Negli ultimi anni, il numero di animali da compagnia in Europa è aumentato notevolmente, superando i 300 milioni di esemplari, rappresentati soprattutto dalle specie convenzionali, il cane e il gatto. Tra gli animali non convenzionali, definiti anche nuovi animali da compagnia (NAC), vi sono circa 30 milioni di piccoli mammiferi e 52 milioni di volatili.
A fronte dei notevoli vantaggi legati alla vicinanza dei NAC, che rappresentano per il proprietario un affetto e una passione, vi sono alcuni potenziali problemi sanitari legati al contatto, costituiti da possibili allergie con insorgenza di dermatiti e/o fenomeni asmatici, e rischi zoonosici attribuibili ad agenti eziologici veicolati dagli animali, a volte in maniera asintomatica.
Le possibili zoonosi attribuibili alle diverse specie di animali non convenzionali sono numerosissime e l’argomento è pertanto molto ampio e complesso. Verranno qui trattate solo alcune delle principali zoonosi veicolate dai volatili e dai piccoli mammiferi più frequentemente allevati e connotate da importanza o per frequenza di riscontro o per gravità delle possibili ripercussioni cliniche nell’uomo.
I NAC più diffusi in Italia
I NAC suscitano sempre più interesse e sono molto numerose le famiglie o gli individui che scelgono e si appassionano ad animali alternativi a quelli tradizionalmente considerati da compagnia.
I volatili sono molto diffusi e allevati, sia come singoli individui (pappagalli nella maggior parte dei casi) sia come gruppi di numerosi soggetti appartenenti a piccole specie (per lo più passeriformi e fringillidi) allevate a scopo amatoriale e selezionate per morfologia e qualità canore, con partecipazione a mostre ornitologiche e competizioni diffuse a livello nazionale e internazionale.
Tra i piccoli mammiferi, il coniglio è sicuramente il più diffuso, essendo un animale molto gradito, in quanto generalmente docile e considerato molto meno impegnativo, rispetto al cane e al gatto, dal punto di vista gestionale. Proprio in virtù della sua docilità, il coniglio è inoltre spesso utilizzato, analogamente al cane e al cavallo, negli interventi assistiti con gli animali.
Oltre al coniglio, sono molto diffuse le cavie e i criceti e, in minor misura, furetti, gerbilli, scoiattoli e ratti. A questi, si aggiungono i rettili, più comunemente tartarughe terrestri e acquatiche, ma anche iguane, serpenti, draghi barbuti, che sempre più appassionano gli amanti degli animali e, allo stesso tempo, pongono il veterinario di fronte alla necessità di sviluppare nuove competenze specifiche.
Le zoonosi più diffuse trasmesse dai NAC
Psittacosi
Una delle zoonosi più rilevanti nell’ambito dei volatili pet è la clamidiosi. L’agente eziologico appartiene al genere Chlamydia (C.), che comprende numerose specie, tra cui Chlamydia abortus, C. avium, C. buteonis, C. caviae, C. crocodili, C. felis, C. gallinacea, C. muridarum, C. percorum, C. pneumoniae, C. poikilotherma, C. psittaci, C. suis, e C. trachomatis. Per quanto tutte le specie di Chlamydia possano potenzialmente risultare agenti di zoonosi, C. psittaci è la principale responsabile della malattia nell’uomo, nel quale è chiamata psittacosi o ornitosi, in quanto trasmessa principalmente dai pappagalli oltre che da altre specie di volatili.

Nei pappagalli la clamidiosi si manifesta con forme respiratorie caratterizzate da scolo nasale, scolo congiuntivale, dispnea che, soprattutto se manifestata da cenerini, amazzoni e calopsite (le specie più suscettibili all’infezione) devono indurre il veterinario a sospettare la malattia, adottando misure di biosicurezza adeguate e informando il proprietario del rischio zoonotico.

© Elena Circella
Tipico è inoltre il colore delle feci dei volatili colpiti, che appaiono verdastre per via della compromissione epatica.

