Le patologie del piede bovino rappresentano uno dei principali problemi di gestione della mandria in molti allevamenti. Si tratta di patologie multifattoriali che richiamano dunque un approccio multimodale se si spera di ottenere dei risultati soddisfacenti.
Fra i vari elementi su cui è possibile intervenire vi è anche la selezione genetica. In effetti, malgrado i valori di ereditabilità delle malattie podali siano piuttosto limitati, i moderni approcci statistici dei dati e l’avvento della genomica hanno permesso la creazione di indici precisi relativi alle patologie infettive come a quelle metaboliche/meccaniche che possono essere inseriti nelle strategie di controllo e di prevenzione delle zoppie.

Le lesioni del piede e la loro manifestazione clinica prin­cipale, cioè le zoppie, rappresentano un problema considerevole nell’allevamento bovino, principal­mente da latte, e determinano perdite economiche importanti oltre a sollevare considerazioni relative al benessere animale.

Le zoppie, in quanto a frequenza e impatto, rientrano a buon diritto sul podio delle patologie di mandria, insieme all’ipofertilità e alle mastiti, con le quali sono peraltro interrelate.

In alcuni allevamenti, dati alla mano, figurano addi­rittura al primo posto di questa triste classifica. Le malattie del piede bovino sono considerate come multi­fattoriali e come tali vanno affrontate. La loro gestione implica riflessione su diversi aspetti dell’allevamento quali condizioni ambientali e igiene, alimentazione, capacità di rilevamento precoce degli animali zoppi e conseguente intervento, protocolli di pareggio preven­tivo e di trattamento di mandria là dove necessario.

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La sala di mungitura è uno dei luoghi privilegiati in cui apprezzare la morfologia podale e le eventuali lesioni . © Giovanni Vittorio Scavino

A questi elementi, sempre in un’ottica di intervento integrato e multimodale, si può aggiungere la selezione genetica.

Selezione genetica nei bovini

È senz’altro verosimile affermare che la selezione de­gli animali sia iniziata migliaia di anni fa con la loro domesticazione. Sembra infatti logico pensare che già le società di quel tempo scegliessero quali animali conservare per la procreazione della generazione suc­cessiva, sulla base di criteri fenotipici individuali come la taglia, lo sviluppo muscolare, il colore, la presenza o l’assenza di corna, la docilità etc.

Si ritiene che a partire dal XVIII secolo si siano costi­tuite le prime razze, intendendo con questo termine un insieme di individui che rientrano all’interno di un certo standard fenotipico e che vengono fatti riprodurre fra di loro.

Col tempo, e a momenti molto diversi per ciascuna razza, sono stati creati i primi libri genealogici che permettevano di identificare gli individui e di collocarli in rapporto alla loro ascendenza e discendenza.

L’avvento dei primi controlli di performance come la valutazione precisa della quantità e della qualità (pro­teina, grasso etc.) del latte prodotto ha cominciato successivamente a fornire dei dati fenotipici oggettivi su cui basare la selezione.

All’inizio del XX secolo, i matematici Ronald Fisher e Sewall Wright contribuirono in modo consistente alla formulazione della genetica quantitativa, di mo­delli matematici per la genetica delle popolazioni e a definire la nozione di “valore genetico”. Quest’ultimo, determinato dai geni che un individuo trasmette ai suoi discendenti, è stimato in base all’effetto medio che questi geni hanno sulla discendenza, in altre pa­role, per un determinato carattere, sullo scarto fra le performance della sua discendenza e la media della popolazione.

Partendo da queste teorie, negli anni ’40 dello scorso secolo, Lanoy Hazel sviluppò il concetto di “indice ge­netico”, cioè la combinazione lineare delle performance di un individuo e di tutti i suoi parenti ponderata dal livello di parentela con l’individuo indicizzato.

Gli indici messi a punto da Hazel furono utilizzati per molti anni. Da un lato dimostrarono efficacia e portarono a un effettivo miglioramento di certe per­formance a livello di razza. Dall’altro, manifestarono tutta una serie di limiti e di imprecisioni: non tenevano sufficientemente in conto, per esempio, dell’influenza dell’ambiente.

Nel 1973, Charles Henderson sviluppò il sistema BLUP (Best Linear Unbiased Prediction) che permette di sti­mare simultaneamente gli effetti genetici e gli effetti ambientali sulla performance.

In estrema sintesi, a partire dalla metà del XX secolo, i progressi nel campo della genetica, della statisti­ca e dell’informatica hanno aperto la via a tecniche analitiche sempre più accurate e sofisticate che sono state applicate con successo alla selezione di caratteri multipli.

