L’impiego delle cellule mesenchimali stromali risulta fruttuoso in alcune patologie renali, epatiche e riproduttive come testimoniano i casi clinici riportati durante il quinto incontro del percorso formativo organizzato da GISMVet.

Nel quinto incontro1 del percorso formativo proposto dal GISMvet (Gruppo Italiano Staminali Mesenchimali-Sezione Veterinaria) riguardante le cellule mesenchimali stromali (MSCs, Mesenchymal Stem Cells) si è parlato, guidati dalla moderatrice prof.ssa Eleonora Iacono (Dipartimento di Scienze mediche veterinarie dell’Università di Bologna), di come queste cellule possano risultare utili in caso di patologie che interessano fegato, reni e apparto riproduttivo.



Le cellule mesenchimali stromali per le patologie renali

Nella prima relazione, il prof. Maurizio Del Bue, già docente universitario e ricercatore presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Parma, con una lunga esperienza nell’ambito della ricerca sull’impiego terapeutico di cellule mesenchimali staminali adulte, ha illustrato lo stato dell’arte nell’impiego delle cellule mesenchimali stromali nelle patologie renali: numerosi studi infatti, ne documentano l’effetto protettivo in modelli sperimentali di lesioni renali sia acute che croniche nei roditori.

Le MSCs agiscono attraverso l’attività dei fattori paracrini secreti, che interagiscono con le cellule interstiziali del rene. Dopo qualche tempo dalla somministrazione endovenosa, nel rene non si trovano più MSCs, ma se ne osserva ancora l’effetto terapeutico. Ciò avvalora il meccanismo d’azione di queste cellule attraverso l’attività paracrina dei fattori solubili da loro secreti anche se devono essere ancora individuati con precisione.

Il professore ha illustrato diversi studi, sia sull’uomo che sui topi, che mostrano come la terapia con MSCs sia sicura e ben tollerata e, soprattutto, l’alto potenziale rigenerativo della stessa, nei confronti delle cellule renali. In uno studio effettuato su gatti affetti da nefrite acuta post renale, trattati con vescicole extracellulari di derivazione mesenchimale, sono stati individuati ipotetici markers: carnitina, melibiosio, acido diidroorotico, D-glucosamina, citidina ecc., correlandoli con indicatori clinici di malattia quali creatinina, urea e fosforo. Si è osservata regressione lineare della creatinina associata a tutti i marker, e alla regressione dei tre valori associata ai primi quattro marker.

Molto interessante appare una revisione sistemica pubblicata quest’anno: una metanalisi di tutti i lavori scientifici che trattano di impianto di MSCs nell’applicazione clinica di cani e gatti affetti da insufficienza renale cronica. Su 4.732 risultati, ottenuti attraverso i motori di ricerca, si è arrivati a considerare validi solo 16 studi, inerenti 8 cani e 8 gatti. Dagli studi emergono indicazioni per ritenere efficace l’impiego delle MSCs in cani e gatti con malattie renali. Si è visto che le MSCs rallentano la progressione della fibrosi renale, grazie ai loro effetti antinfiammatori, antiapoptotici, immunomodulatori e angiogenetici.

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© Studio Nut – shutterstock.com

Le MSCs producono sempre una diminuzione della creatinina, sia nelle forme acute di insufficienza renale (AKI) che in quelle croniche (CKD), con qualsiasi via di somministrazione (EV, IA, IR) e indipendentemente dalla dose. L’eccessiva eterogeneità dei diversi fattori fornisce però variazioni significative nei risultati, che richiedono cautela nel trarre conclusioni.

Il professore ha poi illustrato una casistica personale, con più di trenta animali trattati tra cani e gatti, mostrando come, in alcuni casi, i risultati terapeutici siano stati notevoli, anche a distanza di tempo.

Per concludere l’argomento, le MSCs hanno dimostrato capacità terapeutiche nell’insufficienza renale del cane e del gatto, ma la risposta alla terapia appare variabile e non è possibile oggi stabilire con certezza quale sia la modalità terapeutica migliore per ottenere risultati omogenei. Secondo l’esperienza del relatore, le forme secondarie a leishmaniosi non rispondono, mentre le forme di probabile origine immunomediata sono responsive. Le stesse conclusioni si possono trarre per le patologie epatiche.