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L’infezione può evolvere anche in forma asintomatica con un potenziale incremento del rischio di trasmissione all’uomo, in quanto proprietari e veterinari, non prendendo particolari misure di protezione, possono venire in contatto con il germe eliminato in maniera intermittente con le feci dai volatili.
L’eliminazione di Chlamydia è amplificata da condizioni di stress nell’animale, come trasporto o cambi di ambiente, cova o svezzamento di nidiate, o sovraffollamento in caso di allevamenti. Sia l’infezione che la malattia, prevalentemente in forma di congiuntivite o di sindrome respiratoria, possono essere riscontrate anche in altri volatili da compagnia, come il canarino, ed è stato riportato un caso di trasmissione con sviluppo di forma clinica conclamata in una donna immunocompetente che aveva contratto l’infezione dal suo canarino.
Tubercolosi
Sebbene i volatili siano tradizionalmente associati a Mycobacterium (M.) avium, più di 10 specie di micobatteri, tra cui M. tuberculosis, che rappresenta il principale agente di tubercolosi nell’uomo, possono essere veicolate da questi animali. L’infezione da M. tuberculosis è stata spesso riscontrata nei pappagalli e nei canarini. È stato inoltre riportato un caso di infezione in un pappagallo amazzone che presentava lesioni cutanee proliferative, trasmessa al proprietario con insorgenza di polmonite tubercolare. La caratterizzazione dei ceppi responsabili degli stati patologici nell’uomo e nell’animale ha permesso di confermare che si trattava dello stesso stipite di M. tuberculosis.
M. avium e soprattutto M. genavense, tuttavia, sono le specie di micobatteri più comunemente veicolate da pappagalli, parrocchetti, cocorite e passeriformi, e sono entrambe agenti di zoonosi e stati patologici che colpiscono in particolar modo bambini, donne in stato di gravidanza e individui immunocompromessi. I volatili infetti hanno solitamente più di un anno di età e possono essere asintomatici o mostrare una sintomatologia aspecifica con dimagramento, perdita di peso, a volte diarrea e letargia, a seguito di lesioni granulomatose prevalentemente a carico di intestino, fegato e milza. In alcuni casi i soggetti colpiti possono mostrare dispnea, legata a granulomi polmonari, e sporadicamente si osservano granulomi a livello oculare e lesioni cutanee.
La sintomatologia spesso aspecifica e subdola espone pertanto il proprietario al rischio di infezione, che avviene per contatto diretto o indiretto. Le persone colpite mostrano affaticamento, perdita di peso, febbre, dolore addominale, diarrea cronica e anemia. Anche nell’uomo sono possibili forme localizzate della malattia, con insorgenza di endocarditi e coinvolgimento di linfonodi e sistema nervoso centrale.
Campilobatteriosi
Campylobacter (C.) jejuni e C. coli sono i principali responsabili, tra le diverse specie di Campylobacter, di infezione nell’uomo. Sebbene i casi clinici umani siano riconducibili principalmente al consumo di carne contaminata, l’uomo è esposto al rischio di infezione attraverso il contatto con animali da compagnia infetti, che sono nella maggior parte dei casi asintomatici.
Oltre al cane e al gatto, il germe può essere veicolato dai volatili selvatici, esponendo al rischio sanitario i falconieri, e dai volatili d’affezione, principalmente pappagalli e canarini. Una ricerca condotta in allevamenti di volatili da compagnia del Sud Italia, ha evidenziato un’incidenza del 13,6% di infezione, in particolare da C. coli, con maggiore interessamento di pappagalli Amazzonia e Agapornis, che sono tra i pappagalli più diffusi e, tra gli estrildidi, del diamante mandarino. Quest’ultimo è tra le piccole specie da gabbia più comuni nelle abitazioni dopo il canarino, in quanto molto economico e di facile gestione per bambini e anziani, che rappresentano le fasce di età più sensibili all’infezione.
L’infezione nell’uomo avviene attraverso il contatto diretto con i volatili infetti o con le loro feci, ma può avvenire anche in seguito a contatto con superfici o oggetti contaminati dalle feci infette.
