Le infezioni nosocomiali possono rivelarsi un grande problema per la sanità animale e pubblica. Conoscerne le modalità di diffusione e gli agenti eziologici è di fondamentale importanza per il clinico dei piccoli animali.

Cosa si intende per infezioni nosocomiali

Le infezioni nosocomiali, altrimenti denominate infezioni associate alle cure ospedaliere, sono definite come malattie infettive da cui l’animale non è né affetto né ha in incubazione al momento del ricovero. Più precisamente, un’infezione si considera nosocomiale se si sviluppa 48 ore dopo il ricovero in clinica senza segni di incubazione precedenti, o se un’infezione si manifesta in un periodo compreso fino a 3 giorni dopo la dimissione, e fino a 30 giorni in caso di intervento chirurgico. L’ospedalizzazione degli animali da compagnia in cliniche in cui la densità è importante, predispone all’emergenza di infezioni legate alle cure ospedaliere.

Secondo la definizione più accettata, le infezioni nosocomiali si verificano durante o dopo il trattamento di un paziente o di un animale (diagnosi, terapia palliativa, preventiva o educativa). Il criterio principale che definisce queste infezioni sono l’esecuzione di un’azione o di un trattamento in senso lato da parte di un professionista della salute. Non viene fatta alcuna distinzione in merito al luogo in cui viene prestata la cura.

Epidemiologia

Si identificano tre grandi fattori di rischio di acquisizione delle infezioni nosocomiali: lo stato dell’animale (età, infezioni sottostanti), la natura delle terapie (a scopo diagnostico, terapeutico, palliativo, preventivo od operatorio) e l’ambiente in cui sono somministrate le cure (locali, igiene del personale, organizzazione delle terapie, status di portatori degli animali, eventuali visitatori).

Per quanto concerne la trasmissione delle infezioni nosocomiali, vengono prese in considerazione due vie: endogena ed esogena.

La via esogena riguarda le contaminazioni ambientali, il materiale ospedaliero e gli agenti patogeni presenti negli altri animali ospedalizzati. La contaminazione avviene tramite contatto diretto, nella maggior parte dei casi tramite un vettore, potenzialmente rappresentato dal personale curante, da materiale, da una superficie contaminata o ancora per via aerea in caso di malattie respiratorie (calicivirus, herpesvirus nel gatto, virus della parainfluenza nel cane). Inoltre, viene ritenuto ampiamente plausibile che la propagazione più frequente delle infezioni nosocomiali si produca tramite le mani del personale curante, da cui l’importanza dello stretto rispetto delle misure di igiene classiche.

Per prevenire l’insorgenza di patologie nosocomiali è inoltre indispensabile una maggiore igiene dell’ambiente, tramite l’allestimento di una zona di isolamento per gli animali potenzialmente in grado di contaminare le superfici o il materiale.

infezioni-nosocomiali-igiene-personale
L’igiene del personale deve essere impeccabile sia tra una visita di routine e l’altra, sia nella preparazione chirurgica.
© santypan – shutterstock.com

La via endogena rappresenta la contaminazione di una parte del corpo di un animale da parte dei germi presenti su un’altra parte del proprio corpo. Si tratta di un trasferimento di agenti patogeni. Questi ultimi possono provenire dalla flora commensale dell’animale o da un patogeno nosocomiale acquisito durante l’ospedalizzazione. I batteri sono i patogeni più frequentemente coinvolti nelle infezioni nosocomiali, in particolare per contaminazione di un ferita o delle vie urinarie da parte di un batterio che proviene dalla flora digerente (per esempio sovrainfezione di una ferita o cistite da Escherichia coli). Analogamente a quanto avviene per la via esogena, le misure di igiene delle mani, del materiale e dei locali sono fondamentali per impedire tali traslocazioni batteriche.

modalità-di-trasmissione-infezioni-nosocomiali
Modalità di trasmissione più frequenti delle infezioni nosocomiali.

Le più frequenti infezioni nosocomiali

Le infezioni nosocomiali più frequentemente riscontrate in ambiente ospedaliero veterinario
sono le patologie batteriche, tra cui alcune possono rappresentare un rischio zoonosico e/o di antibioticoresistenza. Anche le malattie virali, in una percentuale meno importante, sono coinvolte, in particolare a livello di popolazione felina (calicivirus) e canina (agente della tosse dei canili, per esempio). Le infezioni nosocomiali di origine parassitaria restano invece molto rare in medicina canina e felina.

