L’alloggiamento del vitello in gabbiette singole sta conoscendo le sue ultime stagioni e dovrà essere sostituito con altre soluzioni. Non è il solo punto di dubbio sul futuro prossimo della vitellaia e su come dovrà essere organizzata, perché un altro fattore di non poco conto, su cui ancora non c’è certezza solo per tempi e modi, è la permanenza del vitello con la madre per alcuni giorni dopo il parto.
Di questo si è parlato in due appuntamenti tenutisi nel dicembre scorso: la prima iniziativa è stata un convegno svoltosi presso la sede del Consorzio del Parmigiano Reggiano a Reggio Emilia, la successiva un convegno dell’Università di Milano e del CRPA dove sono stati presentati i risultati finali di una prova sperimentale per verificare in condizioni di campo le differenze registrate in vitelli che avessero vissuto le prime settimane in box singoli o in coppia.
Vitellaia: tema cruciale per tutta la filiera del latte
Partiamo dal primo evento, svoltosi il 6 dicembre scorso. Che la gestione della vitellaia richieda attenzioni nuove – ha ricordato Gaetano Cappelli, responsabile del Servizio di Produzione primaria Parmigiano Reggiano – è di mostrato dai dati critici che arrivano da questa fase di allevamento, con un impatto sulla redditività dell’intera stalla e sul suo consumo complessi vo di antibiotici.
Alle sfide classiche si aggiungono ora, per tutta la filiera del latte e della sua trasformazione, quelle poste dalle nuove indicazioni provenienti dall’Europa riguardanti l’allevamento in gruppo dei vitelli fin dai primissimi giorni di vita e il contatto madre-vitello dopo la nascita.
Attenzione a vitelli e vitellaia (lavorando già sulle bovine in asciutta)
Ancora non ci sono indicazioni vincolanti, ma è solo una questione di tempo; quindi meglio cominciare a ragionarci su per capire come questo nuovo approccio possa essere inserito in una routine gestionale consolidata e in stalle (la maggioranza) già al limite come spazi e suddivisioni della mandria.
Lo ha ricordato il prof. Paolo Moroni (Università di Milano), primo relatore del convegno di Reggio Emilia, inquadrando la situazione. Moroni ha più volte sottolineato la necessità di guardare alla vitellaia come a un settore strategico non solo per la stalla, ma per tutta la filiera del latte: le richieste del consumatore in termini di benessere, sostenibilità, basso consumo di antibiotici può essere soddisfatta solo se alla base della filiera del latte ci sono stalle in cui le bovine sono sane, e questo dipende in larga misura proprio da come si svolge l’allevamento nelle primissime settimane di vita, che influenza molto di quello che sarà la carriera della bovina, per produzioni, sanità e durata in stalla.
E poi non va trascurato un dettaglio: il consumatore ha una particolare attenzione all’allevamento del vitello, quel che accade in vitellaia è argomento sensibile.
Infine, ci sono le nuove disposizioni europee che porranno sfide impegnative e di non facile soluzione. È il caso – ha sottolineato il prof. Moroni – dell’allevamento dei vitelli in gruppo (pratica che renderà sicuramente complicata la gestione delle infezioni e la prevenzione dei contagi), oppure del dovere di assicurare per un certo numero di giorni il contatto vacca-vitello prima della separazione, che richiederà altri spazi da dedicare a questa nuova fase dell’allevamento e complicazioni gestionali.
Temi su cui il relatore ha invitato a riflettere per sperimentare soluzioni pratiche a misura delle stalle italiane, recuperando dati e indicazioni utili a orientare il dibattito in corso, evidenziando anche eventuali effetti negativi di certe interpretazioni (è il caso dello stress per il vitello in seguito alla separazione dalla madre che aumenta con l’aumentare del periodo di contatto con essa) e proporre soluzioni più praticabili per le nostre realtà, contrastando una prassi consolidata che vede il passaggio dalla raccomandazione europea alla norma vincolante basandosi su sensibilità e dati del Nord Europa, realtà da latte assolutamente non paragonabili alle nostre.