Nell’uomo, Campylobacter causa mal di testa, dolore addominale, diarrea profusa, nausea e febbre, solitamente autolimitanti, che solo nei casi più gravi comportano il ricorso alla terapia antibiotica e, talvolta, all’ospedalizzazione del paziente. Tuttavia, possibili sequele dell’infezione possono essere setticemie, meningiti, pancreatiti, nefriti, miocarditi ed epatiti, che insorgono in particolare nelle fasce di età più a rischio e in pazienti immunocompromessi. Inoltre, C. jejuni è coinvolto nella sindrome di Guillain-Barré, grave sindrome neurologica immunomediata caratterizzata da debolezza e paralisi progressiva degli arti, e in una più rara variante, la sindrome di Fisher Miller, con manifestazioni cliniche simili, cui si associano paralisi bilaterale dei muscoli oculomotori e facciali.
Salmonellosi
Nei volatili pet, la salmonellosi non è frequente e ci sono pochi report di casi umani associati ai volatili d’affezione. Nei pappagalli l’infezione si manifesta clinicamente di rado e soprattutto in soggetti immunocompromessi, ad esempio infetti da beak and feather disease virus – BFDV (riscontri personali degli autori). I soggetti colpiti da salmonellosi presentano diarrea e malassorbimento e, in sede autoptica, epatite e nefrite. Nei canarini la malattia è causata solitamente da Salmonella enterica subsp. enterica serovar Typhimurium, la quale negli allevamenti colpiti induce mortalità elevata che supera anche il 50%, con quadri anatomopatologici abbastanza caratteristici.

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Anche in questa specie, la salmonellosi si verifica spesso in allevamenti infetti da Circovirus, virus immunodepressivo (riscontri personali).
Il coniglio non rappresenta un rischio per l’uomo in quanto l’infezione, pur essendo indotta in questo animale da Salmonella enterica subsp. enterica serovar Typhimurium, con elevata mortalità e gravità di sintomi, è in realtà piuttosto rara e sporadica.
Analogamente nel furetto, in cui causa febbre, letargia, diarrea e morte, la salmonellosi non è frequente.
L’incidenza è invece elevata nei ricci, sia europei che africani, in cui l’infezione decorre in maniera asintomatica e una percentuale rispettivamente del 25% e del 28% di individui risulta portatore sano.
Anche ratti e topi fungono frequentemente da portatori sani, con possibile contagio dell’uomo attraverso il contatto con gli animali infetti durante la loro gestione. È stato riportato un caso di salmonellosi nell’uomo causato dalla manipolazione di topi congelati utilizzati per alimentare rettili.
Sono, inoltre, riportati casi umani di salmonellosi conseguenti alla manipolazione di cavie infette che, analogamente ai criceti, possono manifestare diarrea, ma anche setticemia e morte.
Nell’uomo, la salmonellosi evolve solitamente come forma gastroenterica.
Malattia di Newcastle
La pseudopeste aviaria, o malattia di Newcastle, rappresenta sicuramente un rischio sanitario molto limitato per i proprietari di volatili da compagnia. Sia pappagalli sia passeriformi sono sensibili ad Avian paramyxovirus 1 (APMV-1, ora ribattezzato Orthoavulavirus javaense), appartenente al genere Avulavirus (famiglia Paramyxoviridae), ma l’infezione può considerarsi occasionale in queste specie.
L’uomo è esposto potenzialmente al virus eliminato con i secreti e le feci dei soggetti infetti, anche se in questa specie l’infezione, dopo 1-2 giorni dall’esposizione, determina solo congiuntivite e blandi sintomi simil-influenzali che si risolvono spontaneamente nel giro di pochi giorni.
West Nile Disease
Di grande attualità è la West Nile disease, presente in Italia ormai da diversi anni ma considerata comunque emergente in seguito all’incremento del numero di casi anche nell’uomo. La trasmissione del virus, appartenente al genere Flavivirus, è legata alla puntura di zanzare comuni del genere Culex, in particolare in Italia C. pipiens, che assumono il virus pungendo animali infetti.
