Nel primo webinar1 del ciclo denominato “Il latte in testacoda” promosso da FNOVI, il dott. Giuseppe Bolzoni (IZSLER, già Dirigente del Centro di Referenza Nazionale Qualità Latte Bovino) ha parlato delle corrette tecniche di prelievo del latte per essere sottoposto a indagini di laboratorio.
Perché tanta attenzione ai prelievi di latte?
I motivi che rendono tanto importanti le modalità di prelievo nel caso di una matrice come il latte sono molteplici: si tratta non di una semplice soluzione, ma di una massa la cui disomogeneità è di tipo e intensità variabile; inoltre, il latte è una matrice biologica viva, variabile nel tempo e in funzione della temperatura.
Il prelievo del latte è in apparenza un gesto semplice, che non va tuttavia svolto con leggerezza, a causa delle ricadute pratiche sull’accuratezza dei dati analitici ottenuti. La modalità di prelievo del latte, infatti, è il più potente tra i fattori condizionanti l’accuratezza dell’esito analitico. E con accuratezza non si intende tanto la precisione, quanto la corrispondenza fra risultato dell’analisi e il valore reale del parametro.
L’importanza di effettuare un prelievo corretto è confermata dall’ingente numero di corsi di formazione e abilitazione al prelievo destinati agli addetti dei caseifici. Già nel primo accordo interprofessionale del 1987 per il pagamento del latte in base alla qualità si definirono le modalità di prelievo del latte di massa, le caratteristiche dei prelevatori automatici e la necessità di corsi di formazione per gli addetti.
In base ai Regolamenti comunitari del Pacchetto igiene, e seguenti, il prelievo deve essere eseguito da “personale addetto appositamente abilitato”. A questo scopo, la Regione Lombardia ha modificato i corsi di formazione in “corsi di abilitazione alla formazione degli addetti al prelievo”, individuando i responsabili per ciascun primo acquirente latte.
Per quanto riguarda il latte di massa, gli elementi che maggiormente influenzano l’accuratezza dell’analisi sono principalmente la miscelazione, la presenza di sporcizia, nonché tempo e temperatura di conservazione.
Nel caso si tratti di latte individuale, invece, è importante la scelta dell’animale, l’igiene del prelievo e l’eliminazione dei primi getti.
Il prelievo individuale: differenze a seconda del tipo di mastite
Se il prelievo è effettuato per finalità produttive, come il tenore in proteine, grasso e caseine, o sanitarie, ad esempio per il conteggio delle cellule somatiche, è indispensabile raccogliere un campione dall’intera mungitura in maniera che sia rappresentativo della produzione della vacca. Per controlli metabolici o chimici, invece, può essere sufficiente il prelievo con mungitura a mano di una porzione di latte. La proporzione quantitativa tra i quarti può essere rilevante o meno a seconda del parametro ricercato e della condizione produttiva della mammella.

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Mastiti contagiose
Nel caso di mastiti contagiose, i controlli sono in genere estesi a un elevato numero di animali e ripetuti più volte nel tempo, in quanto l’emissione degli agenti di questa tipologia di mastite non è costante. In queste situazioni prelevare quattro campioni dai quattro quarti può risultare eccessivamente oneroso mentre risulta quindi più conveniente un prelievo da mungitura manuale con campioni assemblati dei quattro quarti; mentre quando si giunge al termine di un piano di eradicazione, il numero di animali da sottoporre a prelievo è minore ed è quindi consigliabile effettuare un prelievo singolo da ogni quarto. Ovviamente, il prelievo deve essere effettuato prima di eseguire i trattamenti antibiotici.
Mastiti ambientali
In caso di mastiti ambientali, non si è a conoscenza a priori di quale microrganismo si stia cercando ed è quindi fondamentale non contaminare il campione con agenti potenzialmente mastidogeni che però non sono la causa del processo che si intende indagare. Per questo motivo, occorre pulire e disinfettare il capezzolo prima di effettuare il prelievo ed eliminare i primi 3-5 getti di latte, perché non è detto che i batteri presenti nel dotto capillare siano quelli responsabili della mastite.