Infezioni batteriche

A partire dal 1978, sono stati descritti i primi casi di infezioni nosocomiali in ambiente ospedaliero veterinario, con la presenza di batteri quali Klebsiella spp.. In seguito, altri agenti batterici come Serratia marcescens, Escherichia coli, Clostridium perfringens, Staphylococcus spp., Clostridium difficile, Acinetobacter baumannii, o Salmonella spp. sono stati identificati quali agenti eziologici di infezioni nosocomiali nel gatto e nel cane.

I più frequenti agenti batterici isolati nelle infezioni nosocomiali nel cane e nel gatto?
  • Bordetella bronchiseptica
  • Chlamydophila felis (gatto)
  • Salmonella spp.
  • Escherichia coli
  • Enterococcus spp.
  • Acinetobacter spp.
  • Staphylococcus spp.
  • Pseudomonas spp.
  • Serratia marcescens
  • Clostridium difficile

Serratia marcescens è un batterio Gram negativo della famiglia delle Enterobacteriaceae, presente nell’ambiente (piante, terreni, acque, insetti, feci). Inizialmente considerato un batterio saprofita, è in seguito stato identificato come all’origine di numerosi casi di infezioni nosocomiali in medicina umana, più spesso all’interno delle unità di terapia intensiva pediatrica.

Oltre a possedere una resistenza naturale ad alcuni antibiotici (in particolare alle tetraicicline e all’associazione amoxicillina-acido clavulanico), questo batterio sarebbe in grado di resistere alla clorexidina, il che ne favorirebbe la disseminazione e la persistenza in ambiente ospedaliero attraverso soluzioni disinfettanti. In effetti, è stato recentemente descritto in centro ospedaliero veterinario francese un caso di patologia nosocomiale conseguente alla persistenza di Serrartia marescens in un contenitore di soluzione di clorexidina utilizzato per disinfezioni pre-operatorie.

In questo studio la concentrazione minima inibente del ceppo di S. marcescens identificato nella soluzione di clorexidina contaminata è risultata sorprendentemente elevata (128 mg/l, vs 16-32 mg/l per gli altri ceppi isolati). Gli animali colpiti presentavano principalmente una sovrainfezione dei siti chirurgici (ossa, articolazioni, materiale di osteosintesi) o ancora dei sistemi di derivazione urinaria (o subcutaneous ureteral bypass, SUB).

infezioni-nosocomiali-osteosintesi
Esempio di infezioni batteriche nosocomiali su materiale di osteosintesi in un cane. Si noti la deiscenza secondaria della ferita, qui nel contesto di una frattura dell’ileo.
© Marine Kerjean

In uno studio meno recente, anche Clostridium difficile, batterio Gram positivo della famiglia delle Clostridiaceae, è stato isolato in diversi siti di un ospedale veterinario universitario (nell’8,1 % dei campioni prelevati), il che dimostra la frequente persistenza di questi germi nelle zone di passaggio e nei diversi luoghi in cui il pavimento presenta superfici irregolari e difficili da pulire.

A partire dalle prime infezioni nosocomiali descritte nel 2011 nei centri ospedalieri veterinari europei, Acinetobacter baumannii è stato identificato come agente patogeno emergente Gram negativo, della famiglia delle Moraxellaceae, il cui profilo di antibioticoresistenza è particolarmente preoccupante sia in medicina umana che veterinaria.

In medicina umana questo batterio è stato riportato come associato a numerosi casi di infezioni nosocomiali mortale ed è divenuto oggetto di preoccupazione a causa del suo carattere multiresistente. Fa parte del gruppo di batteri Eskape (per Enterococcus faecium, Staphylococcus aureus, Klebsiella pneumoniae, Acinetobacter baumannii, Pseudomonas aeruginosa ed Enterobacter spp.), riconosciuti come cause maggiori dello sviluppo di infezioni antibioticoresistenti su scala mondiale.