Tra questi, i principali ospiti che fungono da serbatoio di infezione sono i volatili, in particolare quelli appartenenti agli ordini dei passeriformi, caradriformi e strigiformi. Tra i volatili d’affezione, il virus è stato isolato sia da canarini che da pappagalli. Nella maggior parte dei casi, i volatili sviluppano infezioni subcliniche o paucisintomatiche, anche se talvolta possono manifestare problemi oculari e neurologici con atassia, convulsioni, torcicollo e paralisi dei nervi toracici o pelvici, con esito anche fatale della malattia.
Nell’uomo i sintomi si sviluppano in circa il 20% dei casi di infezione. Dopo un periodo variabile da 3 a 14 giorni dalla puntura della zanzara infetta, il virus causa disturbi respiratori, febbre, mal di testa, nausea e vomito, che persistono da qualche giorno fino a una settimana. In una percentuale di casi molto bassa (inferiore all’1%) subentrano sintomi più gravi, quali debolezza muscolare, tremori, rigidità del collo, disorientamento e convulsioni, che insorgono in seguito a meningite o encefalite. In questi casi la sintomatologia può persistere per settimane e, talvolta, i sintomi neurologici possono risultare permanenti.
Appartenente allo stesso genere Flavivirus si riporta anche il virus Usutu; veicolato anch’esso da C. pipiens, è stato riscontrato nel ciuffolotto, fringillide che appassiona non pochi allevatori nel nostro Paese. Sperimentalmente, anche il canarino è risultato sensibile all’infezione, con esito a volte mortale. Nell’uomo, anche in questo caso l’infezione evolve spesso in maniera asintomatica ma, in seguito al coinvolgimento del sistema nervoso, possono svilupparsi encefaliti e meningoencefaliti con sintomatologia neurologica molto simile a quella descritta per la West Nile disease.
Dermatofitosi
Tra le zoonosi più comuni trasmesse da conigli e piccoli roditori vi è la dermatofitosi.
I miceti principalmente veicolati dal coniglio sono Trichophyton mentagrophytes var. mentagrophytes e Microsporum canis, i quali inducono nell’animale la formazione di aree alopeciche irregolari, di tipo eritematoso, che possono risultare pruriginose, con desquamazione cutanea, crosticine marginali e pelo spezzato. Insorgono nella regione della testa e delle orecchie e diffondono secondariamente sulle zampe e altre aree del corpo.

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T. mentagrophytes, più spesso di M. canis, può essere isolato dalla cute e dal pelo anche in assenza di lesioni, esponendo in maniera più subdola l’uomo al rischio di trasmissione.
In altre specie (ad es. ratti, topi, cavie e cincillà), oltre ai miceti citati, si riscontra anche Microsporum gypseum, che induce lesioni simili. Nei ratti le aree corporee più interessate sono il collo e il dorso e il prurito è di solito assente, mentre nei topi spesso non si osservano lesioni e, se presenti, interessano testa e zone dorsali, coda compresa.
La patologia trasmessa all’uomo, dopo un periodo di 1-3 settimane dal contatto, insorge inizialmente con eritemi e placche squamose, che possono evolvere in papule, vescicole o croste; generalmente localizzati nelle aree di contatto con l’animale (mani, braccia, gambe, viso, testa e collo), possono però coinvolgere anche aree corporee diverse.
Encefalitozoonosi
L’encefalitozoonosi è considerata tra le più importanti zoonosi associate al coniglio, non tanto per l’incidenza (la trasmissione all’uomo è sporadica e infrequente) quanto per le ripercussioni piuttosto gravi. Principale veicolo di questa malattia, il coniglio può essere portatore asintomatico di Encephalitozoon (E.) cuniculi (piccolo protozoo intracellulare obbligato), come testimoniato dall’elevata percentuale di soggetti positivi al parassita individuati mediante screening sierologici; tuttavia, in questa specie il parassita può indurre tre quadri clinici – neurologico, renale e oculare – che possono manifestarsi associati tra loro:
- il quadro neurologico è rappresentato da una sindrome vestibolare che si manifesta con rotazione della testa, torcicollo, tremori, movimenti in circolo, nistagmo, atassia, convulsioni e paralisi delle zampe
- in seguito a nefrite interstiziale cronica si può osservare incontinenza urinaria, poliuria e polidipsia, disidratazione e perdita di peso
- a carico del globo oculare si instaura uveite, accompagnata spesso da lesioni intraoculari biancastre e talvolta cataratta

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Tra i piccoli roditori, sono sensibili all’infestazione anche la cavia, il topo e l’arvicola, nei quali il protozoo causa perdita di peso, congiuntivite e paresi degli arti posteriori.