Prendendo ad esempio la razza Holstein, la lattifera più diffusa al mondo, si stima che negli ultimi cent’anni la produzione media di latte sia aumentata di cinque volte, mantenendo i tassi di proteina e grasso pres­soché invariati.

Questo incremento sensazionale ha tuttavia compor­tato un prezzo da pagare in termini di longevità, fer­tilità, resistenza alle malattie, emergenza di caratteri recessivi indesiderati e deleteri.

La necessità di frenare il processo di fragilizzazione della razza, e probabilmente anche la pressione di una società sempre più sensibile alle problematiche del benessere animale, hanno successivamente portato ad un approccio selettivo più equilibrato, non basato solo sulle performance produttive. Caratteri quali la longevità, la facilità al parto, la conformazione della mammella e la resistenza alle mastiti, sono stati inseriti nei programmi di selezione riuscendo ad invertire il trend negativo.

Relativamente alle patologie podali, per diverse razze sono ormai disponibili anche indici relativi agli ap­piombi, all’altezza dei talloni e alla resistenza a certe malattie infettive e non infettive.

Selezione genetica e selezione genomica

La selezione genetica tradizionale si basa su metodi statistici per predire il valore genetico individuale.

Le informazioni si fondano sui dati raccolti sulla proge­nie, sui genitori e su altri individui “parenti”. Si tratta di valutazioni sul fenotipo, sulla performance. I moderni mezzi statistici permettono, come già detto, di sepa­rare in modo piuttosto accurato gli effetti ambientali da quelli genetici.

Il modus operandi classico che regola la selezione ge­netica consiste nel selezionare giovani tori in base al valore genetico dei loro genitori e di allevarli nei centri genetici per poi sottoporli, non appena possibile, al Progeny test.

Questa metodologia ha prodotto ottimi risultati ma pre­senta alcuni punti deboli, in particolare la lunghezza del processo di selezione dei tori e la problematicità nel valutare caratteri a difficile misurazione, come sanità, benessere ed efficienza alimentare.

Nel 2001 un approccio nuovo e rivoluzionario ha visto la luce, anche se la sua applicazione ha dovuto attende­re qualche anno lo sviluppo di un’adeguata tecnologia.

Tale innovazione è la genomica, tecnica che si basa sull’individuazione di marker genetici ripartiti sul geno­ ma dell’animale. A partire da questi marker è possibile predire il valore genetico.

L’avvento della selezione genomica, implementata a livello internazionale dal 2009, ha offerto nuove e importanti opportunità e permesso di continuare a evolvere nel miglioramento delle razze bovine, miglio­ramento inteso non solo in termini di pura e semplice produttività.

Ereditabilità delle patologie del piede

Si definisce come ereditabilità, in riferimento a un cer­to carattere, la componente di quel carattere dovuta esclusivamente ai geni. Essa definisce, in altre parole, il peso dei geni nel determinismo di un certo carattere fenotipico.

Viene espressa con un valore numerico compreso fra 0 e 1, dove 0 significa che il determinismo genetico su un dato carattere è nullo e 1 che, al contrario, l’espressione fenotipica di un carattere è dovuta interamente ai geni.

Nel linguaggio comune viene talvolta confusa con il concetto di ereditarietà, o utilizzata come sinonimo. In realtà l’ereditarietà fa piuttosto riferimento ai mecca­nismi tramite i quali una caratteristica biologica viene trasmessa geneticamente da una generazione all’altra, nell’ambito della biologia molecolare.

Studi relativi a genetica e lesioni del piede

La letteratura che affronta il rapporto fra selezione genetica e lesioni del piede è ampia e varia, soprattut­to a partire dalla fine del primo decennio degli anni duemila.

Molti degli studi più interessanti sono stati resi possibi­li da due fattori principali. Il primo è rappresentato dal tentativo encomiabile di uniformare la nomenclatura delle lesioni a livello internazionale da parte dell’ICAR che ha portato alla pubblicazione di un Atlante (l’ultima versione è del 2020) che individua e descrive ventisette lesioni del piede bovino, definendone le caratteristiche e dando loro un nome “ufficiale”.

Persistono ancora divergenze a livello internazionale relativamente a certi aspetti, come la differenziazione fra “malattia podale” e “lesione podale” o relativamente alle ipotesi patogenetiche alla base di certe lesioni, ma un grosso passo in avanti è stato fatto.