Infine, vengono spesso riportati numerosi casi di infezioni nosocomiali da Salmonella spp. (batterio Gram negativo della famiglia delle Enterobacteriaceae) negli ospedali veterinari per grandi animali e nelle strutture miste per grossi e piccoli animali. In uno studio condotto in un ospedale veterinario universitario del Colorado (USA), l’8,3% dei campioni prelevati sui pavimenti o sulle superfici regolarmente in contatto con le mani si è rivelato positivo a Salmonella enterica dopo una coltura.

Il batterio è stato più frequentemente identificato nei locali dedicati alla terapia negli allevamenti di animali da reddito (13 % di campioni positivi), davanti ai locali occupati dai piccoli animali (9,8 %) e dagli equidi (4 %). Per spiegare questi risultati, è stata sospettata una disseminazione interspecifica attraverso l’ambiente.

Negli ospedali per carnivori domestici sono stati anche descritti in letteratura alcuni casi di infezioni nosocomiali di gruppo, senza dubbio favorita dal fatto che i cani venivano ospedalizzati uno dopo l’altro nella stessa gabbia. Questa gabbia, probabilmente non correttamente disinfettata, sarebbe all’origine di infezioni nosocomiali contratte dagli animali che vi hanno soggiornato.

In un altro studio, il 2% dei cani ospedalizzati aveva contratto una salmonellosi dello stesso ceppo. Tutti questi agenti, che possono inizialmente provenire dalla flora commensale degli animali da compagnia o dall’ambiente, provocano, in caso di infezioni nosocomiali, infezioni del tratto urinario o ferite nei siti chirurgici, diarrea, broncopolmoniti o flebiti, o anche setticemia.

In ogni caso, tenuto conto dell’importante prevalenza dei casi di leptospirosi all’interno della popolazione canina mondiale e del rischio zoonosico inerente a questa malattia, sembra interessante evidenziare che, al momento in cui questo lavoro è stato scritto, non è stato confermato alcun caso di leptospirosi nell’uomo come malattia nosocomiale o malattia professionale a partire da un caso canino, il che conferma il carattere eccezionale della trasmissione tra ospiti accessori.

Infezioni virali

Per quanto riguarda le malattie virali nosocomiali, la popolazione felina è la più rappresentata nella letteratura attuale ed è regolarmente vittima di epidemie dovute al calicivirus felino. In percentuali minori,
sono stati riportati alcuni casi epidemici di parvovirosi felina e canina, oltre a epidemie provocate dai virus respiratori nella popolazione canina (tosse dei canili).

I più frequenti agenti virali isolati nelle infezioni nosocomiali nel cane e nel gatto?
  • calicivirus (felino)
  • herpesvirus (felino)
  • adenovirus (canino)
  • influenza (cane)
  • virus parainfluenza (canino)
  • coronavirus respiratorio (canino)
  • morbillivirus (cimurro, cane)
  • parvovirus (felino, canino)

Nel gatto: calicivirus e parvovirus

Il calicivirus felino è un virus a RNA senza envelope dotato di elevata contagiosità che circola attivamente nella popolazione felina. Provoca generalmente segni moderati di interessamento dell’apparato respiratorio superiore (rinite, ulcere buccali). Tuttavia, questo virus, dotato di elevata capacità di mutazione, può provocare l’emergenza di ceppi sistemici ipervirulenti e altamente patogeni, all’origine di gravi lesioni cutanee (edemi, ulcere, necrosi), di ittero, sepsi, coagulazione intravasale disseminata, insufficienze organiche multiple e spesso di morte.

infezioni-nosocomiali-calicivirus-gatto
Gatto con una forma sistemica di calicivirus ipervirulento. Si noti l’edema secondario degli arti, più marcato sull’arto toracico sinistro.
© Élisabeth Robin.

Per quanto noto agli autori, fino a oggi è stata riportata oltre una decina di epidemie di calicivirus sistemico all’interno di ospedali veterinari europei (francesi e italiani), statunitensi, cinesi e australiani. In questo studio, il tasso di mortalità varia dal 30 al 70% con un tasso massimo del 79% per l’ospedale di un’università francese.