La parassitosi può essere trasmessa all’uomo attraverso l’inalazione o l’ingestione delle spore che vengono eliminate dai soggetti infetti soprattutto con le urine, ma anche con le feci. Tale esposizione può avvenire, oltre che per contatto diretto con l’animale, anche durante le fasi di pulizia della gabbia e degli accessori, considerato che le spore sono piuttosto resistenti e rimangono vitali per periodi variabili da qualche settimana fino a qualche mese a seconda della temperatura ambientale.
Gli individui più a rischio per lo sviluppo di successive forme cliniche sono gli anziani, i bambini, gli immunocompromessi, i pazienti oncologici sottoposti a chemioterapia e i soggetti diabetici. Nell’uomo possono svilupparsi forme disseminate, neurologiche e oculari. In seguito a diffusione in vari organi, sia E. cuniculi che E. hellem1 possono causare riniti, sinusiti, polmoniti interstiziali, nefriti, cistiti, colecistiti, colangioepatiti. Entrambi i parassiti, nel caso di localizzazione in sede oculare, causano dolore, fotofobia, epifora, chemosi e possibili cheratocongiuntiviti. La localizzazione encefalica di E. cuniculi induce sintomi clinici come cefalea, disturbi visivi e cognitivi fino a manifestazioni convulsive.
Criptosporidiosi
Le infestazioni da Cryptosporidium, nonostante le numerose e differenti specie del parassita che possono essere veicolate da volatili, conigli, piccoli roditori e rettili, non rappresentano un rischio sanitario concreto per l’uomo. Questo protozoo viene veicolato dagli animali nella maggior parte dei casi in maniera asintomatica e induce sintomi quali diarrea, anoressia e debilitazione, soprattutto nei soggetti più giovani. Tuttavia, casi umani attribuibili con certezza al contatto con i NAC non risultano in letteratura.
Leptospirosi
La diffusione di ratti e topi come animali da compagnia comporta un altro possibile rischio sanitario: la leptospirosi, indotta da Leptospira (L.) interrogans ma anche L. borgpetersenii e L. kirshneri. Dopo un periodo di incubazione di circa 10 giorni, l’infezione può evolvere nell’uomo con forme cliniche lievi, autolimitanti, oppure gravi con febbre persistente, insufficienza renale, uveite, mialgia, disfunzioni epatiche, soffusioni congiuntivali, linfoadenopatie e meningiti.
I ratti e i topi difficilmente sviluppano sintomi clinici e fungono da carrier subclinici, eliminando le spirochete attraverso le urine ed esponendo al rischio di contagio il proprietario. Nelle cavie infette si verificano invece vasculite e coagulazione intravasale disseminata che comportano morte improvvisa.
Sono stati riportati casi di trasmissione all’uomo, uno dei quali con ospedalizzazione del paziente, conseguenti a cavie infette da L. interrogans serovar Icterohaemorragiae e L. interrogans serovar Bratislava.
Morsi
Un altro rischio sanitario legato ai conigli e ai piccoli roditori riguarda le lesioni da morso, cui possono conseguire infezioni localizzate indotte da Pasteurella spp. (la più frequente è P. multocida). Per quanto questo tipo di infezione sia più facilmente riconducibile ai morsi di cani e gatti, è un’evenienza possibile e da non sottovalutare anche nei conigli, spesso portatori di questo germe a livello delle cavità oronasali. Animali territoriali, soprattutto se femmine, possono essere mordaci durante alcune manualità o nelle fasi di pulizia della gabbia e del cambio del mangime.
