La Febbre Q, infezione causata da Coxiella burnetii, costituisce un problema di natura zootecnica ma ha anche carattere zoonosico, dato che il batterio colpisce anche l’uomo. L’eradicazione non è ad oggi un obiettivo attuabile.

In Italia la febbre Q nel bestiame è molto diffusa sia negli allevamenti di ovicaprini che in quelli di bovini da latte; sembra interessare un allevamento bovino su due e più di un terzo degli allevamenti ovicaprini sono sieropositivi per Coxiella burnetii.

La FNOVI (Federazione Nazionale Ordini Veterinari Italiani) ha organizzato un webinar1 per discutere dell’impatto di questa malattia che mette a rischio la redditività dell’allevamento e la salute degli operatori del settore.

Febbre Q: problema zoonosico o zootecnico?

Alda Natale (DVM, dirigente dell’IZS delle Venezie e membro del Comitato europeo febbre Q) ha aperto la sua relazione parlando dell’aspetto zoonosico della malattia. La febbre Q fu descritta per la prima volta in Australia nel 1935; nel nostro Paese fece la prima comparsa nel 1946, quando si verificarono alcuni focolai nelle truppe americane di stanza in Italia centrale e meridionale, probabilmente a causa di contatti con greggi vaganti infette. In un primo tempo la malattia ha avuto un andamento epidemico, per poi assumere carattere di endemia.

Le specie colpite

Negli animali, la malattia è più conosciuta e controllata rispetto a quanto avviene per l’uomo, anche se sono sempre i focolai umani a dare risalto all’infezione (nonostante la diagnosi non sia inserita nella routine). Già dal 1953 la malattia era nota negli animali in tutte le Regioni italiane, ma un tempo le segnalazioni erano poco frequenti sia per i mezzi diagnostici poco efficienti, sia per le scarse possibilità terapeutiche.

Negli animali, la malattia interessa essenzialmente la sfera riproduttiva e nei ruminanti i sintomi sono soprattutto a carico degli animali gravidi. Infatti, il sintomo principale – seppure con alcune eccezioni – è costituito dall’aborto, che solitamente si manifesta nell’ultima parte della gravidanza, anche se non è escluso che si possa presentare più precocemente.

Rispetto agli ovicaprini, nel bovino la malattia appare più subdola in quanto gli eventi abortivi sono meno frequenti, ma comporta condizioni di infertilità e ipofertilità. C. burnetii può infatti causare infezioni persistenti, con riattivazione in condizioni di stress o, soprattutto, nelle successive gravidanze.

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Sono state anche segnalate forme respiratorie (tosse estiva al pascolo), e in alcuni soggetti l’escrezione nel latte può durare anni. Il patogeno colpisce anche gli allevamenti bufalini; sono state inoltre rinvenute positività in cinghiali, suini, equidi, caprioli nonché, con sporadiche segnalazioni, cani.

In Italia non sono stati svolti studi sul gatto, ma in Canada si sono verificati focolai umani a causa di contatto con gatte partorienti.

Il batterio

La denominazione di febbre Q deriva da “query fever” (“febbre sconosciuta”), in quanto nei primi casi riportati non era stato identificato l’agente eziologico. C. burnetii è un piccolissimo coccobacillo Gram negativo (G-), patogeno intracellulare obbligato con la caratteristica di produrre forme di resistenza simili a spore. Tale capacità, molto rara per un batterio G-, lo rende estremamente resistente nell’ambiente.

La febbre Q sta diventando una malattia emergente sia negli animali sia nell’uomo ed è citata nel report sulle zoonosi dell’EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare), con 805 casi umani confermati nel 2023.

Per quanto riguarda la ricerca diretta dell’agente eziologico sul singolo animale, le medie europee segnalate nel report non si discostano molto da quelle italiane (4,7% nelle pecore, 11,2% nelle capre e 6% nei bovini). Infatti, la malattia ha una distribuzione uniforme a livello europeo, anche se, a causa della sottosegnalazione, i numeri reali non sono noti.

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Considerando la sierologia di gruppo o la ricerca dell’agente eziologico per allevamento le percentuali salgono molto, tanto che il tasso di allevamenti positivi fra quelli bovini è di uno su due. Per quanto riguarda l’importanza delle differenti vie di trasmissione, le specie di cui preoccuparsi maggiormente sono le capre, seguite dai bovini, mentre le matrici più pericolose sono i materiali abortivi e gli invogli fetali.

Da questo punto di vista risulta molto importante anche la contaminazione ambientale: grazie alla sua grande resistenza ambientale, il batterio si può annidare nella polvere per poi essere trasmesso mediante aerosol. Si riteneva possibile anche la trasmissione attraverso le zecche; tuttavia, questi ectoparassiti sono importanti per il mantenimento di Coxiella in natura, ma non per l’infezione degli animali e nell’uomo.

