La dermatite digitale presenta ormai un andamento endemico in un’elevata percentuale di allevamenti su scala mondiale e la sua eradicazione non è ancora un obiettivo attuabile. La sua presenza è causa di perdite economiche e di zoppia più o meno marcata. Esistono tuttavia delle misure di controllo, fra loro complementari, che possono aiutare a ridurla drasticamente e a rendere la convivenza con essa possibile, per quanto non piacevole.
Fra queste misure la messa in atto di un pediluvio è spesso un elemento fondamentale per assicurare il trattamento collettivo degli animali. Il pediluvio è, tuttavia, una pratica che necessita di un certa tecnica e di alcune conoscenze pratiche: le su dimensioni, il posizionamento all’interno della stalla, la scelta del prodotto e della frequenza sono tutti punti critici che possono fare una grossa differenza dal punto di vista dell’efficacia ed essere fonte di stress e frustrazione o al contrario di grande soddisfazione per l’allevatore.
Il trattamento collettivo
L’utilizzo di pediluvi per il trattamento delle patologie infettive del piede bovino è diffuso a livello mondiale. Il commercio si trova una vasta gamma di prodotti utilizzabili a questo scopo. Tuttavia, molti di questi non sono mai stati testati in studi “peer reviewed” e la loro efficacia non è dunque scientificamente provata. Inoltre, non tutti gli autori sono concordi sull’effettiva valenza di questo trattamento collettivo ed esistono delle segnalazioni di un paradossale aumento dei problemi podali in seguito alla sua messa in atto. Non ultimo, il costo di un protocollo di pediluvi a lungo termine non è trascurabile quale che sia il prodotto utilizzato, senza contare l’investimento di tempo richiesto all’allevatore.
Il pediluvio non è la sola possibilità in termini di trattamento collettivo. Il trattamento topico collettivo, per esempio, può essere una valida e meno costosa alternativa, in determinate condizioni. Nel presente articolo si cercano di riassumere le informazioni presenti in letteratura (e quando possibile coniugarle con l’esperienza personale) per arrivare a proporre un protocollo ragionevole di trattamento collettivo.
Le patologie podali infettive: non solo dermatite digitale
Nel novero di queste malattie si inseriscono la dermatite digitale (DD), la dermatite interdigitale (DI) e il flemmone interdigitale. Tutte e tre sono di origine batterica e tutte e tre possono presentare una certa complessità in termini di eziologia e clinica. Con questo si vuol dire che, sebbene un agente eziologico primario sia stato identificato per ciascuna di esse, si sospettano numerose possibilità di interazione e sinergismo con altre specie batteriche. A questo si aggiungono elementi climatici, fattori strutturali e di management (inteso in senso generale come l’insieme delle attività di gestione di una mandria) che rendono talvolta il loro controllo una vera sfida per l’allevatore ed il veterinario.
Gli studi disponibili in letteratura non hanno mai portato al riscontro di virus né di miceti in queste lesioni cutanee del piede.
Fra le tre patologie citate la dermatite digitale è quella che ha il maggiore impatto a livello mondiale in termini di perdite economiche e di conseguenze sul benessere animale. È generalmente in funzione a una sua presenza endemica in allevamento che viene preso in considerazione un trattamento collettivo.

© G.V. Scavino
Anche le altre due non sono comunque da sottovalutare: la dermatite interdigitale, anche se provoca lesioni meno “impattanti”, ha una diffusione che è stimata addirittura superiore alla DD. Il flemmone, dal canto suo, può presentarsi in certi casi in forme epidemiche che colpiscono molti animali in poco tempo e con presentazioni cliniche potenzialmente anche molto gravi. I trattamenti collettivi, avendo un’azione sulla flora microbiologica dell’unghione e della cute del piede, agiscono per forza di cose anche sui germi responsabili di queste due patologie.
A titolo di esperienza personale, dunque da prendere come testimonianza e non come dato scientifico, si cita la possibilità che l’indurimento del corno conseguente all’utilizzo di certi prodotti nel pediluvio possa influire in modo indiretto sull’evoluzione della DI: il consolidamento e l’irrigidimento dei bordi dei tipici solchi a V a livello della giunzione fra bulbo e tallone, infatti, sembrerebbero aumentare il rischio di lesioni meccaniche secondarie come le ulcere in posizione decentrata (postero-assiale rispetto alla zona tipica della suola).
Gli studi, tuttavia, non sono, allo stato attuale, sufficienti per identificare l’impatto dei trattamenti podali di mandria su queste altre due patologie.
Trattamento collettivo: quando?