Dopo 1-2 ore dal morso, nell’uomo si assiste all’insorgenza di lesioni localizzate, con gonfiore, dolorabilità e formazione di pus in forma infiltrativa o più spesso ascessuale. Le lesioni possono insorgere anche in seguito a morsi di cavie e criceti. Inoltre, nell’uomo sono stati riportati due casi di peritonite da Pasteurella spp. in pazienti dializzati, attribuiti alla contaminazione, conseguente a rosicchiamento da parte di criceti, del catetere adottato per la dialisi peritoneale.
Ai morsi dei ratti possono conseguire nel sito traumatizzato infezioni localizzate da L. interrogans e Hantavirus. Inoltre, il morso di questi animali comporta il rischio di insorgenza della rat-bite fever.
Rat-bite fever
La rat-bite fever è causata da due diversi batteri, Streptobacillus moniliformis e Spirillum minus, che inducono due patologie, la streptobacillosi e la spirillosi, differenti tra loro ma con alcune similitudini. Streptobacillus notomytis è sporadicamente segnalato come altro responsabile della malattia.
La rat-bite fever ha diversa distribuzione geografica. Infatti, S. moniliformis è responsabile della maggior parte dei casi di malattia riportati in Nord America ed in Europa, mentre S. minus è responsabile dei casi in Asia.
Le due infezioni si trasmettono attraverso il morso del ratto, che rappresenta la specie reservoir, ma altre specie di roditori possono costituire un rischio per la trasmissione all’uomo. Infatti, entrambe le infezioni sono state riportate nei topi e nelle cavie, mentre S. moniliformis è stato segnalato anche nei gerbilli. Infine, in Nigeria, due casi di malattia nell’uomo sono risultati conseguenti a morsi di scoiattoli. Nei ratti non si osserva nessun sintomo, in quanto animali resistenti alla malattia. Nelle altre specie, invece, possono svilupparsi lesioni purulente, ascessi (nelle cavie), polmonite, linfoadeniti cervicali (in cavie e topi), poliartriti, setticemie fatali (topi).
Il rischio di trasmissione all’uomo è stimato tra l’1% e il 10% dei casi di morso da ratti. Inoltre, considerata la diffusione dei ratti e altri piccoli roditori come pet di relativa facile gestione, quasi la metà dei casi d’infezione riguarda i bambini.
Il periodo d’incubazione è di 4-5 giorni in caso di streptobacillosi e da 2 giorni fino a qualche settimana in caso di spirillosi.
La malattia è caratterizzata da una fase setticemica con febbre alta di rapida insorgenza, mal di testa, brividi, vomito, rash petecchiali alle estremità degli arti, in particolare sul palmo delle mani e sulla superficie plantare dei piedi, ma che si possono manifestare su tutto il corpo. Alla fase setticemica può seguire una fase post-setticemica, prevalentemente rappresentata da poliartriti, che insorgono nel 50-70% dei casi e che comportano artriti suppurative e non suppurative, a livello delle ginocchia, delle caviglie, dei polsi e dei gomiti. In circa il 50% di pazienti con precedenti patologie cardiache valvolari, insorgono endocarditi con esito anche letale. Altre forme patologiche possibili sono meningiti ed epatiti.
Tularemia
La tularemia è una zoonosi piuttosto rara, ma dalle ripercussioni gravi. È causata dal batterio Francisella (F.) tularensis, di cui si conoscono quattro sottospecie, F. tularensis subsp. tularensis, F. tularensis subsp. holarctica, F. tularensis subsp. mediasiatica, e F. tularensis subsp. novicida. Le due sottospecie di interesse clinico sono F. tularensis subsp. tularensis, definita tipo A e F. tularensis subsp. holarctica, definita tipo B, le quali si differenziano sia per distribuzione geografica che per forme cliniche indotte.
Il tipo A si riscontra prevalentemente in Nord America, anche se alcuni ceppi sono stati isolati in Slovacchia ed Austria, è responsabile di forme cliniche più gravi e la sua trasmissione avviene spesso tramite artropodi. Il tipo B è diffuso nella restante parte dell’emisfero settentrionale, sebbene sia stato identificato più recentemente anche in Australia, ed è responsabile di forme cliniche più lievi. La tularemia è anche chiamata febbre del coniglio per via della sensibilità alla malattia del coniglio americano (genere Sylvilagus) che, colpito dal tipo A, quasi sempre muore in seguito alla malattia. Al contrario, il coniglio europeo (genere Oryctolagus) sembra resistente.
