Le patologie epatiche dei rettili possono essere particolarmente insidiose da riconoscere. Tra patologie infiammatorie, metaboliche, neoplastiche, parassitarie e micotiche, è facile commettere degli errori. In questi casi è imperativo conoscere nel dettaglio le caratteristiche e suscettibilità di ogni specie di rettile e gli strumenti diagnostici più adatti.

Le patologie epatiche nei rettili sono insidiose e spesso mostrano sintomi aspecifici. Importante è la combinazione di un’anamnesi accurata con esami diagnostici sia di primo che di secondo livello per arrivare a una terapia mirata e risolutiva per l’animale. Questi gli argomenti al centro del webinar organizzato dalla SIVAE (Società Italiana Veterinaria per Animali Esotici) e tenuto dal relatore dott. Marco Masi, Resident ECZM (European College of Zoological Medicine), area specialistica Erpetologia.

Particolarità dell’apparato epatobiliare dei rettili

Quando si parla di rettili si fa riferimento a moltissime specie diverse di animali, divisi in cheloni (ordine Chelonia o Testudines), sauri (ordine Squamata, sottordine Lacertilia o Sauria) e ofidi (ordine Squamata, sottordine Serpentes). Quindi ogni animale avrà le sue peculiarità che è bene conoscere per poterli curare al meglio.

I cheloni, che sono i rettili più frequentemente visitati nelle cliniche veterinarie, hanno il lobo sinistro del fegato leggermente più piccolo del lobo destro ed è collegato allo stomaco dal legamento gastroepatico. Il lobo destro, invece, è collegato al duodeno grazie al legamento epatoduodenale. La vena porta è la risultante dell’anastomosi delle vene gastriche e intestinali. Il peso dell’organo è pari al 4-5% del peso totale della tartaruga; quindi, in sede di necroscopia potrebbe essere utile pesarlo per valutare in modo abbastanza oggettivo un aumento o una diminuzione di volume dell’organo.

Una particolarità dei serpenti è legata all’assenza di un collegamento epatico della cistifellea. Questa anatomia è importante sia a livello chirurgico che endoscopico.

La maggior parte dei rettili non ha la biliverdina reduttasi, un enzima in grado di trasformare la biliverdina in bilirubina. In conseguenza a ciò i livelli di biliverdina possono essere molto elevati. Questo parametro va interpretato a seconda della specie che si ha davanti, in quanto ha una variabilità di specie molto importante. La poca bilirubina fa sì che risulti difficile, per il veterinario, valutare attraverso le mucose esplorabili (nei rettili sono spesso solo le mucose orali) la presenza di ittero. Per interpretare questo dato è più frequente riscontrare urati di colore verde, per un aumento di biliverdina, piuttosto che mucose giallastre.

Le tecniche diagnostiche più indicate per le patologie epatiche dei rettili

I proprietari di rettili spesso portano i loro animali quando compare inappetenza e apatia, sintomi molto aspecifici che potrebbero riferirsi a varie patologie in vari organi. È bene cominciare la diagnostica con un’accurata anamnesi di gestione e alimentazione. Proprietari che alterano questi parametri hanno spesso animali che nel lungo periodo manifestano patologie epatiche; i rettili sono animali dal metabolismo lento quindi errori gestionali o di alimentazione si possono manifestare anche a distanza di anni, quando l’animale non riesce più a compensare dei parametri ambientali scorretti o un’alimentazione totalmente errata. Proprio per questo motivo le patologie epatiche non si manifestano mai prima dei 4-5 anni di vita.

Il primo esame diagnostico è la valutazione dei parametri ematici tramite esame del sangue completo. L’ipoalbuminemia è indicativa di patologia epatica. AST (aspartato aminotransferasi), LDH (lattato deidrogenasi) e SDH (sorbitolo deidrogenasi) sono enzimi epatici indicativi anch’essi di danno epatico primario, al contrario di ALP (fosfatasi alcalina) e GGT (gamma glutamil transferasi) che invece si alterano in caso di patologie a carico delle strutture biliari sia intraepatiche che post-epatiche. Si potrebbe anche valutare il tempo di coagulazione, ma ci sono pochissimi studi a riguardo e non ci sono valori standardizzati per le varie specie, quindi non è possibile fare confronto.