Cellule mesenchimali stromali e riproduzione animale

Nella seconda relazione, la prof.ssa Anna Lange Consiglio, responsabile del laboratorio di Riproduzione e medicina rigenerativa della Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Milano, ha illustrato l’utilizzo in riproduzione animale delle vescicole extracellulari da cellule mesenchimali.

La professoressa ha iniziato sottolineando il ruolo delle vescicole extracellulari e l’azione paracrina delle MSCs, alla luce di importanti scoperte dell’ultimo decennio, che hanno dimostrato l’esistenza di vescicole extracellulari con un ruolo di comunicazione cellulare negli organi riproduttivi maschili e femminili. Queste vescicole vengono secrete da vari organi (prostata, testicolo, ovaio, utero ecc.) e giocano un ruolo nella maturazione dei gameti, nella fusione tra spermatozoo e ovocita, nello sviluppo embrionale, nel cross-talk materno-fetale e infine nella gravidanza.

La professoressa e il suo gruppo di ricerca si sono chiesti se il carico di vescicole extracellulari espresse dall’apparato riproduttore maschile potesse essere differente tra individui fertili e ipofertili, causandone una differente attività, e come sfruttare queste differenze nelle tecniche di riproduzione assistita e terapia. Nello studio, sono state isolate vescicole extracellulari di plasma seminale di tori fertili o iperfertili, utilizzate poi per migliorare l’attività fertilizzante in vitro di spermatozoi ipofertili. Dopo il trattamento, si è visto che la produzione embrionale raddoppia, rispetto all’utilizzo di spermatozoi ipofertili non arricchiti.

Le vescicole extracellulari sono coinvolte anche nella comunicazione materno-fetale, e hanno un ruolo sia nella recettività dell’endometrio, sia nell’impianto dell’embrione. Un aspetto problematico è rappresentato dalla diversa qualità dell’embrione prodotto in vivo, rispetto a quello in vitro. In uno studio si è provato ad aggiungere agli embrioni in vitro vescicole extracellulari isolate dal fluido follicolare o ampollare. Si è visto che non solo la qualità degli embrioni migliora in presenza di arricchimento, ma essi possiedono anche rese di gravidanza superiori e maggiore resistenza alla crioconservazione.

Le vescicole extracellulari hanno anche un ruolo nella comunicazione materno-fetale (crosstalk) modulando il microambiente femminile, tollerando la crescita del feto e mantenendo la normale funzione placentare.

Studi incentrati su repeat breeders

Gli studi si sono soffermati sulle repeat breeders, ovvero quei soggetti che non rimangono gravidi, se non dopo almeno tre tentativi di inseminazione. In questi casi si è ipotizzata un’alterata comunicazione materno-fetale, a causa di una anomala sintesi di mediatori (citochine, molecole di adesione, fattori di crescita, lipidi). MicroRNA differentemente espressi possono essere alla base di questo problema.

Uno studio effettuato dal gruppo di ricerca della prof. ssa Consiglio ha coinvolto 12 giumente affette da endometrite cronica, che non rimanevano gravide da almeno due anni, dopo numerosi tentativi di inseminazione. Attraverso un protocollo sperimentale innovativo e molto complicato da mettere a punto (non esistendo letteratura in merito) sono state aggiunte vescicole extracellulari in diverse fasi del periodo di ovulazione delle cavalle, a cui ha fatto seguito l’inseminazione artificiale: l’endometrite è evoluta in una forma che rasenta la normalità, e si sono ottenuti undici concepimenti. Un solo mancato concepimento si è verificato in una giumenta che presentava alterazioni del tratto genitale.

Si sono avuti poi tre aborti: uno spontaneo al quarto mese, uno per attorcigliamento del cordone ombelicale, e uno indotto, su volontà del proprietario. La prima puledrina nata è stata chiamata “Microvescicola”, dato il felice esito di qualcosa che non si riteneva più possibile.