Tra i lagomorfi, la lepre rappresenta una specie sensibile che contribuisce al mantenimento dell’infezione negli ambienti naturali. Analogamente, tra i roditori, il criceto europeo (Cricetus cricetus) è considerato un reservoir dell’infezione in Europa. Molti roditori sono sensibili all’infezione da F. tularensis e spesso, dopo una settimana, decedono in seguito a sepsi. Tra i roditori pet, sono stati riportati casi umani trasmessi da criceti e da scoiattoli.
Oltre che attraverso il contatto con animali infetti, la trasmissione all’uomo avviene soprattutto attraverso la puntura di artropodi, in particolare zecche appartenenti alla famiglia Ixodidae e zanzare, e attraverso l’assunzione di alimenti contaminati. Il contagio può avvenire pertanto attraverso la cute, soprattutto in presenza di microlesioni, la congiuntiva, in seguito a inalazione del patogeno o per via orale. In funzione della via di infezione, la malattia presenta forme cliniche differenti.

Il periodo di incubazione mediamente è di 3-5 giorni ma può durare anche fino a due settimane.
Monkeypox
Il virus Monkeypox (MPXV) è un virus vaioloso che appartiene alla famiglia Poxviridae, sottofamiglia Chordopoxvirinae e al genere Orthopoxvirus. Il virus, diffuso in alcune aree dell’Africa centrale ed occidentale, riconosce come serbatoio alcune specie di piccoli mammiferi africani, il cosiddetto bushmeat, ma può occasionalmente essere veicolato fuori dal continente africano mediante l’esportazione di NAC. Un caso del genere è accaduto nel 2003 in Illinois (USA), dove l’importazione di ghiri e ratti giganti del Gambia infetti dal Ghana determinò prima il contagio di alcuni cani della prateria presso un centro di distribuzione di animali esotici e, successivamente, di circa 50 persone in 6 stati diversi. L’infezione, una volta passata all’uomo, si trasmette mediante il contagio interumano.
Da settembre 2018 a novembre 2021 casi sporadici di MPX nell’uomo sono stati segnalati al di fuori del continente africano, ma tutti sono stati associati a viaggi in aree endemiche senza ulteriori trasmissioni secondarie.
A partire da maggio 2022 è in corso un’epidemia su scala globale con quasi 100.000 casi umani in 116 Nazioni. La malattia nell’uomo è caratterizzata dalle classiche lesioni vaiolose che possono comparire in diverse parti del corpo, anche se nell’attuale epidemia extra-africana queste lesioni sono presenti soprattutto nelle zone genitali, per cui si sospetta una trasmissione attraverso uno stretto contatto durante rapporti sessuali.
Hantavirosi
Gli hantavirus comprendono oltre 50 virus del genere Orthoantavirus (famiglia Bunyaviridae) con distribuzione a livello globale, 28 dei quali in grado di causare malattia nell’uomo. Gli ospiti naturali sono roditori, scoiattoli, talpe e pipistrelli, i quali tendono a sviluppare infezioni asintomatiche di tipo persistente. Ogni specie di hantavirus è associata a una specie di ospite reservoir, tanto che l’occasionale trasmissione a un’altra specie evolve verso una rapida estinzione dell’infezione.
Gli hantavirus del Vecchio Mondo (Hantaan, Seoul, Dobrava-Belgrade, Tula, Puumala), associati a febbri emorragiche e sindrome renale nell’uomo, sono prevalenti in Europa e Asia, mentre quelli del Nuovo Mondo (Sin Nombre, Andes, Laguna Negra, Rio Mamore), responsabili di sindrome cardiopolmonare nell’uomo, sono diffusi in Nord e Sud America.