La diagnosi

Sebbene sia assodata la presenza endemica di C. burnetii negli allevamenti da latte, le prevalenze riscontrate nei vari studi sono molto variabili, sia per differenze reali fra le diverse situazioni, sia perché i mezzi diagnostici si sono evoluti nel corso del tempo.

A tal proposito, è importante capire quale tipo di diagnosi si cerca. • Se si vuole solo sapere se Coxiella sta circolando a livello di gruppo di animali (ad es. piani di monitoraggio, in caso di emergenza) si può usare coma matrice il latte di massa.

Se si sta indagando su un problema riproduttivo, è più utile fare diagnosi sugli aborti o su tamponi vaginali, sempre lavorando sul singolo animale.

C. burnetii può essere ricercata mediante PCR su tamponi vaginali, cotiledoni della placenta, feti abortiti, latte, feci, urine (solo nella fase precoce di infezione, finché non compaiono gli anticorpi), oppure nell’ambiente e quindi su pascolo, lettiera, paglia, letame e lana, anche se per queste matrici l’indagine risulta più difficile.

È possibile effettuare una PCR real-time su tampone vaginale, organi fetali e placenta di bovine che abbiano partorito da meno di 8 giorni, oppure una fissazione del complemento su sangue di bovine che abbiano abortito da più di 15 giorni e non più di 4 mesi o di bovine che abbiano avuto problemi di fertilità negli ultimi 4 mesi.

I Piani aborti regionali offrono un’ottima occasione di monitoraggio anche per la febbre Q, che risulta la ragione di aborto più frequente dopo neosporosi e BVD.

La diagnosi differenziale comprende cause non infettive e infettive.

  • Cause non infettive
    • Fenomeni di intossicazione
    • Traumi
    • Stress
    • Farmaci
    • Allergie
  • Cause infettive
    • Brucellosi (da escludere nelle zone indenni)
    • Clamidiosi
    • Toxoplasmosi
    • Neosporosi
    • Leptospirosi
    • Salmonellosi
    • Micoplasmosi
    • Listeriosi
    • BVD (diarrea virale bovina)
    • IBR (rinotracheite infettiva dei bovini)

Prevenzione e controllo

Le linee guida EFSA per la prevenzione di C. burnetii si basano innanzitutto sulla riduzione della diffusione del patogeno tra animali, persone e ambiente.

In azienda si consiglia di:

  • usare dispositivi di protezione individuale (DPI) per manipolare aborti, placenta, letame e lana;
  • implementare i protocolli di vaccinazione;
  • separare adeguatamente la sala parto;
  • effettuare la quarantena sui nuovi ingressi;
  • spargere il letame in assenza di vento e con la massima umidità ambientale possibile;
  • pulire adeguatamente le strutture e attuare protocolli di biosicurezza.
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Per contrastare C. burnetii occorrono protocolli standardizzati a livello internazionale, ma adattati alle realtà e alla legislazione locale, programmi di sorveglianza applicabili in caso di emergenza e la consapevolezza di veterinari e allevatori di lavorare per prevenire i focolai umani oltre che per migliorare la produttività.

Attuare buoni protocolli igienici, sorveglianza passiva su aborti e infertilità e vaccinazione servono a prevenire le situazioni di emergenza, in cui le misure diventano molto costose in termini anche etici se si deve ricorrere agli abbattimenti.

Riuscire a controllare questa patologia conduce a un miglioramento della produttività, tenuto conto del fatto che la febbre Q può persistere in allevamento per anni, soprattutto se non si individuano gli animali malati cronici. Tale infezione potrebbe essere la causa primaria di aborti o complicare la situazione se si aggiunge alla presenza di altri patogeni.

Anche se talvolta potrebbe apparentemente sembrare così, non corrisponde a realtà l’esistenza di aziende che, pur essendo positive, non manifestano sintomi: infatti un’attenta analisi consente di evidenziare i danni in azienda, i soggetti più pericolosi sono gli escretori a lungo termine.

La notifica è obbligatoria

La malattia è inclusa nell’elenco del Regolamento 2016/429 sulle malattie animali trasmissibili, ed è considerata anche un agente di bioterrorismo. Compresa tra le malattie di categoria E, è anche una zoonosi e quindi si applicano le norme per la notifica (obbligatoria per il laboratorio, il veterinario e l’allevatore) e la comunicazione (anche se non è ben definito cosa avvenga dopo la notifica), nonché le norme di sorveglianza.

Eradicazione non attuabile

L’eradicazione non è ad oggi un obiettivo attuabile, in quanto non esistono allevamenti indenni, non esiste un modo sicuro di certificare la negatività del singolo animale, l’inquinamento ambientale persiste per anni ed è fin troppo facile, per l’infezione, rientrare con fieno, vento o qualsiasi vettore, animato o inanimato.

Tuttavia, anche se il 40% dei campioni di latte di massa risulta positivo alla PCR, non è dimostrata la trasmissione attraverso il consumo di latte.