Moroni ha quindi ricordato come le attenzioni sul vitello debbano in iniziare ancora prima che nasca, con la difesa dallo stress da caldo delle bovine in asciutta, per gli effetti negativi che questo ha sulla vitella: immediatamente dopo il parto, nelle prime settimane di vita e anche nel proseguo della carriera, con minori produzioni e maggiore incidenza delle malattie. Il relatore ha quindi ripreso il concetto di spazio, fattore critico anche in vitellaia per le densità elevate spesso presenti e ha parlato quindi di colostratura.
L’equilibrio prezioso tra fattori in una vitellaia che funziona
Sulla colostratura ha proseguito la dott.ssa Sabrina Bertani, veterinaria specializzata nell’allevamento del vitello. La relatrice ha sottolineato come la vitellaia rappresenti da sola il 20% dei costi totali di un’azienda da latte e come il 23% delle vitelle nate non arrivi al primo parto. Ancora, il 39% delle perdite si ha nelle prime 24 ore e un altro 36% entro lo svezzamento.
Se questi sono i numeri e le percentuali è anche perché tutta la fase di colostratura presenta punti critici da individuare e migliorare. Il vitello, che nasce privo di immunoglobuline materne, deve ricevere colostro nelle primissime ore di vita e in quantità elevata. La relatrice ha ricordato i pericoli connessi al somministrare un colostro di bassa qualità, non solo per una ridotta presenza di immunoglobuline, ma anche per contaminazioni microbiche che ne riducono l’efficacia una volta somministrato.
La dott.ssa Bertani ha poi sottolineato un altro aspetto importante del colostro, non sempre valutato nella sua interezza: cioè che, oltre alle immunoglobuline, apporta sostanze bioattive particolarmente necessarie per stimolare un migliore sviluppo della mucosa intestinale.
Un controllo attento della qualità del colostro (tenore in immunoglobuline, assenza di contaminazioni in fase di prelievo, igienicità delle fasi di conservazione e utilizzo), un monitoraggio dell’entità del trasferimento di immunoglobuline mediante prelievi sul vitello sono pratiche centrali in una buona routine della colostratura, con l’obiettivo di avere, anche grazie a questa pratica, vitellaie dove i rischi di diarree neonatali prima e sindromi respiratorie dopo impattano meno e sono più facilmente gestibili.
Con una sottolineatura finale, Sabrina Bertani ha avvertito che le perdite in vitellaia sono sempre dovute alla rottura di un equilibrio, tra personale addetto, strutture, gestione del colostro, dell’alimento, dell’acqua, di temperature e ventilazione, igiene, agenti patogeni e difese immunitarie degli animali. Individuare ciò che ha portato al disequilibrio è la via obbligata per la soluzione del problema.
Una prova di campo per verificare l’allevamento in coppia
Il secondo appuntamento dedicato ai vitelli ha trattato, l’11 dicembre scorso, il progetto Vitelli Cage-Free, finanziato dal PSR della Regione Lombardia indirizzato al tema della possibile eliminazione delle gabbie per la stabulazione dei vitelli nella fase di pre-svezzamento, come indicata nel Parere scientifico EFSA “Welfare of calves” del 2023. L’obiettivo del progetto è quello di individuare le migliori soluzioni, sostenibili anche economicamente, per supportare allevatori e consulenti nelle scelte stabulative per i vitelli in questa delicata fase della loro vita.
Coinvolti nel progetto l’azienda agricola Barbiselle srl di Persico Dosimo (CR), insieme al Dipartimento di Medicina Veterinaria e Scienze Animali dell’Università di Milano, la Fondazione CRPA Studi Ricerche di Reggio Emilia e la Società Agricola Dosso Pallavicino di Cicognolo (CR).
La parte iniziale del convegno, con la relazione delle docenti dell’Università di Milano Gaia Pesenti Rossi e di Elisabetta Canali, è stata dedicata alla presentazione dei risultati della prova, che ha avuto luogo in due periodi nelle due aziende citate: luglio-novembre 2023 e luglio-ottobre 2024.
Nell’azienda Barbiselle, dove la vitellaia è indoor con box a capannina scoperti, sono stati coinvolti due gruppi di vitelle (8 in box singoli e 8 allevate in box doppi); mentre nell’azienda Dosso Pallavicino sono state coinvolte 6 vitelle allevate in box singoli e altrettante in coppia. In questo caso la vitellaia è outdoor, con le classiche capannine tipo igloo. Il totale delle vitelle coinvolte è stato di 28, con un periodo di studio da 2 a 70 giorni di vita. Le vitelle in coppia erano nate al massimo con 24 ore di distanza.