Sempre più numerose sono le segnalazioni in Europa e negli Stati Uniti di focolai di infezione da hantavirus in ratti da compagnia e nei loro proprietari, ponendo una seria questione di sanità pubblica. Inoltre, la globalizzazione e le movimentazioni dei roditori da compagnia tra i diversi continenti rendono sempre più inattuale la vecchia distinzione tra hantavirus del Vecchio e del Nuovo Mondo.
L’uomo può infettarsi per semplice inalazione di materiale contaminato dalle urine dei roditori infetti e sviluppare forme cliniche anche gravi, con un tasso di letalità pari all’1%.
Febbre di Lassa
Gli agenti causali della febbre di Lassa sono virus del genere Mammarenavirus, che appartiene alla famiglia Arenaviridae e comprende 8 specie virali in grado di infettare l’uomo. Zoonosi endemica in Africa occidentale, riconosce come serbatoio naturale alcune specie di roditori selvatici e peridomestici, tra le quali la più importante è Mastomys natalensis. Altri roditori, come ratti e topi, sono risultati positivi per anticorpi e/o RNA virale, per cui esiste la possibilità che anche i roditori pet possano trasmettere l’infezione all’uomo.
Quest’ultimo si contagia a seguito del contatto diretto e indiretto (alimenti contaminati) con urine, saliva o feci dei roditori infetti, ma può anche verificarsi la trasmissione interumana attraverso il contatto con persone infette. La febbre di Lassa nell’uomo decorre molto spesso in forma asintomatica; quando compare, la sintomatologia comprende elevata temperatura, debolezza, mal di testa e malessere generale. Nel 20% dei pazienti si possono osservare forme gravi, caratterizzate da encefalite, shock emorragico con emorragie a carico di gengive, occhi e naso.
Coriomeningite linfocitaria
La coriomeningite linfocitaria è una malattia causata da un Mammarenavirus veicolato da roditori (criceti, cavie e topi). Il virus è raramente trasmesso all’uomo, il quale, in condizioni di efficienza del sistema immunitario, sviluppa un’infezione asintomatica. Le fonti di infezione per l’uomo sono rappresentate da urine, feci e saliva degli animali infetti.
I sintomi, quando presenti, sono simil-influenzali ed includono febbre, torpore, torcicollo, dolorabilità muscolare, mal di testa, nausea e vomito. Forme cliniche più gravi, con paralisi e idrocefalo, possono coinvolgere donne gravide e pazienti immunocompromessi.
La chiave è l’informazione
Considerate le numerose possibili zoonosi legate ai NAC, si rende necessaria una corretta informazione – senza particolari allarmismi – dei proprietari da parte del medico veterinario.
- La prevenzione nasce già al momento dell’acquisto dell’animale, che deve provenire da allevamenti seguiti da veterinari specialisti e in cui vengono effettuate analisi di controllo sui soggetti allevati, o da negozi caratterizzati da elevati standard igienico-sanitari.
- Dopo l’acquisto di volatili destinati ad allevamenti, anche amatoriali, è opportuno prevedere un periodo di quarantena adeguato, in apposito locale separato, in cui il soggetto viene tenuto sotto osservazione.
- Per animali che vengono introdotti in abitazione, è opportuno limitare quanto più possibile fattori di potenziale stress in un periodo già critico per l’animale per via del cambio di ambiente. È, inoltre, consigliabile portare questi soggetti quanto prima possibile presso una struttura veterinaria per una visita specialistica di controllo.
- Fondamentale è il rispetto delle norme igieniche di base e l’educazione dei bambini, che più facilmente disattendono queste norme. Inoltre, i bambini nei primi anni di età devono essere costantemente supervisionati dagli adulti nel corretto approccio con specie di NAC.
- Infine, una misura preventiva drastica (ma di estrema importanza!) consiste nell’evitare l’introduzione di questi animali in abitazioni in cui sono presenti individui immunocompromessi, più suscettibili allo sviluppo di patologie legate alla trasmissione di agenti zoonosici.
- Encephalitozoon hellem è responsabile di zoonosi e riscontrato in psittacidi con problemi neurologici e oculari. La parassitosi in forma asintomatica sembra frequente negli Agapornis infetti da beak and feather disease virus, comportando un maggiore rischio di trasmissione all’uomo. ↩︎