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© Kaitlyn.marie – shutterstock.com

Un aiuto nell’inseminazione artificiale

Un altro possibile campo di applicazione è quello delle endometriti persistenti post-accoppiamento. In questo caso, la patologia è indotta dal seme che viene considerato materiale estraneo. Nelle cavalle resistenti si risolve in 48 ore, mentre in quelle suscettibili l’ambiente non è più in grado di ristabilire l’omeostasi. In uno studio sono state coinvolte 14 fattrici individuate come suscettibili: metà sono state inseminate normalmente, l’altra metà con seme arricchito con vescicole extracellulari. I risultati supportano l’ipotesi secondo cui le vescicole extracellulari rappresenterebbero una parte attiva nei processi di modulazione dell’infiammazione. La diluizione del seme con le vescicole modula l’infiammazione endometriale. Tale metodo potrebbe rappresentare un efficace aiuto nell’inseminazione artificiale, al fine di prevenire l’endometrite persistente post-accoppiamento.

Gli ambiti di applicazione in epatologia

La terza relazione è stata tenuta dal dott. Gian Paolo Squassino, libero professionista specialista in clinica dei piccoli animali, che da anni si occupa di medicina rigenerativa e che in questo caso ha riferito sull’utilizzo di MSCs nelle patologie epatiche.

In quelle più comuni, che regrediscono a seguito di terapie di base (fleboclisi, epatoprotettori, controllo della dieta), non è previsto l’utilizzo di MSCs, così come nelle patologie sulla base di alterazioni anatomiche o gravi tossicosi acute con effetti necrotizzanti.

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© Todorean-Gabriel – shutterstock.com

Un possibile ambito di applicazione può essere invece quello delle epatiti autoimmuni. L’epatite autoimmune è una patologia spesso sottostimata, in considerazione sia della sua sintomatologia subdola, sia della difficoltà nella diagnosi, che deve prima escludere altre cause e viene effettuata con l’ausilio della biopsia. Questa patologia determina un processo infiammatorio cronico, che può esitare in cirrosi epatica. La terapia si basa su farmaci immunosoppressori. Il relatore ha presentato due casi clinici.

  • Il primo relativo a un cane al quale era stata diagnosticata, a seguito di biopsia epatica, un’epatite cronica linfoplasmacellulare e neutrofilica grave e diffusa. La terapia, a base di ciclosporina, acido ursodesossicolico e corticosteroidi non ha dato risultati. D’accordo con i proprietari, è stata effettuata una terapia con MSCs, (12.000.000 EV diluite in soluzione NaCl 0,9%) sospendendo gradatamente i farmaci immunosoppressori. A distanza di un anno il cane non presenta sintomatologia e i parametri ematochimici sono rientrati nella norma, tranne per gli acidi biliari aumentati, per cui è stata ripresa la somministrazione di acido ursodesossicolico.
  • Il secondo caso ha riguardato un altro cane con epatite cronica linfoplasmacellulare e neutrofilica grave e diffusa. Anche in questo caso sono state somministrate MSCs, (70.000.000 EV, in soluzione NaCl 0,9%). Ancora una volta si è avuta remissione della sintomatologia e ritorno dei valori ematochimici nella norma.
  • Su sei casi trattati, quattro hanno dato ottimi risultati, e due discreti.

Nel complesso si tratta di una casistica limitata, ma l’aneddotica è promettente. In conclusione, tutte le relazioni hanno dimostrato come la terapia con MSCs negli animali, pur con alcune difficoltà legate a vari fattori, sia da approfondire e studiare ulteriormente, per le potenzialità che offre nella cura di patologie anche gravi e spesso non rispondenti alle terapie.

  1. 24/9/24: Cellule mesenchimali stromali (MSC) e terapie rigenerative in ambito veterinario – Patologie d’organo: patologie epatiche e renali. Patologie dell’apparato riproduttivo. Webinar organizzato dal Gruppo Italiano Staminali Mesenchimali – Sezione Veterinaria (GISMVet) con la collaborazione di “Cogito Ergo Vet”. ↩︎


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