Il nuovo caso di influenza aviaria registrato nell’uomo nel 2024 negli USA, a causa di contatti con bovini infetti, riapre la questione del pericolo di spillover e di pandemia globale. Attualmente, fortunatamente, questo scenario è assai remoto.

Il 30 maggio 2024, l’agenzia di stampa REUTERS ha pubblicato un articolo in cui riferiva del terzo caso sintomatico di influenza aviaria (IA) nell’uomo collegato all’epidemia di IA nelle vacche da latte degli Stati Uniti, e il parere dei principali Enti in gioco, prima di tutti il Centro statunitense per la prevenzione e il controllo delle malattie (CDC) di Atlanta. Un terzo lavoratore del settore lattiero-caseario statunitense infatti è risultato positivo all’influenza aviaria dopo l’esposizione a vacche infette ed è la prima persona a soffrire di problemi respiratori.

Il caso precedente di influenza aviaria umana (2° caso) è avvenuto nel Michigan (lo Stato americano con più casi di influenza aviaria nei bovini da latte), mentre il primo caso è avvenuto in Texas.

I primi due casi umani hanno manifestato solo congiuntivite, o arrossamento dell’occhio e si sono ristabiliti con terapia antivirale, il terzo lavoratore risultato positivo ha riferito problemi al tratto respiratorio superiore con sintomi tra cui tosse senza febbre e fastidio agli occhi con lacrimazione. Anch’esso è stato posto in isolamento e ha ricevuto un trattamento antivirale, con cui i sintomi si sono risolti.

L’epidemia americana di H5N1

L’ultimo caso di influenza aviaria non cambia la valutazione del CDC, secondo cui questa patologia è a basso rischio per la popolazione proprio perché non vi sono evidenze di trasmissione da uomo a uomo. Secondo lo stesso Centro, era scontato attendersi sintomi respiratori in linea con quanto è avvenuto nel passato con i nuovi virus influenzali. Allo stesso tempo, questi sintomi aumentano le probabilità di diffusione e di esposizione al virus rispetto ai sintomi “oculari”.

Nel frattempo, il Michigan ha deciso di testare i lavoratori degli allevamenti da latte sede di infezione da influenza aviaria.

Secondo i dati del CDC, l’attuale epidemia di influenza aviaria tra i bovini da latte ha colpito, tra marzo e fine giugno 2024, più di 120 allevamenti da latte in 12 Stati. I contatti familiari del terzo caso non hanno mostrato sintomi: si trattava di un addetto impiegato in un’azienda agricola diversa da quella del precedente caso in Michigan individuato il 22 maggio 2024. Il CDC ha segnalato il primo caso umano collegato a bovini da latte, in Texas, il primo aprile 2024.

Nessuno dei 3 casi umani di influenza aviaria è associato agli altri, ha detto l’Agenzia.

Anche se in questo erano presenti sintomi respiratori, è da considerare ancora un caso lieve, ciò evidenzia comunque il rischio specifico dei lavoratori degli allevamenti da latte.

Dott. Amesh Adalja, esperto di malattie infettive presso il Johns Hopkins Center for Health Security.

I funzionari del CDC stanno testando i campioni di sangue degli addetti per individuare eventuali segni di infezione precedente, per comprendere la diffusione dell’infezione e il ruolo degli stessi addetti, anche perché la diffusione tra gli esseri umani potrebbe aumentare la probabilità di mutazione e il rischio di pandemia.

Il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) ha lanciato un programma pilota per consentire agli allevatori di analizzare il latte di massa o testare singoli animali. Inoltre, entro l’estate 2024 saranno prodotti 4,8 milioni di dosi di vaccino contro l’influenza aviaria nell’uomo e nei bovini da latte.

Le possibili fonti di contagio

Il numero crescente di casi umani ha dato impulso allo studio delle mutazioni del virus per capire se il bovino è la specie che potrebbe far mutare il virus verso l’uomo. Un articolo su NATURE pone l’attenzione sulle gocce di latte crudo che contamina le attrezzature di mungitura, come probabile mezzo di diffusione tra le vacche in lattazione di uno stesso allevamento.