Oltre a essere contagioso, questo virus presenta una certa resistenza nell’ambiente e non è sensibile all’insieme degli agenti disinfettanti per la cute o i pavimenti, tra cui alcune soluzioni disinfettanti per le mani. Alcune pubblicazioni hanno in effetti dimostrato la superiorità dell’efficacia dell’ipoclorito di sodio per la pulizia delle superfici, delle soluzioni concentrate di etanolo (o isopropanolo) per le soluzioni disinfettanti senza risciacquo per le mani, e dell’importanza fondamentale del tempo di contatto con il prodotto disinfettante.

Il mancato rispetto delle misure sanitarie in caso di presenza di un gatto positivo al calicivirus o l’uso di prodotti detergenti non adatti possono in parte spiegare l’ampiezza dell’intervallo tra i tassi di mortalità riportati in precedenza.

Ultimamente, i progressi compiuti in medicina umana sulla ricerca di soluzioni disinfettanti antivirali efficaci contro i norovirus – responsabili di gravi forme di gastroenterite umana e appartenenti alla famiglia dei Caliciviridae, come il coronavirus felino – hanno permesso di scoprire nuovi agenti antivirali promettenti, tra cui l’epogalloicatechina-3-gallato-palmitato (EC16), un composto derivato da polifenoli del the verde che consentirebbe diminuire di oltre il 99,99 % l’infettività del calicivirus felino in 60 secondi.

Nei casi di epidemia precedentemente citati, numerosi gatti colpiti erano vaccinati contro il calicivirus. La protezione fornita dai vaccini attualmente disponibili resta purtroppo incompleta, poiché non protegge contro tutti i ceppi potenzialmente incriminati e giustifica le precauzioni da prendere in caso di sospetto di calicivirus in caso di ricovero di un animale in ospedale. Sono in corso ricerche al fine di migliorare la protezione vaccinale.

Il parvovirus felino è un virus a DNA privo di envelope, anch’esso dotato di grande resistenza nell’ambiente e contagiosità elevata. Essendo in grado di persistere mesi in un ambiente contaminato conservando il proprio potere infettivo, rappresenta un pericolo non trascurabile per i gatti ospedalizzati dopo o contemporaneamente a un animale che ha contratto il parvovirus.

Fortunatamente, la protezione offerta dai diversi vaccini a virus vivo modificato presenti sul mercato è efficace e di lunga durata (fino a 7 anni) nel caso in cui la prima vaccinazione sia stata effettuata correttamente e l’animale non sia esposto a situazioni a rischio (vita in ricovero, esposizioni). In questo modo, l’infezione virale si verifica più frequentemente nei gatti non vaccinati e nei gattini la cui protezione vaccinale è incompleta.

Letargia, febbre e anoressia sono le anomalie cliniche più spesso segnalate nel gatto, contrariamente al cane nel quale le diarree acute con ematochezia predominano, contro il 3-15% dei casi felini. Il tasso di mortalità è particolarmente elevato (50-80%); i fattori prognostici negativi sono la presenza di leucopenia, neutropenia, ipoalbuminemia o ipokaliemia al momento del ricovero.

La maggior parte dei casi di parvovirosi felina o canina riportati in letteratura negli ultimi anni sono stati rilevati in gattili e canili, in rifugi o in cani di privati che vivono su isole. Per quanto noto agli autori, non è stato mai descritto alcun caso di infezione nosocomiale da parvovurus felino o canino in ambiente ospedaliero. In ogni caso, questa informazione non deve dar luogo a un calo della vigilanza quanto alle misure di profilassi da mettere in atto.

Inoltre, come per i calicivirus, non tutti gli agenti detergenti sono efficaci contro il parvovirus e la scelta di questi ultimi è fondamentale per prevenire le contaminazioni legate all’ambiente. I disinfettanti efficaci sono l’ipoclorito di sodio (concentrazione al 5-6%), il perossido di idrogeno (acqua ossigenata) e il perossimonosolfato di potassio.