Il secondo elemento è la possibilità di accedere ad un’ampia base di dati raccolti da professionisti formati. Tali professionisti sono in primo luogo i podologi, vete­rinari e non. In alcuni Paesi queste banche dati sono state centralizzate e in esse confluiscono grandi quan­tità di informazioni e rilevamenti effettuati in campo.

In effetti, questo tipo di studi risulta complesso sotto molti punti di vista: i fattori di confondimento dati dall’ambiente e dal management, potenzialmente molto diversi da una realtà all’altra, sono numerosi e il campione su cui si basa l’analisi statistica neces­sita di numeri elevati e di precisione nei rilevamenti.

Il fatto che le modalità pratiche del pareggio possano differire da un Paese all’altro fornisce un ulteriore elemento di complessità nell’approccio. Ma è in corso anche da questo punto di vista un processo di uni­formazione grazie alla nascita in molti Stati (fra cui l’Italia) di associazioni ufficiali che riuniscono chi pratica il mestiere e agli scambi fra di esse, resi possi­bili anche dall’organizzazione di meeting e congressi.

La letteratura specifica

Come già accennato, dagli articoli che trattano l’ere­ditabilità delle patologie podali, compare una gran­de varietà di approcci e di metodi. La grandezza del campione non è sempre tale da sopportare una generalizzazione dei risultati. Il campione stesso consiste talvolta in dati provenienti dai rilevamenti di professionisti formati e in altri casi da podologi il cui livello di formazione non è noto e anche da alle­vatori. Alcune volte si tratta di intere mandrie che subiscono il pareggio e la conseguente rilevazione dei dati. Alcuni autori ritengono invece che il dato di mandria sia significativo anche se solo una certa percentuale di questa è passata nel travaglio. Questa percentuale è variabile a seconda degli studi, dal 75 al 20 %.

Molti articoli si differenziano per la definizione di “nuovo caso” su uno stesso animale, definendo soglie cronologiche anche molto diverse.

Gli autori portano maggiore o minore attenzione a certi elementi come età dell’animale e numero di lattazioni, momento della lattazione e distanza dal parto etc. Certi distinguono fra zampe anteriori e posteriori, altri prendono come unità l’animale con i suoi quattro arti.

Queste sono solo alcune delle differenze. Nonostante ciò, scremando un po’ e escludendo risultati estre­mi e poco verosimili, emerge una certa concordanza generale nelle conclusioni.

Alcuni degli studi che parrebbero più affidabili di­stinguono fra patologie infettive e patologie di tipo metabolico-meccanico, inserendo fra le prime la der­matite digitale, la dermatite interdigitale/erosione del corno dei talloni e, una minoranza, anche il flemmone interdigitale. Nel secondo gruppo compaiono l’ulcera della suola, il complesso di lesioni della linea bianca, l’emorragia soleare, l’ulcera della parete.

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Emorragia diffusa della suola. © Mathieu Cousin

Da essi si delinea, in primo luogo, una correlazio­ne statisticamente significativa fra le malattie dello stesso gruppo e una mancanza di correlazione fra patologie dei due diversi gruppi. In altre parole, un bovino che presenta una lesione di tipo infettivo quale la dermatite digitale avrebbe più probabilità di svi­lupparne una seconda di tipo infettivo che non una seconda di tipo meccanico. E viceversa.

Tale dato sembrerebbe giustificare questo tipo di approccio, a patto che il campione sia sufficiente­mente grande e preciso da poter ponderare il fattore ambientale.

Per quanto riguarda l’ereditabilità delle malattie in­fettive il trend che emerge è il seguente (si escludono i valori estremi, determinati il più delle volte sulla base di campioni insufficienti):

  • dermatite digitale: l’ereditabilità è stimata fra lo 0,02 e lo 0,11;
  • dermatite interdigitale: fra lo 0,04 e lo 0,10.
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Lesione di dermatite digitale, stadio M2.
© Giovanni Vittorio Scavino

Alcuni autori trattano la DD e la DI come un’unica “entità infettiva” e ottengono risultati sovrapponibili.

Per quanto riguarda l’ereditabilità delle patologie non infettive, dunque di ordine meccanico/metabolico:

  • ulcera soleare: fra 0,02 e 0,07.
  • lesioni della linea bianca: fra 0,02 e 0,09.
  • emorragia della suola: fra 0,03 e 0,06.

Sempre in relazione alle malattie non infettive, quella che risulta avere il maggior indice di ereditabilità in assoluto è il tiloma.