Se presente iperbiliverdinemia o iperbilirubinemia è necessario valutare 3 macrocategorie, ovvero: cause pre-epatiche come emolisi, cause epatiche come ostruzioni dei dotti biliari all’interno del parenchima epatico e cause post-epatiche come ostruzione del dotto escretore della cistifellea.

Un altro esame utile è lo studio radiografico; tuttavia, i rettili non hanno un elevato contrasto a livello addominale, per cui è possibile ottenere informazioni importanti solo se si rilevano mineralizzazioni epatiche a seguito di un processo infiammatorio cronico.

L’ecografia è un esame molto utilizzato, soprattutto in ofidi e sauri che, al contrario dei cheloni, non hanno impedimenti anatomici importanti. Da tenere in considerazione il fatto che questo è un esame operatore e/o macchinario dipendente. Se si rilevano masse o lesioni nodulari di natura non ben definita è importante utilizzare il color doppler per valutare la vascolarizzazione della massa; se non c’è vascolarizzazione verosimilmente si è di fronte a un nodulo ascessuale o granulomatoso, se invece essa è presente potrebbe trattarsi di una massa tumorale.

Il color doppler è utilizzato anche per valutare la vascolarizzazione del parenchima epatico in quanto un suo aumento può far pensare a un’infiammazione.

Aree ipoecogene all’interno della struttura epatica fanno invece pensare a necrosi del tessuto; in questi casi, se la taglia dell’animale lo permette, è indicato procedere con una emocoltura per escludere patologie batteriche gravi.

È importante sapere che è disponibile la contrastografia ecografica con mezzo di contrasto endovenoso a base di esafluoruro di zolfo che accentua l’ecogenicità del sangue. Il principio attivo è un gas che poi viene eliminato attraverso l’aria espirata.

Nelle ecografie dei rettili spesso viene diagnosticata la lipidosi epatica per un aumento dell’ecogenicità del parenchima epatico ma ciò non è propriamente corretto. La lipidosi epatica deve essere confermata attraverso un esame istologico. Alcuni animali, come le femmine che hanno un riassorbimento follicolare o femmine in bruma possono avere fegato in lipidosi epatica. Quindi nei rettili ci sono momenti in cui questa condizione è parafisiologica.

TC e RM sono esami qualitativamente superiori; sono più invasivi rispetto ai precedenti in quanto per essere effettuate necessitano che l’animale sia in anestesia. Sicuramente sono il gold standard per i cheloni in quanto l’anatomia non permette una buona riuscita delle precedenti metodiche.

Parassitosi epatiche: attenzione a Mesocestoides, Choleoeimeria ed Entamoeba

Tra le patologie epatiche di grande importanza nei rettili vi sono le parassitosi da Mesocestoides (genere appartenente alla classe Cestoda): essi hanno come ospite definitivo l’apparato intestinale di mammiferi carnivori: mentre il secondo stadio larvale chiamato tetratiridio si trova comunemente in serpenti, sauri e anfibi. Questi ultimi si infestano ingerendo la larva al primo stadio, detta cisticercoide, che si trova in piccoli invertebrati, tra i quali tipicamente le formiche. Nei sauri e nei serpenti il tetratiridio si incapsula in cisti disseminate in vari organi tra cui il fegato e in tutta la cavità celomatica. La diagnosi è spesso istologica poiché non si rinvengono uova del parassita nelle feci.

Un altro parassita che colpisce preferibilmente la cistifellea è Choleoeimeria, ovvero un parente prossimo dei coccidi del genere Eimeria. Esso porta a un’alterazione della mucosa interna della cistifellea con perdita dei microvilli cellulari e stasi biliare dovuta all’arresto del funzionamento dell’organo. La si trova principalmente in Pogona vitticeps (drago barbuto).

