più virulenti, mettendo in guardia contro il consumo di carni di cavalli provenienti dal Sud America.

Molto scarsi risultano essere i piani di controllo. Un esempio di piano di monitoraggio per la toxoplasmosi è Toxocamp, un piano regionale della Campania. Tale progetto prevede analisi sierologiche di allevamenti ovini, capre, bovini e bufali, analisi sierologiche e copromicroscopici dei gatti presenti negli allevamenti positivi, analisi sierologiche e molecolari in sede di macellazione, registri delle dimissioni ospedaliere. Inoltre, sono previste attività di formazione presso scuole, allevatori, veterinari.

Secondo l’analisi dei fattori di rischio, particolare attenzione dovrebbe essere posta all’adozione di misure e procedure igieniche negli allevamenti, ad esempio, tenendo gli animali al chiuso, negando l’accesso ai gatti nei luoghi di conservazione degli alimenti, controllando i roditori e altri parassiti animali e fornendo acqua potabile pulita agli animali. Inoltre, i potenziali interventi in azienda per controllare T. gondii dovrebbero includere la vaccinazione delle pecore.

In conclusione, sebbene T. gondii venga riconosciuto come uno dei più importanti agenti di zoonosi food-borne, e nonostante l’evidente contributo della carne nella trasmissione all’uomo, non esistono normative specifiche riguardante il controllo di questo parassita nella carne e nessuno dei metodi di laboratorio attualmente disponibili è sufficientemente specifico o sensibile per identificare le singole carcasse infette o infettanti. Per superare queste sfide e ottenere il controllo di T. gondii nella filiera della carne è necessario un approccio basato sulla categorizzazione del rischio negli allevamenti, seguito eventualmente da interventi mirati, e sulla formazione del consumatore.

  1. 13/6/2024, Parma: “The meat supply chain betweeen history, tradition and innovation”. Workshop nell’ambito del 77° Congresso SISVet. ↩︎

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