Nel cane: tosse dei canili

All’interno della popolazione canina, gli agenti responsabili della tosse dei canili sono considerati all’origine di patologie nosocomiali. I principali virus del complesso di patologie respiratorie canine (denominato CIRDC per canine infectious respiratory disease complex) sono il virus parainfluenza (CPIV), il virus influenza (CIV), l’adenovirus canino di tipo 2 (CAdV-2), l’herpesvirus canino (CaHV-1) e il coronavirus respiratorio (CRCoV), che possono essere associati a batteri (tra cui Mycoplasma spp., Streptococcus zooepidemicus, Bordetella bronchiseptica). Questo gruppo di agenti patogeni provoca molto spesso segni clinici modesti conseguenti a tracheobronchite e causa raramente polmoniti.

Nel 2019, uno studio prospettico condotto su 209 cani, visitati per la presenza di segni respiratori in ospedali privati e pubblici in Tailandia, ha esaminato l’incidenza di sei virus del complesso della tosse dei canili (CIV, CPIV, CRCoV, CAdV-2, CaHV-1, e il virus del cimurro, il canine distemper virus o CDV). La popolazione studiata è stata divisa in due gruppi, il primo con i cani che avevano contratto un’infezione respiratoria dopo essere stati inseriti in una comunità, e il secondo con i cani che erano stati infettati dopo avere frequentato un ospedale veterinario. L’infezione più rappresentata nei due gruppi è quella da influenza canina e coronavirus canino.

La rilevazione di più virus (da uno a cinque) nello stesso animale è frequente e riguarda l’81,2% dei cani del primo gruppo e il 78,9% di quelli del secondo gruppo con reazione a catena della polimerasi (PCR) positiva per due o più virus. Non si osserva alcuna differenza significativa tra i due gruppi, a eccezione di una maggiore prevalenza di CDV nei cani soggiornanti in comunità rispetto ai conspecifici che hanno contratto un’infezione nosocomiale.

Questi risultati dimostrano la frequenza del l’infezione da diversi virus di questo complesso di infezione respiratoria, nonché l’elevata prevalenza di questi virus tra la popolazione canina in questo paese.

Un secondo studio condotto nel 2013 in un ospedale veterinario universitario negli Stati Uniti (Ontario) ha descritto un’epidemia dovuta a un virus parainfluenza canina in cinque cani ricoverati in successione nella stessa gabbia o in contatto fisico soltanto per alcuni minuti. Questo esempio testimonia anche l’elevata contagiosità del virus della parainfluenza canina.

A differenza del parvovirus e del calicivirus precedentemente citati, il CPIV è un virus con con envelope che quindi ha una debole resistenza nell’ambiente. La sua trasmissione avviene principalmente per aerosol respiratorio e per contatto tra cani.

Bibliografia

Abreo E, Altier N. Pangenome of Serratia marcescens strains from nosocomial and environmental origins reveals different populations and the links between them. Nature. 2019;9 (1):46.

Adamson V, Mitt P, Pisarev H et coll. Prolonged outbreak of Serratia marcescens in Tartu University Hospital: a case-control study. BMC Infect. Dis. 2012;12:281.

Allen JL, Doidge NP, Bushell RN et coll. Healthcare-associated infections caused by chlorhexidine-tolerant Serratia marcescens carrying a promiscuous IncHI2 multi-drug resistance plasmid in a veterinary hospital. PLoS One. 2022;17 (3):e0264848.

Ayobami O, Brinkwirth S, Eckmanns T et coll. Antibiotic resistance in hospital-acquired ESKAPE-E infections in low- and lower-middle-income countries: a systematic review and meta-analysis. Emerg. Microbes Infect. 2022;11 (1):443-451.

Barrs VR. Feline panleukopenia: a re-emergent disease. Vet. Clin. North Am. Small Anim. Pract. 2019;49 (4):651-670.

Baudin C. Prévention des infections nosocomiales au centre hospitalier universitaire d’Alfort: étude bibliographique, évaluation expérimentale de l’hygiène des mains et rédaction de recommandations concernant l’hygiène des mains. Thèse doct. vét. ENV d’Alfort. 2012:131p.

Bordicchia M, Fumian TM, Van Brussel K et coll. Feline calicivirus virulent systemic disease: clinical epidemiology, analysis of viral isolates and in vitro efficacy of novel antivirals in australian outbreaks. Viruses. 2021;13 (10):2040.

Burgess BA, Morley PS. Risk factors for veterinary hospital environmental contamination with Salmonella enterica. Epidemiol. Infect. 2018;146 (10):1282-1292.