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La principale via di trasmissione tra vacche è attraverso la contaminazione delle attrezzature di mungitura con latte crudo infetto. © sergey kolesnikov -shutterstock.com

La mammella bovina in lattazione è un ottimo ambiente di moltiplicazione del virus, a cui si aggiunge il fatto che presenta recettori per il virus: infatti un lavoro di ricercatori danesi, rimbalzato su molti siti anche italiani, mostra che la ghiandola mammaria di una vacca da latte presenta recettori costituiti da acidi sialici, che sono diversi tra le specie animali, sia di tipo “anatra” sia di tipo “umano”, che potrebbero renderla un bersaglio naturale per il virus dell’influenza aviaria. La contemporanea presenza di questi recettori fa pensare al possibile adattamento ai recettori umani e quindi apre al rischio di mutazione.

Per quanto riguarda le carni, la ricerca ha confermato che quelle trattate termicamente, ancorché contengano il virus IA, non rappresentano un rischio per il consumatore; lo stesso probabilmente vale per il latte in vendita pastorizzato, nonostante in uno studio siano stati trovati resti di particelle virali, in un campione su 5 di latte.

Influenza aviaria umana nel mondo  

Attualmente i casi umani sono sporadici, confinati ad alcune zone dell’Asia, soprattutto Cina, India, Vietnam e Cambogia. Dal sito Promedmail si evidenzia che nel mese di maggio 2024 sono stati 18 i casi di IA negli uomini nel mondo, mentre dal 2003 al 22 maggio 2024, sono stati segnalati all’OMS 891 casi di infezioni umane da influenza aviaria A(H5N1), inclusi 463 decessi, da 24 Paesi. Quasi tutti questi casi sono stati collegati a uno stretto contatto con uccelli infetti vivi o morti o ad ambienti contaminati.

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I casi che hanno interessato l’uomo sono sempre stati ricondotti a contatti stretti da essere umano e avicoli. © poo – shutterstock.com

In ordine di tempo, gli ultimi casi, oltre ai tre degli Stati Uniti, riguardano una bambina in Australia (ma rientrante da un soggiorno in India) con sintomatologia che la ha portata al ricovero in terapia intensiva, e uno mortale in Cina. In questo Paese il clade più diffuso è 2.3.4.4b A (H5N6) e dall’inizio dell’epidemia ha provocato 90 casi nell’uomo; verso questo clade si concentravano le azioni consigliate dall’OMS nel 2021. Ora però, il coinvolgimento dei bovini potrebbe portare a dover riconsiderare tutto.

Valutazione dell’OMS del rischio associato HPAI H5N6

L’aumento del numero di casi umani segnalati di infezione da A (H5N6) può riflettere la diffusione di questi virus nel pollame, ma anche una maggiore capacità diagnostica e una maggiore consapevolezza dell’eziologia delle malattie respiratorie tra i sistemi sanitari umani.

Se la circolazione del virus negli uccelli continua, le infezioni umane continueranno. Non è chiaro se i virus del clade 2.3.4.4b A (H5N6), precedentemente identificati in un singolo caso umano in Cina nel 2017, abbiano potenziato il potenziale zoonotico intrinseco rispetto ad altri sottotipi e cladi di HPAI A (H5) che hanno causato infezioni umane negli anni precedenti.

Sebbene marcatori genetici noti per essere associati all’adattamento dei mammiferi siano stati identificati sporadicamente in singoli casi a seguito dell’infezione da H5N6, questi cambiamenti non erano presenti nei virus ambientali o del pollame in campo e probabilmente riflettono mutazioni intra-ospite.

Sebbene la minaccia zoonotica rimanga elevata a causa della possibile diffusione del virus negli uccelli, sulla base delle prove finora disponibili, il rischio pandemico complessivo non si ritiene cambiato in modo significativo rispetto agli anni precedenti. Ridurre il rischio per gli esseri umani dipende in gran parte dalla riduzione della circolazione del virus nel pollame, dalla minimizzazione della quantità di virus negli ambienti, dall’interfaccia uomo-animale (ad esempio, mercati e allevamenti di uccelli vivi) e dalla mitigazione dell’esposizione a uccelli potenzialmente infetti.

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