Zoonosi negletta

Vittorio Sambri (professore ordinario del Dipartimento di Scienze mediche e chirurgiche – settore scientifico disciplinare: microbiologia e microbiologia clinica – dell’Università di Bologna) ha definito la febbre Q come una zoonosi fortemente negletta, che rimane per lo più celata, specialmente nel nostro Paese.

Una particolarità di C. burnetii è quella di presentare nella parete cellulare una molecola di lipopolisaccaride (LPS) strutturalmente e antigenicamente distintiva. In base alla struttura del LPS, il batterio esiste in due forme antigeniche distinte:

  • la fase I, virulenta,
  • la fase II, non virulenta.

L’esistenza di queste due fasi è importante sia per la diagnosi sierologica che per la comprensione della patogenesi della malattia. Il batterio possiede un cromosoma circolare molto piccolo, con un contenuto di geni e informazioni limitato. Una volta inglobato nei macrofagi, il microrganismo riesce a impedire la fusione fra fagosoma e lisosomi, impedendo la fagocitosi e riuscendo a sopravvivere e replicare all’interno della cellula che avrebbe dovuto distruggerlo.

Il genere Coxiella include altre specie simili, ad esempio C. cheraxi, trovata nei gamberi di fiume, e un nuovo organismo simile a Coxiella presente negli uccelli e nelle zecche. Queste ultime possono albergare endosimbionti simili a Coxiella che aumentano la capacità dell’artropode di trasmettere altri patogeni attraverso il pasto ematico.

Il batterio cresce bene sulle linee cellulari ma l’isolamento colturale viene effettuato solo per ricerca e all’interno di laboratori con livello 3 di biosicurezza, e non è utilizzato come metodo diagnostico. I dati sulla diffusione di C. burnetii sono disomogenei nelle varie aree geografiche in quanto le indagini epidemiologiche si basano sulle notifiche; occorre anche considerare che molti casi umani restano asintomatici.

La febbre Q è stata riportata in tutto il mondo ma la per la maggior parte i focolai sono limitati nel tempo e nel numero di pazienti coinvolti. Se il focolaio è rilevante per circolazione del patogeno e ampiezza di diffusione si pone un problema di sanità pubblica, ed è quanto è avvenuto in Olanda fra il 2007 e il 2010 con un focolaio che ha coinvolto più di 4.000 persone, di queste il 20% ha fatto ricorso all’ospedalizzazione e c’è stata una percentuale rilevante di forme croniche.

Nell’uomo, dopo l’esposizione si può sviluppare una forma acuta che spesso evolve in una forma cronica con diverse conseguenze, la più importante delle quali è una lesione valvolare cardiaca (2% dei casi). Il malfunzionamento valvolare che ne deriva può portare a endocardite nell’arco di 2 anni nel 30-60% dei soggetti.

L’infezione può rimanere asintomatica per il 60% dei casi, e anche in caso di sintomi lievi spesso non viene diagnosticata. La forma più grave che richiede ospedalizzazione riguarda solo il 2-5% dei casi. La terapia prevede tetracicline e fluorochinoloni per tempi estremamente lunghi, anche 18 mesi.

La febbre Q può sfociare in una conseguenza cronica e debilitante chiamata QFS (Q fever Fatigue Syndrome): si tratta di una condizione che segue la fase acuta e che coinvolge i principali apparati del corpo. Si verifica in circa il 20% dei soggetti e determina una stanchezza persistente non pericolosa per la vita, ma con pesanti conseguenze sociali ed economiche, in quanto comporta scadimento della qualità di vita e incapacità di lavorare. Questa sindrome è stata identificata come causa principale delle perdite economiche associate all’epidemia olandese del 2007-2010 stimate in oltre 300 milioni di euro.

I focolai in Italia

Il sistema di sorveglianza nazionale ed europeo è garantito dall’EFSA e dall’ECDC (European Centre for Disease Prevention and Control). Pur non esistendo programmi di monitoraggio obbligatori, la positività negli animali dev’essere notificata all’EFSA, che restituisce dei report periodici con valutazione del rischio, raccomandazioni e pareri scientifici. Per quanto riguarda l’uomo, le comunicazioni vengono inoltrate all’ECDC che si occupa di stilare analoghi bollettini.

I focolai umani italiani degli ultimi anni sono risultati sempre legati agli ovicaprini. Nel 1987- 88 sono stati segnalati 235 casi all’interno della comunità di San Patrignano a causa di greggi detenute nella struttura; nel 1993 un focolaio ha coinvolto 58 persone a Vicenza a causa del contatto con greggi vaganti; nel 2003 si sono contati 133 casi in una comunità carceraria, dovuti a greggi vaganti che si erano fermate nelle vicinanze del carcere.

Le infezioni da attribuire al contatto con bovini sono di solito casi singoli e quindi più difficili da diagnosticare. L’unico focolaio è stato quello del 2021 a Bolzano che ha coinvolto 14 persone che avevano visitato una piccola azienda di bovine da latte a vocazione turistica, e avevano assistito a un parto.

  1. 11/3/25. ↩︎

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