Caringella F, Elia G, Decaro N et coll. Feline calicivirus infection in cats with virulent systemic disease, Italy. Res. Vet. Sci. 2019;124:46-51.

Chiu S, Skura B, Petric M et coll. Efficacy of common disinfectant/cleaning agents in inactivating murine norovirus and feline calicivirus as surrogate viruses for human norovirus. Am. J. Infect. Control. 2015;43 (11):1208-1212.

Deschamps JY, Topie E, Roux F. Nosocomial feline calicivrus-associated virulent systemic disease in a veterinary emergy and critical care unit in France. JFMS Open Rep. 2015;1 (2):2055116915621581.

Dickinson D, Marsh B, Shao X et coll. Virucidal activities of novel hand hygiene and surface disinfectant formulations containing EGCG-palmitates (EC16). Am. J. Infect. Control. 2022;S0196-6553 (22) 00469-2.

Eggimann P, Pittet D. Infection control in the ICU. Chest. 2001;120 (6):2059-2093.

ESA. Plateforme d’épidémiosurveillance en santé animale. En ligne sur www.plateforme-esa.fr.

Gainor K, Bowen A, Bolfa P et coll. Molecular investigation of canine parvovirus-2 (CPV-2) outbreak in Nevis island: analysis of the nearly complete genomes of CPV-2 strains from the Caribbean region. Viruses. 2021;13 (6):1083.

GDS France. Présentation générale : une histoire mutualiste au service de la santé animale. En ligne sur www.gdsfrance.org

Glickman LT. Veterinary nosocomial (hospital-acquired) Klebsiella infections. J. Am. Vet. Med. Assoc. 1981;179 (12):1389-1392.

Hofmann-Lehmann R, Hosie MJ, Hartmann K et coll. Calicivirus infection in cats. Viruses. 2022;14 (5):937.

Huang C, Hess J, Gill M et coll. A dual-strain feline calicivirus vaccine stimulates broader cross-neutralization antibodies than a single-strain vaccine and lessens clinical signs in vaccinated cats when challenged with a homologous feline calicivirus strain associated with virulent systemic disease. J. Feline Med. Surg. 2010;12 (2):129-137.

Hurley KE, Pesavento PA, Pedersen NC et coll. An outbreak of virulent systemic feline calicivirus disease. J. Am. Vet. Med. Assoc. 2004;224 (2):241-249.

Johnson JA. Nosocomial infections. Vet. Clin. North Am. Small Anim. Pract. 2002;32 (5):1101-1126.

Kamathewatta K, Bushell R, Rafa F et coll. Colonization of a hand washing sink in a veterinary hospital by an Enterobacter hormaechei strain carrying multiple resistances to high importance antimicrobials. Antimicrob. Resist. Infect. Control. 2020;9 (1):163.

Keck N, Dunie-Merigot A, Dazas M et coll. Long-lasting nosocomial persistence of chlorhexidine-resistant Serratia marcescens in a veterinary hospital. Vet. Microbiol. 2020;245:108686.

Ketaren K, Brown J, Shotts EB et coll. Canine salmonellosis in a small animal hospital. J. Am. Vet. Med. Assoc. 1981;179:(10):1017-1018.

Kimura Y, Harada K, Shimizu T et coll. Species distribution, virulence factors and antimicrobial resistance of Acinetobacter spp. isolates from dogs and cats: a preliminary study. Microbiol. Immunol. 2018, online ahead of print.

Kruse BD, Unterer S, Horlacher K et coll. Prognostic factors in cats with feline panleukopenia. 2010;24 (6):1271-1276.

Lages SL, Ramakrishnan MA, Goyal SM. In-vivo efficacy of hand sanitisers against feline calicivirus: a surrogate for norovirus. J. Hosp. Infect. 2008;68 (2):159-163.

Millán-Lou MI, López C, Bueno J et coll. Successful control of Serratia marcescens outbreak in a neonatal unit of a tertiary-care hospital in Spain. Enferm. Infecc. Microbiol. Clin. 2022;40 (5):248-254.

Ng TM, Teng CB, Lye DC et coll. A multicenter case-case control study for risk factors and outcomes of extensively drug-resistant Acinetobacter baumannii bacteremia. Infect. Control Hosp. Epidemiol. 2014;35 (1):49-55.