Tutte avevano ricevuto un’adeguata colostratura e relativo trasferimento dell’immunità passiva. L’alimentazione prevedeva due pasti giornalieri a base di un milk replacer, oltre a mangime starter e fieno ad libitum. Tutte le prassi operative erano quelle comunemente adottate nelle due aziende per la gestione della vitellaia. Giornalmente venivano monitorati gli animali, con una check list e verificando i dati dell’accelerometro posizionato su ogni vitella. A intervalli regolari (2, 7, 21, 35, 56 e 70 giorni) è stato osservato il comportamento, misurato l’incremento ponderale e sono stati eseguiti i rilievi sanitari.
In coppia crescono di più
Partiamo con gli accrescimenti. La ricerca ha evidenziato superiori pesi finali e incrementi giornalieri per le vitelle allevate in coppia rispetto a quelle in box singolo, fatto più evidente nella vitellaia outdoor.

Riguardo al tempo di riposo e alle sue modalità, la ricerca ha mostrato dati sovrapponibili tra l’allevamento singolo e in coppia. Mediamente le vitelle riposavano 19-19,5 ore al giorno nella prima settimana di vita, scendendo a 15,5-16 ore a fine periodo, in entrambe le soluzioni. Nella coppia, dopo i primi giorni nei quali i soggetti si comportavano in modo indipendente tra loro, si è instaurata una sincronia nei tempi di riposo tra le due vitelle durante le 24 ore, indicatore questo – è stato sottolineato – di benessere positivo.

© L. Acerbis
Quanto ai dati sanitari, punto di caduta di tutte le perplessità legate all’abbandono dell’allevamento singolo, i dati della prova hanno smentito i timori: le vitelle allevate in coppia non hanno mostrato una maggiore incidenza di problematiche sanitarie rispetto a quelle allevate singolar mente.
Ovviamente quando un animale in coppia si è ammalato anche l’altro ha sviluppato la malattia, in particolare per le forme enteriche. Vediamo qualche numero. La principale problematica sanitaria è stata la diarrea neonatale, potenziata da condizioni di stress da caldo. Si sono avuti nel complesso 30 episodi di diarrea.

Anche nell’uso di antibiotico i dati dell’allevamento in coppia sono stati migliori: si è ricorso a terapia antibiotica su 9 vitelle allevate singolarmente (7 casi di diarrea e 3 forme respiratorie) e su 5 vitelle allevate in coppia (2 casi di onfaliti, 2 casi di diarrea e una forma respiratoria).

Serve più tempo e attenzione nella gestione della coppia
Tirando le somme, le due ricercatrici hanno sottolineato come l’allevamento in coppia sia fattibile, con crescita e incrementi giornalieri maggiori, tempi e modalità di riposo adeguati e un’incidenza di patologie simile alle vitelle stabulate individualmente e con un minore uso di antibiotico. Fattibile, quindi, ma considerando che richiede molta attenzione nella sua gestione rispetto all’allevamento singolo.
Da qui alcuni suggerimenti pratici. Ad esempio, l’allevamento in coppia può essere fatto dalla nascita, ma più importante è una buona colostratura e igiene mantenuto nel tempo, che deve essere considerato per insegnare ai vitelli a nutrirsi, per ovviare al rischio di un’alimentazione difforme nella coppia. Attenzione ad avere animali con ordine di nascita e peso simile.
Quanto al problema del cross-sucking, questo può verificarsi in coppia, ma è fortemente legato alla gestione alimentare e quindi può essere attenuato con quantità di latte adeguate, mangime starter e fieno a disposizione.
Vitelli in coppia: pro e contro
Nella relazione di Alessandro Gastaldo (CRPA di Reggio Emilia), è stato allargato il focus dell’attenzione alla valutazione costo/beneficio delle diverse possibilità a disposizione per andare oltre l’allevamento singolo. L’esposizione ha considerato l’allevamento in coppia, l’allevamento dei vitelli in coppia dopo una fase con la madre o con una balia e l’allevamento in gruppo dopo una fase in coppia.

Per ogni modalità si sono evidenziati pregi e difetti, arrivando alla conclusione che l’allevamento in coppia dei vitelli fino a 56 giorni sia la soluzione più semplice, la cui implementazione presenta il minor numero di controindicazioni tecniche ed economiche. Certo viene richiesta una maggiore presenza e attenzione, accuratezza nella gestione dell’alimentazione, per essere sicuri che entrambi gli animali assumano la giusta quantità di latte e non ci siano squilibri che conducono a problemi quali la suzione crociata, rischio da tenere sempre in considerazione nell’allevamento in coppia.
Gli aspetti sanitari della soluzione in coppia anche per Alessandro Gastaldo non sono una criticità, considerando che sempre più chiaramente emerge che la salute del vitello sia il risultato di un approccio multifattoriale che vede coinvolti tanti fattori, a partire dalla colostratura, fondamentale per ridurre al minimo la mortalità dei vitelli, specialmente nella fase perinatale.
Imparare a gestire sia la qualità che la quantità del colostro somministrato effettivamente ai vitelli aiuta anche a ridurre al minimo l’impiego degli antibiotici e ad abbandonare definitivamente ogni pratica metafilattica.