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Un esemplare di Pogona vitticeps. Questi animali sono particolarmente sensibili alle infestazioni da Choleoeimeria, un protozoo strettamente correlato ai coccidi del genere Eimeria, e alle micosi da Metarhizium viride e Nannizziopsis guarroi (malattia da fungo giallo).
© Marco Lissoni – shutterstock.com

Un altro parassita che normalmente non viene messo in correlazione con il fegato, ma dovrebbe, è Entamoeba invadens, un amebozoo che colpisce principalmente l’intestino e che ha un’elevata morbilità e mortalità soprattutto nei sauri e negli ofidi. Spesso cheloni e coccodrilli sono portatori del patogeno. L’animale si infesta ingerendo cisti infette rilasciate nell’ambiente da un altro animale ammalato attraverso le feci. Il parassita, una volta ingerito, invade la mucosa gastrica e intestinale dando ulcere e coliti che portano a diarrea, disidratazione e anoressia.

E. invadens riesce a raggiungere altri organi per via ematica, soprattutto reni e fegato dando ascessi e necrosi focali. La diagnosi è su campione fresco di feci dove si possono vedere i trofozoiti, ed è bene ricordare che i campioni con più elevata carica di trofozoiti sono sicuramente quelli contenenti muco e sangue. L’identificazione precisa del trofozoita è di fondamentale importanza perché nei rettili vi sono anche specie di amebe simili ma non patogene che possono creare difficoltà nel riconoscimento e fuorviare la diagnosi.

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Une esemplare di Heterodon nasicus, un potenziale ospite di
Entamoeba invadens, un amebozoo estremamente patogeno per i serpenti capace di portare alla morte il soggetto a causa della grave sintomatologia gastroenterica. A livello epatico questo agente patogeno può causare ascessi o necrosi focali.
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La prevenzione è fondamentale e prevede: sanificazione ambientale, isolamento dei soggetti sospetti con test in serie per verificare la presenza dei trofozoiti nelle feci e quarantena per i nuovi ingressi in allevamento.

Il trattamento dei soggetti infetti avviene in genere con metronidazolo ma va curata anche l’eventuale disidratazione presente e l’anoressia. Nelle infestazioni importanti potrebbe essere necessario l’utilizzo di due farmaci amebicidi contemporaneamente oppure di un farmaco antibiotico insieme a un amebicida in quanto i batteri accompagnano le amebe nelle infezioni intestinali perpetuando il problema.

Micosi con interessamento del fegato: Metarhizium e malattia da fungo giallo

Un’altra malattia importante che coinvolge il fegato è l’epatite micotica sostenuta da Metarhizium viride che colpisce soprattutto i sauri (Pogona spp., camaleonti e iguane). Essa è una micosi sistemica che inizialmente dà patologia granulomatosa alla lingua e alle strutture dell’orofaringe poi si approfonda e diventa sistemica colpendo anche il fegato con la presenza di tantissimi noduli biancastri. Solo l’istologia ci permette di fare diagnosi.

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I camaleonti sono soggetti alle micosi da Metarhizium viride, una patologia granulomatosa sistemica.
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Una micosi tipica di P. vitticeps è la cosiddetta malattia da fungo giallo ovvero la malattia fungina più comune nei rettili in cattività. La patologia è chiamata così perché causa una colorazione della pelle giallastra o giallo-marrone. Può essere causata da varie specie di funghi, la più comune è Nannizziopsis guarroi. Data la sua diffusione, viene sempre inclusa nella lista delle possibili diagnosi in ogni Pogona spp. che ha problemi cutanei.

Le lesioni iniziali consistono in piccole croste gialle o marroni sulla superficie di alcune squame, con il tempo le lesioni si allargano e si formano nuove lesioni che progressivamente si ispessiscono e diventano più scure. Man mano che la malattia progredisce può diffondersi a polmoni, fegato, milza e ai cuscinetti di grasso dell’addome.

La sintomatologia consiste in inappetenza, perdita di peso e infine, nei casi più gravi, la morte.

La malattia da fungo giallo è contagiosa e si trasmette da un animale all’altro sia attraverso il contatto diretto che attraverso l’aria. I giovani draghi barbuti sembrano essere più vulnerabili alla malattia rispetto agli adulti.

La diagnosi richiede l’esecuzione di una biopsia cutanea e l’esame istologico. Si consiglia sempre di fare ulteriori accertamenti per verificare lo stato degli organi interni e fare una “stadiazione” della malattia in atto in quanto animali che hanno già una disseminazione delle lesioni avranno una prognosi peggiore.

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