Nocera FP, Attili AR, De Martino L. Acinetobacter baumannii: its clinical significance in human and veterinary medicine. 2021;10 (2):127.

Perez S, Innes GK, Walters MS et coll. Increase in hospital-acquired carbapenem-resistant Acinetobacter baumannii infection and colonization in an acute care hospital during a surge in Covid-19 admissions –New Jersey, February-July 2020. Morb. Mortal. Wkly. Rep. 2020;69 (48):1827-1831.

Piewbang C, Rungsipipat A, Poovorawan Y et coll. Cross-sectional investigation and risk factor analysis of community-acquired and hospital-associated canine viral infectious respiratory disease complex. Heliyon. 2019;5 (11):e02726.

Porporato F, Horzinek MC, Hofmann-Lehmann R et coll. Survival estimates and outcome predictors for shelter cats with feline panleukopenia virus infection. J. Am. Vet. Med. Assoc. 2018;253 (2):188-195.

Rankin S. Nosocomial infections and zoonoses. Small Animal Critical Care Medicine, 2nd edition. Elsevier. 2015:463-465.

Rice LB. Federal funding for the study of antimicrobial resistance in nosocomial pathogens: no ESKAPE. J. Infect. Dis. 2008;197 (8):1079-1081.

Rong S, Lowery D, Floyd-Hawkins K et coll. Characterization of an avirulent FCV strain with a broad serum cross-neutralization profile and protection against challenge of a highly virulent versus feline calicivirus. Virus Res. 2014;188:60-67.

Sanchez S, McCrackin Stevenson MA, Hudson CR et coll. Characterization of multidrug-resistant Escherichia coli isolates associated with nosocomial infections in dogs. J. Clin. Microbiol. 2002;40 (10):3586-3595.

Santé publique France. Infections associées aux soins. 2020. En ligne sur www.santepubliquefrance.fr

Stull JW, Weese JS. Hospital-associated infections in small animal practice. Vet. Clin. North Am. Small Anim. Pract. 2015;45 (2):217-233.

Sykes JE, Hartmann K, Lunn KF et coll. 2010 ACVIM small animal consensus statement on leptospirosis: diagnosis, epidemiology, treatment, and prevention. J. Vet. Intern. Med. 2011;25 (1):1-13.

Truyen U, Addie D, Belák S et coll. Feline panleukopenia. ABCD guidelines on prevention and management. J. Feline Med. Surg. 2009;11 (7):538-546.

Uhaa IJ, Hird DW, Hirsh DC et coll. Case-control study of risk factors associated with nosocomial Salmonella krefeld infection in dogs. Am. J. Vet. Res. 1988;49:(9):1501-1505.

Van Brussel K, Carrai M, Lin C et coll. Distinct lineages of feline parvovirus associated with epizootic outbreaks in Australia, New Zealand and the United Arab Emirates. Viruses. 2019;11 (12):1155.

Wang Z, Xin T, Wei J et coll. Isolation and phylogenetic analysis of strains of feline calicivirus in Beijing, China. Arch. Virol. 2021;166 (9):2521-2527.

45. Weese JS, Staempfli HR, Prescott JF. Isolation of environmental Clostridium difficile from a veterinary teaching hospital. J. Vet. Diagn. Invest. 2000;12 (5):449-452.

46. Weese JS, Stull J. Respiratory disease outbreak in a veterinary hospital associated with canine parainfluenza virus infection. Can. Vet. J. 2013;54 (1):79-82.

47. Zingg W, Soulake I, Baud D et coll. Management and investigation of a Serratia marcescens outbreak in a neonatal unit in Switzerland-the role of hand hygiene and whole genome sequencing. Antimicrob. Resist. Infect. Control. 2017;6:125.

CONTINUA A LEGGERE

/
14 min

Esistono diverse tipologie di alimenti per conigli, che vanno attentamente valutate per non incorrere in squilibri alimentari, all’origine di diverse patologie anche molto gravi. Il tutto nelle linee guida FEDIAF sull’alimentazione del coniglio da compagnia analizzate a cura dell’Ambulatorio veterinario Ghelfi-Nieddu.

CONDIVIDI