Su un recente numero del magazine “Sette” (Corriere della Sera) è stato pubblicato un confronto di antropozoologia tra due giornaliste (Anna Meldolesi e Chiara Lalli) dal titolo intrigante, specie per noi veterinari: “Arriva il senso di colpa per cani e gatti domestici (stiamo esagerando)”. La mancanza del punto interrogativo è significativa del fatto che entrambe le giornaliste, anche se con diverse opinioni e due punti di vista talvolta sostanzialmente dissimili, concordino sul fatto che abbiamo varcato il confine nel nostro rapporto con i pet, fino a sentirci eccessivamente responsabili e colpevoli di trattarli troppo bene e troppo umanamente.
Questo il sottotitolo: “Nel gigantesco mondo delle ansie approda il pet-owner guilt, quello stato d’animo che porta alcuni proprietari a provare inquietudine legata all’idea di trascurare i propri animali: la metà delle persone si dice disposta a rinunciare a eventi sociali, un terzo sottrae tempo alla famiglia umana. Chiamiamoli pure Ugo o Paolo, però è da pazzi (e sbagliato) trattarli come figli”.1

I due punti di vista sul pet-owner guilt
Scrive Meldolesi nel suo incipit: “Spartak odia viaggiare. Se vede una valigia corre a nascondersi sotto l’armadio. Per evitare disagi a lui e graffi a noi, da anni in famiglia facciamo i turni per andare in vacanza cercando di non lasciarlo solo”. E confessa di essere parzialmente preda di una situazione analoga analizzando poi, nel suo testo, problematiche che da anni ci poniamo un po’ tutti. E’ giusto far vivere in casa un felino perennemente in cerca di libertà? E la castrazione? Termina poi il suo articolo, confessando che quando le hanno proposto una terapia comportamentale per un suo gatto ha alzato bandiera bianca “perché non riesco ad andarci io dalla psicologa”.
Molto più tranchant Lalli che scrive: “Il rapporto tra umani e non umani è molto cambiato, almeno in quei mondi privilegiati in cui non abbiamo più bisogno di mangiarli per vivere. Non vale per tutti gli animali non umani ovviamente perché a molti pare non contraddittorio amare Ugo, il cane, alla follia e chiamarlo figlio per poi mangiare una fiorentina senza alcun inciampo morale”. E questa non è certo una novità per gli antispecisti. L’articolista alla fine ricorda poi quando sulla spiaggia, da bambina, ammirava un bel Levriero afgano femmina di nome Yuma: lo ammirava (o forse era solo invidia) perché Yuma “aveva molti più giochi di me”.
Il parere degli esperti
In effetti il problema del sentirsi colpevoli, per qualche ragione, nei confronti dei propri pet è venuto alla ribalta negli ultimi anni e preso in seria considerazione dagli psicologi, che hanno pubblicato diversi studi in merito. Un pregevole articolo uscito su Psychology Today, a firma di L. Herzog, professore emerito di psicologia presso la Western Carolina University evidenzia i seguenti punti:
“Sebbene il senso di colpa dei proprietari di animali domestici nei confronti dei loro pet sia un sentimento comune, solo di recente è stato studiato. Molti proprietari di cani, ad esempio, si sono sentiti in colpa quando sono tornati in ufficio dopo la pandemia. Due recenti studi hanno evidenziato che il senso di colpa dei proprietari di animali domestici assomiglia a quello provato dai genitori di bambini piccoli. Il senso di colpa legato ai pet è associato alla depressione, all’ansia e alle contrastanti esigenze del lavoro e della cura degli animali domestici”.

Scrive Herzog: “Ti è mai capitato di avere il cuore spezzato quando hai lasciato il tuo cane in una pensione per animali prima di partire per una settimana al mare? Ti senti male se il tuo cucciolo ora trascorre le sue giornate da solo perché il tuo capo insiste perché tu torni a lavorare in ufficio? Sei in conflitto con l’idea di costringere il tuo gatto a trascorrere la sua vita in casa 24 ore su 24, 7 giorni su 7, quando sai che vorrebbe tanto stare all’aperto a rincorrere topi e uccellini? Se è così, non sei il solo.
E continua: “In un sondaggio del 2021, oltre la metà degli intervistati ha ammesso di aver provato un senso di colpa in qualità di proprietario di un pet”.
Herzog afferma poi che la maggior parte dei casi, non sorprendentemente, era relativa a cani e gatti, ma parte del senso di colpa dei proprietari riguardava anche esotici come tartarughe, pappagalli, conigli, cavalli e addirittura un pesce rosso di sei anni. Le più frequenti fonti di senso di colpa erano il fatto di aver lasciato da soli i loro animali da compagnia, il non aver dato loro abbastanza attenzioni e il fatto di aver dovuto ricorrere all’eutanasia. Secondo Herzog è strano che, data la sua frequenza e le conseguenze sulla salute mentale, le ricerche sul senso di colpa nei proprietari di animali domestici siano state scarse (se si eccettua il caso dell’eutanasia, ampiamente studiato).
Solo nel 2022 la dott.ssa Lori Kogan, della Colorado State University (USA) ha pubblicato i risultati della prima indagine sul senso di colpa correlato agli animali domestici sulla rivista Animals. In questo studio l’85% dei proprietari di cani e il 75% dei proprietari di gatti negli Stati Uniti aveva dichiarato di considerare i loro animali domestici come membri della famiglia; gli autori hanno quindi ragionato sul fatto che il senso di colpa legato agli animali domestici sarebbe simile al senso di colpa sperimentato dai genitori di “bambini umani”, specialmente in relazione ai conflitti tra educazione dei figli e lavoro.
Senza entrare nei dettagli del lavoro, ecco alcune delle più interessanti conclusioni:
- La maggior parte dei partecipanti ha riferito di aver cambiato i propri comportamenti o modi di pensare agli animali domestici per gestire meglio il senso di colpa legato al loro cane.
- Quasi la metà ha affermato di rifiutare a volte di partecipare a eventi sociali perché si sentiva in colpa a lasciare da solo il proprio cane, mentre un terzo ha ammesso che, a causa del senso di colpa, trascorreva del tempo con il proprio cane a spese di altri membri della famiglia.
- Tre su quattro hanno affermato che ricordarsi che il proprio cane ha una bella vita li ha aiutati a gestire il senso di colpa.
- Il 40% si è semplicemente rassegnato a sentirsi in colpa per vivere con un cane.

In uno studio successivo, sempre della dott.ssa Kogan, sono stati presi in considerazione disturbi d’ansia e depressione legati al pet-owner guilt, i cui risultati si sono mostrati coerenti con quelli del precedente studio. Inoltre, come previsto dagli investigatori, gli individui con un senso di colpa più elevato legato alla cura dei loro cani tendevano ad avere punteggi più elevati di ansia e depressione, osservazione vera anche per i soggetti che provavano sensi di colpa correlati ai conflitti tra le richieste del loro lavoro e quelle legate alla “genitorialità dei pet”.
Non so voi, ma l’argomento mi pare estremamente interessante e meritevole di approfondimento.
- Sette del 9/6/2024 ↩︎