Cryptosporidium parvum è uno dei principali agenti infettivi responsabili delle enteriti neonatali nei piccoli ruminanti; conoscere gli aspetti clinici e l’epidemiologia della criptosporidiosi è basilare per una terapia di successo.
Stanti i pochi presidi terapeutici e preventivi, disinfezione e buone pratiche igieniche restano fondamentali; mentre il metodo diagnostico gold standard è la rilevazione diretta di oocisti o antigeni nelle feci.

Cryptosporidium è un parassita protista intracellulare obbligato, che infetta un’ampia gamma di ospiti vertebrati, compreso l’uomo, e rappresenta una minaccia significativa per la salute pubblica. Gli approcci molecolari alla sua caratterizzazione genetica hanno fornito una migliore comprensione dell’epidemiologia della criptosporidiosi, cioè dell’infezione che provoca.

I principali segni clinici nei giovani ruminanti (agnelli, capretti e vitelli) sono diarrea, disidratazione, ritardi della crescita e perdita di peso. Spesso queste infezioni portano alla morte de gli animali, causando notevoli perdite economiche.

Attualmente, in tutto il mondo so no state descritte più di 47 specie di Cryptosporidium convalidate; oltre a C. parvum, sei sono stati identificati nelle feci di pecora, tra cui C. ubiquitum, C. xiaoi, C. hominis, C. andersoni, C. fayeri e C. suis. Cryptosporidium spp. è rappresentato principalmente da C. parvum, la cui famiglia IIa è presente soprattutto in Europa, e la IId in Cina, C. xiaoi, che circola ampiamente in Asia, in partico lare in Cina nelle capre e in Australia nelle pecore, e C. ubiquitum, meno rappresentato ma presente ovunque. Il sottotipo più virulento è C. parvum IIa15G2R1, descritto come “ipertrasmissibile” che è stato rilevato principalmente in Europa.

Criptosporidiosi: prevalenza nelle capre

A livello mondiale sono disponibili meta-analisi sulle capre e sulla prevalenza dell’infezione per diversi Paesi. In Europa sono presenti tre specie: Cryptosporidium parvum, C. xiaoi e C. ubiquitum. Nella macroregione europea la maggior parte del lavoro svolto sulle capre si è concentrato sui capretti, tranne in Spagna, dove sono state studiate tutte le fasce d’età (pre-svezzamento, post-svezzamento e adulti). Questi studi mostrano che la specie più frequentemente incontrata in Europa è C. parvum (>63%) seguita da C. xiaoi (31%) e C. ubiquitum (6%).

La famiglia IIa di C. parvum è la più rappresentata in Europa, con il 70% dei casi segnalati, contro il 30% della famiglia IId. Tuttavia, in Belgio, Polonia e in Grecia sono state segnalate solo infezioni da C. parvum della famiglia IId.

Nell’allevamento ovino l’impatto è essenzialmente economico (costi delle cure e dei trattamenti vete rinari), ma anche legato alla mortalità e ai ritardi di crescita che portano a una riduzione del peso della carcassa. Studi condotti in Australia hanno dimostrato una perdita di peso compresa tra 1,65 kg e 2,6 kg alla macellazione per gli agnelli positivi alla criptosporidiosi rispetto agli agnelli sani.

Criptosporidiosi: prevalenza negli ovini

La prevalenza media della criptosporidiosi in Europa è di circa il 20%; le infezioni coinvolgono principalmente C. parvum, sebbene rimangano specie comuni anche C. ubiquitum e C. xiaoi. Le famiglie IIa e IId sono entrambe presenti (ad es. Francia), con una prevalenza maggiore per la famiglia IIa. In particolare, in Europa circola prevalentemente il sottotipo IIaA15G2R1, molto importante a causa della sua ipertrasmissibilità zoonotica.