Il costo di un pediluvio varia in funzione del prodotto utilizzato, della sua concentrazione, della frequenza etc.. Esso può superare i 50 €/vacca/anno, elemento che lo rende non trascurabile per l’economia aziendale. Senza contare il tempo speso per sua messa in atto. Deve dunque essere giustificato in termini economici. In letteratura è difficile trovare studi che rivelino dei dati oggettivi e pratici e soprattutto precisi su quale sia la soglia che giustifica o meno la messa in pratica di questo trattamento di mandria in corso di dermatite digitale.
Sul sito Boiteriesdesbovins.fr, molto consultato in Francia da allevatori e podologi (veterinari e non), si afferma che quando la prevalenza della dermatite digitale in stalla si avvicina al 20 % si dovrebbe intervenire con un trattamento collettivo. Esso dovrebbe essere sempre complementare a un protocollo di trattamento individuale in presenza di lesioni attive. L’obiettivo è restare al di sotto del 5 %.
Un approccio matematico in termini di rapporto fra perdite in produzione di latte e costo del trattamento è teoricamente possibile. In letteratura si trovano studi che cercano di quantificare tale perdita: essa varierebbe fra gli 0,5 e i 5,6 kg di latte al giorno. Lo studio che parla di 5,6 kg di latte/giorno, tuttavia, è stato condotto su soli 10 casi di dermatite in stadio M2 e la sua valenza scientifica è decisamente discutibile. Su campioni che superano i mille esemplari il dato che emerge è piuttosto di 0,6-0,8 kg di latte/giorno.

Parlando di costi del trattamento collettivo, si mette l’accento sul fatto che il pediluvio non è la sola opzione. Si stima che un trattamento topico collettivo, per esempio l’applicazione locale di un prodotto antibatterico in spray su tutti gli animali, costi intorno a 9 €/vacca/anno a fronte di un’efficacia che parrebbe promettente.
Si sottolinea inoltre che una buona riuscita non dipende solo dal trattamento collettivo: quando si decide di metterlo in atto è raccomandato instaurare anche un protocollo di trattamento precoce individuale e il miglioramento delle misure igieniche e di biosicurezza.
I prodotti più utilizzati
Si citano qui di seguito alcuni dei prodotti più utilizzati nei pediluvi e i relativi dati estrapolabili dalla letteratura in termini di efficacia a determinate concentrazioni di principio attivo e frequenze di utilizzo. Per ciascuno si citano gli eventuali punti critici.
Solfato di rame
Questo principio attivo è al centro di numerosi studi significativi. È stato testato a concentrazioni variabili fra il 2 e il 10 %. Secondo la maggior parte degli autori l’efficacia ottimale si raggiunge ad una concentrazione del 5 %. A tale concentrazione si riscontra una netta diminuzione delle lesioni attive. Al 2 % si riscontra già qualche risultato che tuttavia non giustifica la messa in atto del trattamento. Inoltre, parrebbe aumentato il rischio del formarsi di lesioni croniche. Fra il 5 e il 10 % non vi sono differenze significative. Il suo punto debole è la tossicità ambientale.
Formaldeide
Anche su questo principio attivo si trovano informazioni utili in letteratura. In generale pare presentare dei buoni risultati (appena inferiori al solfato di rame nel complesso) a concentrazioni fra il 4 e il 6 %. Fra i suoi pregi vi è il basso costo e la mancanza di tossicità ambientale. Il suo principale difetto è costituito dalla tossicità per l’uomo, in particolare la sua potenziale cancerogenicità.
Se si decide di utilizzare tale prodotto è imperativo proteggere se stessi e tutti gli operatori potenzialmente a contatto col prodotto con maschere adeguate, guanti, camici monouso etc. Il pediluvio deve inoltre essere posizionato in un luogo dove l’aria non stagni. Altro difetto pratico è che al di sotto dei 15° C tende a polimerizzare ed a passare a una forma inattiva, o comunque molto meno attiva, dal punto di vista antibatterico. Problematico, dunque, il suo utilizzo nella stagione fredda.
Chelati di rame e di zinco
Il loro utilizzo sembrerebbe promettente con tassi di guarigione tuttavia variabili in funzione della condizione di pulizia del piede e dello stadio della lesione. Se tali condizioni sono ottimali e se il pediluvio viene effettuato almeno una volta ogni 14 giorni, presenterebbe un’efficacia superiore a quella dell’ossitetraciclina in formulazione spray. Risultati ancora migliori parrebbero emergere dall’applicazione topica collettiva di un prodotto con questa stessa composizione (ma più concentrato). Punto debole, come per il solfato, è la tossicità ambientale.