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Tiloma con lesione di dermatite digitale. Il tiloma è la lesione che presenta, secondo la letteratura, l’ereditabilità più elevata fra le patologie del piede bovino.
© Marc Delacroix

Si trovano inoltre studi che si occupano dell’eredita­bilità delle patologie podali legate alla laminite e alla laminite cronica.

L’interpretazione dei loro risultati è tuttavia resa com­plicata dal fatto che la definizione stessa di laminite è, allo stato attuale delle conoscenze, piuttosto pro­blematica e la sua stessa patogenesi, così come le sue cause e concause, presenta dei punti oscuri e solleva disaccordo fra gli specialisti.

Alcuni articoli scelgono un approccio differente al pro­blema e si basano su parametri che esulano dai dati derivanti dal pareggio in campo.

Si cita l’esempio degli studi che prendono in considera­zione il locomotion score e il lameness score e ne stimano una eventuale ereditabilità. Per quanto riguarda il primo parametro è stata ritenuta un’ereditabilità variabile fra lo 0,09 e lo 0,14. Utilizzando invece il lameness score su misurazioni ripetute, l’ereditabilità è stata giudicata fra lo 0,07 e lo 0,10.

Ulteriore criterio è quello della misura di certe caratte­ristiche fisiche del piede, come la lunghezza della pa­rete dorsale dell’unghione e l’altezza dei talloni facendo emergere dei valori di ereditabilità piuttosto alti, fino allo 0,38. Questi valori non hanno tuttavia passato il vaglio di altri studi che sembrerebbero ridimensionare il dato.

Interessante lo spunto di certi autori che studiano la correlazione genetica fra la conformazione di zampe e piedi e le malattie podali. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, tale correlazione è raramente messa in evidenza e, quando questo è il caso, risulta comunque essere bassa.

Indici relativi alla salute del piede

Per diverse razze bovine sono ormai disponibili indici utili alla selezione genetica per migliorare la salute dei piedi. Per la razza Holstein, in Francia, sono presenti da qualche anno due indici specifici relativi alla resistenza alle lesioni infettive (RLI) e a quelle non infettive (RLNI).

Il primo è stato calcolato per il 50 % sulla resistenza alla dermatite digitale, per il 25 % alla dermatite inter­digitale e all’erosione del corno dei talloni e per il 25% sul tiloma. Il RLNI è invece stato calcolato per il 40 % sulla resistenza alle lesioni della linea bianca, per il 40 % all’ulcera soleare, per il 10 % sull’emorragia estesa della suola e sempre per il 10% sull’emorragia circoscritta della suola.

Un approccio del tutto sovrapponibile è stato utilizzato anche per la razza Montbeliarde, per la quale troviamo un indice SLI (Sintesi Lesioni infettive) e un indice SLM (Sintesi Lesioni Meccaniche). In quest’ul­timo è stata inserita anche la rotazione dell’unghione.

Per la razza normanna esiste un indice basato sulla dermatite e un altro sull’ulcera soleare.

In Canada, già dal 2017, è stato ufficializzato l’indice ge­netico e genomico relativo alla resistenza alla dermatite digitale. I tori testati hanno un’attendibilità superiore al 70 %. I tori con indice pari a 100 dovrebbero produrre una progenie in cui l’82% delle figlie è resistente alla dermatite digitale (o comunque più resistente rispetto alla media della popolazione) e per ogni unità di indice questa percentuale aumenta dell’1%. Per esempio, il toro 105 avrà l’87% di figlie senza casi di dermatite di­gitale. I caratteri morfologici correlati con questo indice sono l’altezza del tallone (0,035) e l’indice morfologico per arti e piedi (0,29).

Conclusioni

Malgrado l’insieme degli studi presenti in letteratura supporti il dato di una ereditabilità limitata delle le­sioni e malattie podali, grazie agli attuali strumenti statistici e ai grandi progressi nel campo della selezione giunti con l’avvento della genomica, è possibile effet­tuare una selezione per il miglioramento dei problemi podali e per la diminuzione dell’impatto delle zoppie nell’allevamento bovino. Come già ricordato, le pato­logie podali sono multifattoriali e la selezione geneti­ca sarebbe comunque da inserire in un programma multimodale ad ampio raggio per il raggiungimento degli obiettivi.

Per un’ulteriore evoluzione nelle conoscenze delle pato­logie del piede bovino e per rendere sempre più preciso l’approccio da mettere in atto per il loro controllo, è auspicabile che continui il lavoro di raccolta e centralizzazione dei dati provenienti da professionisti formati e che la rete di scambi fra attori di Paesi diversi continui e si intensifichi.

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