Nel quinto e ultimo webinar1 del ciclo denominato “Il latte in testacoda” promosso da FNOVI, il prof. Paolo Moroni ha trattato la gestione dell’allevamento in funzione della sanità e qualità del latte.
Il corretto approccio alle mastiti
Le infezioni mammarie rappresentano il principale problema sanitario degli allevamenti da latte: la dinamica di queste affezioni mostra, accanto a forme dalla durata molto breve, forme che diventano persistenti.
Per le forme a breve termine, il trattamento ne porta a risoluzione una parte, mentre un’altra continua a recidivare nonostante la terapia. Per garantire la salute della mammella bisogna quindi individuare il sistema per:
- Ridurre il tasso di nuove infezioni identificando e riducendo i fattori di rischio, operando con procedure standard e migliorando il monitoraggio
- Accorciare la durata delle infezioni con la terapia o mediante la rimozione dei capi che recidivano frequentemente
- Diminuire il numero di casi di mastiti subcliniche che si trasformano in mastiti cliniche aumentando le resistenze degli animali
Il trattamento in lattazione
Specialmente in questi ultimi anni, i batteri da prendere in considerazione riguardo alle mastiti cliniche appartengono al gruppo degli streptococchi, in particolar modo Streptococcus uberis e Streptococcus dysgalactiae, e i coliformi, soprattutto Escherichia coli e Klebsiella spp. A questo proposito, non va dimenticato che il tipo di lettiera utilizzato può influire sulla crescita di determinati microrganismi.
L’insuccesso di un trattamento è determinato da fattori di diversa natura: legati al patogeno, alla tipologia di trattamento e alla bovina.
Per quanto riguarda il patogeno, occorre prendere in considerazione l’adattamento all’ospite, la resistenza alle molecole antibiotiche e la mancanza di sensibilità alla terapia utilizzata.
Il trattamento può fallire perché non è stato utilizzato l’antibiotico di scelta o perché la durata della terapia era inadeguata.
Per quanto concerne la bovina, occorre valutare il tasso di cellule somatiche, la severità dell’infezione e l’età dell’animale, i soggetti più giovani sono infatti quelli potenzialmente più curabili.
Le linee guida per lo sviluppo di piani terapeutici per le mastiti, pubblicate dall’American Association of Bovine Pratictioners, individuano come obiettivo immediato del trattamento il ritorno alla normalità del latte prodotto e dei quarti colpiti.
Nella maggior parte dei casi di mastite lieve, il trattamento antibiotico può essere posticipato di 1 o 2 giorni senza gravi effetti; in caso di mastite clinica, si è visto che nel 10-40% dei casi la coltura batterica dà esito negativo pertanto il trattamento antibiotico non è giustificato; inoltre, tra gli animali positivi, nel 40% degli isolamenti si tratta coliformi, Gram negativi o lieviti non sensibili ai prodotti intramammari approvati. In base a questi dati, emerge che nel 50-80% dei casi di mastite clinica il trattamento antibiotico non risulta giustificato.

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Per individuare quali animali è necessario sottoporre a terapia antibiotica, oggi si può far ricorso a dei test rapidi on-farm. Se il test evidenzia la presenza di batteri Gram positivi, il tasso di guarigione migliorerà con il trattamento antibiotico, mentre il rilevamento della presenza di Gram negativi o l’assenza di crescita, indicano che è possibile evitare il ricorso agli antimicrobici.
Un protocollo per le mastiti
In base alla gravità della sintomatologia, il protocollo per le mastiti cliniche può essere strutturato come segue:
- Si preleva un campione di latte dagli animali ammalati, da sottoporre ad esame colturale
- Primo giorno: in attesa dell’esito dell’esame, per i casi lievi e moderati, gli animali vanno segregati ma non va effettuato trattamento; per i casi più gravi, si segregano gli animali e si esegue un trattamento antibiotico e una terapia di supporto
- Secondo giorno: con i risultati degli esami colturali è possibile affinare le decisioni riguardo alla terapia. Se non vi è stata crescita batterica, le bovine non vanno trattate ma solo monitorate; se si ha crescita di coliformi non vi è necessità di trattamento antibiotico, ma solo di trattamenti antinfiammatori (in ogni caso bisogna considerare la riforma degli animali che cronicizzano); se viene evidenziata la presenza di streptococchi o stafilococchi non-aureus (NAS) è giustificato l’utilizzo di betalattamici. A seconda della situazione clinica è da valutare l’utilizzo di antinfiammatori per ridurre la sofferenza della bovina
Score e stadiazione delle mastiti
Nel 2001 era stato messo a punto uno score delle mastiti cliniche, per standardizzare sintomi e trattamenti. A livello di mammella, si assegna un punteggio a indurimento e gonfiore del quarto colpito, segni di dolore e caratteristiche del secreto mammario, per classificare la mastite in lieve, moderata o grave. A livello di sintomatologia generale si esegue un analogo ragionamento: i parametri da considerare sono temperatura rettale, stato di idratazione, tasso di contrazione ruminale ed eventuali segni di depressione.