Altri principi
Altri principi attivi per i quali i dati sono insufficienti e/o che si sono dimostrati non sufficientemente efficaci nel trattamento della dermatite digitale sono:
- glutaraldeide
- ammonio quaternario
- perossido di idrogeno
- carbonato di sodio
- ipoclorito di sodio
Pediluvi di sola acqua, non hanno dato risultati positivi. Si cita a parte uno studio che ha sperimentato il tea tree in pediluvio alla concentrazione del 3 % una volta al giorno per 5 giorni consecutivi con risultati comparabili a quelli del solfato di rame. Purtroppo, un solo studio non basta per trarre conclusioni valide. Da valutare anche il costo del trattamento.
La frequenza di trattamento
I test effettuati sono variabili in frequenza e alcuni arrivano a 2 trattamenti per giorno quattro giorni a settimana. Delle frequenze così alte non paiono giustificate e non sembrano produrre effetti migliori rispetto a due trattamenti a settimana (su due mungiture consecutive). Questo sembrerebbe, allo stadio attuale delle conoscenze, il protocollo con la miglior ratio costo/ beneficio, almeno inizialmente.
Una volta diminuita la pressione infettiva nella mandria, non è da escludere di passare successivamente a 2 trattamenti ogni 15 giorni, sempre su due mungiture consecutive. Uno studio mostra che se la frequenza è inferiore a 2 trattamenti ogni 15 giorni, l’efficacia crolla drasticamente. Per esempio, 2 trattamenti ogni 30 giorni porterebbero a risultati praticamente nulli sul lungo termine.
Dimensioni del pediluvio
Le raccomandazioni riguardanti le dimensioni del pediluvio derivano da un compromesso di efficacia e minimizzazione della quantità di prodotto utilizzato. In commercio si trovano vasche di plastica che presentano il vantaggio di essere facilmente spostabili e maneggiabili ma che sono spesso troppo corte e troppo poco profonde. Attingendo dalla letteratura e dall’esperienza pratica, sembra ragionevole consigliare delle vasche lunghe almeno 3 metri e profonde almeno 25 centimetri. Queste dimensioni sembrerebbero garantire un’immersione sufficiente in termini di tempo e di superficie di piede a contatto col prodotto per un’efficacia ottimale.
Riguardo alla larghezza certi studi mostrano che le vacche tollerano una larghezza minima di 60 centimetri. Tuttavia, la facilità di ingresso nel pediluvio pare aumentare con una larghezza intorno ai 75 centimetri.
Elemento più controverso è la necessità o meno di un lavaggio dei piedi prima dell’ingresso nel pediluvio. Intuitivamente verrebbe da pensare che questo sia utile, dal momento che diminuirebbe le incrostazioni e la sporcizia che potrebbero impedire al prodotto antibatterico di entrare in contatto con la cute. Gli studi, tuttavia, mostrano solo dei miglioramenti minimi e quasi trascurabili quando si installa un bagno podale prima del pediluvio. Inoltre, il fatto di avere due vasche posizionate in serie fa si che aumenti il rischio di defecazione nella seconda, cioè quella del pediluvio. Dimensioni e scelta del posizionamento delle vasche (che possono anche essere in muratura) si dimostrano essenziali.
Misure complementari
Come già accennato, nelle stalle in cui la dermatite digitale è endemica l’unico mezzo per cercare di arginarla e di ridurla il più possibile è la messa in atto di più azioni fra loro complementari a medio-lungo termine. Il pediluvio da solo potrebbe essere inefficace e fonte di frustrazione oltre al costo che rappresenta. A un trattamento collettivo va affiancata una routine di rilevamento e cura individuale delle lesioni, con intervento precoce.
L’acquisto di un sistema per sollevare i piedi in sicurezza in stalla è talvolta determinante perché l’allevatore possa intervenire tempestivamente per la cura delle vacche affette da zoppia clinica da dermatite, oltre che per poter eseguire un follow up dei casi più complicati di dermatite digitale per i quali un solo trattamento e un solo bendaggio non bastano.
Altro elemento su cui intervenire se si vuole aspirare a un risultato soddisfacente è il miglioramento delle condizioni igieniche e di umidità dell’ambiente di vita degli animali.
In ultimo, l’introduzione di nuovi animali nella mandria, quando inevitabile, andrebbe idealmente preceduta da un controllo (e eventualmente un trattamento preventivo) dei piedi, per evitare che animali con lesioni attive di dermatite digitale portino una nuova sorgente di infezione in stalla.
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