I campionamenti vanno eseguiti sull’animale o sui quarti affetti da mastite al momento del prelievo: per la diagnosi eziologica di mastite ambientale è quindi importante la scelta del capo o del quarto, il momento del prelievo, le modalità dello stesso e l’igiene della procedura. Occorre inoltre tenere presente che il laboratorio non ha la capacità di distinguere su una piastra in coltura l’agente eziologico di una mastite dalla flora saprofita del canale capezzolare, dalla flora presente nel dotto del capezzolo o dalla flora cutanea del prelevatore.
Oggi sta aumentando sempre più il ricorso alla PCR rispetto all’esame batteriologico: si tratta sicuramente di uno strumento efficace, innovativo e migliorativo per le diagnosi delle forme contagiose, ma può risultare fuorviante nel caso di mastiti ambientali, proprio perché è caratterizzato da una grande capacità di individuare un ampio pannello di batteri, anche a livelli di contaminazione molto bassa.
Per questi motivi, la diagnosi eziologica di mastite ambientale ha più significato e utilità come informazione complessiva della condizione sanitaria di una mandria, piuttosto che sullo stato di malattia di un singolo capo e ha un’utilità maggiore per la terapia delle future mastiti nella stessa mandria piuttosto che di quella che si sta indagando.
Conservazione
La refrigerazione dei campioni per la diagnosi eziologica di mastite, a differenza di quanto avviene nei campionamenti del latte di massa, non è prerequisito essenziale, in quanto, se il prelievo è fatto bene e il tempo tra il prelievo e l’analisi del campione è contenuto, la conservazione a temperatura ambiente potrebbe addirittura aumentare le probabilità di isolamento. È comunque possibile, in caso di dubbi, refrigerare. Il congelamento dei campioni non è vietato. Esso riduce le probabilità di isolamento, tranne nel caso di S. aureus, ma evita, in caso di conservazioni prolungate, la moltiplicazione abnorme di flora batterica contaminante e la coagulazione del campione.
Il prelievo del latte di massa: attenzione alle modalità di esecuzione
Il prelievo del latte di massa è direttamente rilevante per la rappresentatività dei controlli ufficiali igienico-sanitari sul latte, mentre assume una importanza indiretta per l’affidabilità dei piani di autocontrollo, in particolare per quello realizzato attraverso programmi definiti, come il pagamento latte-qualità, che assumono valenza normativa nel momento in cui i risultati sono utilizzati per il controllo ufficiale.
A livello di corso di abilitazione ai prelievi, ne deriva un progressivo cambiamento del ruolo di chi esegue i prelievi, delle finalità e delle regole del prelievo e dei documenti di riferimento. Nell’effettuare un prelievo del latte di massa la miscelazione riveste particolare importanza in quanto il latte refrigerato tende a separarsi in strati: l’affioramento della panna porta in superficie il grasso che ingloba le cellule somatiche e i batteri, mentre sul fondo si deposita il sedimento, ammassi di cellule somatiche e aggregati proteici.

© Dott. Bolzoni.
È peraltro importante non contaminare il campione aggiungendo batteri a quelli già presenti, che si moltiplicano a seconda del tempo e della temperatura.
Quindi, i concetti fondamentali da tenere presente sono l’igiene del contenitore, l’utilizzo di un conservante, l’attenzione alle temperature di conservazione e la riduzione dell’intervallo fra prelievo e analisi.
In assenza di refrigerazione e conservanti, le alte temperature favoriscono infatti la proliferazione dei batteri del latte determinando di conseguenza acidificazione e impoverimento dei costituenti. L’acidificazione del campione poi determina coagulazione e precipitazione delle proteine.
Inoltre, durante la sosta nel tank possono verificarsi altri fenomeni che alterano la distribuzione delle componenti del latte, come il congelamento o la burrificazione, e che lo rendono inadatto al campionamento.
Per l’esecuzione del prelievo si utilizza un’asta cava di acciaio inox lunga circa 80-100 cm, terminante con un disco, che consente di compiere il prelievo in profondità; sono invece da evitare tutte le attrezzature che eseguano il prelievo solo dalla superficie, come mestoli, cucchiai o bicchieri. In genere però è meglio utilizzare uno strumento automatico, il lattoprelevatore, che fornisce campioni corretti, accurati e rappresentativi anche su grandi masse di latte. Questo strumento preleva piccole quote di latte durante tutto il passaggio del latte nel tank, che vanno a costituire il campione finale.
Gestione del campione di latte dopo la raccolta
Per quanto riguarda la consegna del latte in laboratorio, i campioni vanno identificati con sistemi chiari e durevoli, soprattutto se si tratta di campionamenti multipli, in quanto l’interpretazione di lettere o numeri poco leggibili non è un compito o una responsabilità del laboratorista.
La refrigerazione è un prerequisito essenziale anche se influisce in modo diverso a seconda dei parametri analitici da valutare.
La quantità di latte necessaria dipende da ciò che si desidera ricercare: per alcune analisi è necessaria una quantità minima al di sotto della quale l’esame non può essere effettuato; questo aspetto è particolarmente importante nel caso di richieste di analisi multiple su uno stesso campione. Va considerato inoltre che campioni troppo piccoli tendono a essere poco rappresentativi.
Per le analisi di composizione, inoltre, è indispensabile consentire l’omogeneizzazione del campione, pertanto si deve rispettare il rapporto contenitore/contenuto.
Esami speciali
È possibile aggiungere al latte conservanti che permettono di ridurre le modificazioni chimico-fisiche del latte campionato attraverso l’azione batteriostatica o battericida e che prolungano il tempo disponibile fra prelievo e analisi. Esistono diverse sostanze idonee che possiedono effetti conservanti diversi e che incidono in modo variabile sulla fattibilità delle analisi. Per questo motivo, l’utilizzo di una sostanza conservante nel campione va sempre concordata con il laboratorio prima del campionamento, in funzione delle analisi che si intende richiedere e dei tempi di consegna del campione. Inoltre, uno stesso conservante può avere effetti diversi sulla fattibilità di una stessa analisi, se eseguita con tecniche diverse.
Vi sono poi alcune tipologie di prelievi speciali, come quelli necessari per la determinazione della fosfatasi alcalina, esame per il quale è indispensabile evitare assolutamente contaminazioni batteriche esterne nel campione post-pastorizzazione e nel formaggio. Nel caso del formaggio Grana Padano, il controllo è finalizzato a verificare che non ci sia stato un trattamento termico di risanamento, ma che la riduzione della fosfatasi alcalina sia attribuibile unicamente al riscaldamento caseario; in questo caso le modalità per il prelievo del campione sono specificate particolareggiatamente dalla Norma ISO 11816/2 del 2003.
- 10/10/2023: “Il latte in testacoda… a cominciare dal prelievo”. Organizzato da FNOVI. ↩︎