La corretta stadiazione delle mastiti consente di attuare il trattamento più opportuno, riducendo così drasticamente sia le recidive sia le cronicizzazioni. A livello diagnostico, rispetto al tradizionale isolamento, la PCR permette di accorciare i tempi per ottenere i risultati, ma non distingue fra microrganismi vivi o morti e i costi elevati non lo rendono il metodo d’elezione per l’indagine di ogni mastite. Inoltre, recenti studi hanno dimostrato il possibile trasferimento di DNA batterico presente sull’unità di mungitura e ciò potrebbe inficiare i risultati della ricerca di S. aureus (falsi positivi) con la PCR.
Per capire se ci si trova in presenza di un carryover si può utilizzare il valore di Ct (Cycle Threshold o ciclo-soglia), cioè il numero di cicli di amplificazione necessari per individuare la presenza del DNA del microrganismo, quindi un Ct basso corrisponde a una maggiore concentrazione di microrganismo. Nel caso di S. aureus, se questo valore risulta inferiore a 32 ci si trova probabilmente di fronte ad un’infezione, tra 32 e 37 la situazione è di incertezza e per valori superiori a 37 il campione è probabilmente negativo.
Linee guida e ruolo del veterinario
Nel 1996, come detto in precedenza, nelle linee guida dell’AABP Mastitis Commitee, si parla per la prima volta del ruolo del medico veterinario nel trattamento delle mastiti cliniche. In queste linee guida per la terapia delle mastiti cliniche delle vacche in lattazione si definisce, come traguardo immediato, la riduzione della malattia e della sofferenza della vacca, nonché il ritorno del quarto colpito e del latte prodotto alla normalità. Altri obiettivi della terapia sono incentivare il ritorno alla produzione di latte precedente la malattia, eliminare dai quarti i microrganismi che hanno causato la mastite, prevenire ulteriori danneggiamenti della ghiandola mammaria, abbassare la conta delle cellule somatiche e ridurre il rischio di diffusione della malattia alle altre bovine.
Il ruolo del veterinario rispetto alle mastiti cliniche è quello di concepire trattamenti terapeutici razionali e di efficacia scientificamente provata che aiutino la vacca a guarire, riducendo le perdite economiche per l’allevatore e proteggendo il consumatore dai residui dei farmaci. Molti casi di mastite clinica vengono rilevati e trattati dagli allevatori o dagli operatori di stalla, ma il veterinario deve comunque supervisionare i procedimenti e produrre dei protocolli terapeutici scritti appropriati per ogni evenienza.
I veterinari devono formare lo staff per quanto riguarda terapie, tecniche diagnostiche e dati da raccogliere, per assicurare che i protocolli siano sviluppati correttamente e repentinamente modificati qualora vi siano dei cambiamenti nella situazione epidemiologica di stalla. Il veterinario deve quindi individuare i migliori protocolli per il trattamento della mastite clinica, lavorando con l’allevatore per far sì che siano pratici e basati sulla dinamica degli agenti di mastite presenti.
Per ideare uno schema di raccolta dati che aiuti a comprendere la situazione epidemiologica della stalla e migliorare il programma di monitoraggio per evidenziare qualunque modificazione nell’incidenza, nello schema clinico e nel tipo di patogeno che provoca mastite, è necessario un lavoro di squadra che, a partire dal medico veterinario, comprenda mungitori, capostalla e allevatore. Anche le informazioni del controllo funzionale o altri dati a disposizione che possano evidenziare la situazione delle infezioni subcliniche sono utili per identificare precocemente i problemi, inoltre è necessario raccogliere i dati sulle mastiti cliniche affinché siano uno specchio reale della situazione aziendale e lavorare in base a procedure standard qualora si rilevino situazioni anomale.
Meno terapie e più mirate
Un’elevata incidenza di mastiti in allevamento può essere ricondotta a diverse ragioni, prima fra tutte un’elevata percentuale di rischio di contrarre nuove infezioni. Anche la mancata riforma delle bovine incurabili, cioè quelle a forte rischio di recidiva che presentano una conta superiore a 700.000 cellule somatiche per 3 controlli o che incorrono a 2-3 casi clinici per lattazione, alte percentuali di mastiti nelle manze oppure l’utilizzo di trattamenti inefficaci possono contribuire a mantenere alto il numero di casi di malattia. L’obiettivo è quello di arrivare ad avere in allevamento meno dell’1% di bovine non curabili.
Il trattamento basato sulla evidenza scientifica dipende dunque dal punteggio clinico, dal tipo di microrganismo coinvolto, dal rischio di nuove infezioni e dalle caratteristiche della bovina. L’identificazione dei patogeni causa di mastite in un dato allevamento rappresenta dunque la chiave per l’assegnazione dei protocolli di trattamento, che deve sempre essere effettuato sulla base dell’esame batteriologico.
Una buona strategia da adottare è quella di ridurre il numero di trattamenti focalizzandosi sull’effettivo successo degli stessi, quindi occorre somministrare terapie più mirate. Quindi, prima di affrontare l’uso consapevole della terapia antibiotica occorre sviluppare una chiara strategia di raccolta dati e di protocolli da seguire all’interno dell’azienda, che devono essere sviluppati dalla figura del veterinario, il quale si deve impegnare a fornire un servizio competente, veloce e a un costo accettabile.
7/11/2023: “Gestione dell’allevamento in funzione della sanità e della qualità del latte”. Organizzato da FNOVI. ↩︎