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© Serenity mages23 – shutterstock.com

Italia, Francia e Grecia sono gli unici Paesi a registrare la presenza di sottotipi della famiglia IId, il che sembra indicare una zonizzazione meridionale di questa famiglia, mentre il sottotipo IIaA17G1R1 sembra essere localizzato maggiormente nei Paesi del nord Europa.

Negli agnelli infettati sperimentalmente per via orale, il ritardo della crescita comporta una differenza di 3,45 kg 25 giorni dopo l’infezione rispetto a un gruppo sano.

Modalità di trasmissione e fattori di rischio

L’infezione da Cryptosporidium viene trasmessa attraverso l’ingestione di oocisti, direttamente tramite leccamento di materiale contaminato, o attraverso l’ingestione di alimenti o acqua potabile contaminati.

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© Tonia Kraakman – shutterstock.com

Molti fattori aggravano la diarrea negli animali malati: lo stress, la dieta, le condizioni ambientali, per non parlare delle malattie concomitanti dovute ad altri agenti enteropatogeni come Escherichia coli, il numero di oocisti ingerite e la scarsa qualità del colostro.

Un’elevata densità degli animali favorisce la contaminazione dell’ambiente, e quindi di quello degli animali dell’allevamento. Il raggruppamento per classe di età limita la trasmissione del parassita tra animali di età diverse, impedendo la contaminazione dei soggetti più giovani, quelli più suscettibili all’infezione.

È stato stabilito un collegamento tra il parto e l’aumento dell’escrezione di oocisti di Cryptosporidium nelle pecore e nelle capre. Uno studio ha rilevato che in 14 pecore, i livelli di escrezione hanno raggiunto valori di 20 – 440 uova per grammo (upg) in un periodo che va da una settimana prima del parto a una settimana dopo. Allo stesso modo, altri lavori hanno dimostrato che l’escrezione di oocisti nelle capre era 10 volte maggiore (da 8 a 80 upg) tre settimane dopo il parto rispetto a un momento successivo.

La criptosporidiosi nei piccoli ruminanti ha un impatto significativo sulla salute e sulla produttività degli animali. Nonostante questo aumento al parto, gli animali giovani infetti costituiscono la fonte più impor tante di contaminazione ambientale, soprattutto a causa della differenza nei livelli di escrezione tra neonati e adulti.

Nei piccoli ruminanti, come negli esseri umani, lo stato immunitario ha un grande impatto sulla gravità dell’infezione: un animale immunocompromesso presenterà sintomi più gravi e il parassita potrebbe infettare cronicamente l’ospite.

Iter diagnostico per la criptosporidiosi

La diagnosi di criptosporidiosi non può essere meramente clinica, perché il quadro clinico non è molto specifico; i criptosporidi, infatti, causano talvolta diarrea negli agnelli e nei capretti di età compresa tra 5 e 10 giorni, con feci general mente molto liquide e gialle.

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Agnello colpito da criptosporidiosi che presenta diarrea.
© P. Autef

Il metodo diagnostico gold standard è la rilevazione diretta di oocisti o antigeni nel materiale fecale, ma sono disponibili anche test antigenici sviluppati per lo screening sul campo.

In laboratorio, le oocisti possono essere rilevate con il metodo Ziehl-Neelsen modificato o mediante immunofluorescenza diretta o indiretta. È possibile utilizzare metodi immunoenzimatici, immunocromatografici, oppure effettuare un esame istopatologico.

I test di immunofluorescenza consistono nell’identificare le oocisti con anti corpi monoclonali e nell’evidenziarle mediante fluorescenza: si effettuano su vetrini, da precipitati fecali o dopo concentrazione; le oocisti vengono così evidenziate da una fluorescenza verde periferica (parete dell’oocisti).

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Oocisti di Cryptosporidium parvum, ingrandimento 40x
(microscopia a immunofluorescenza).
© UMR Bipar

Inoltre, nei laboratori di riferimento e di ricerca, il DNA di Cryptosporidium è rilevabile mediante la PCR (Polymerase chain reaction). L’amplificazione molecolare è un al tro metodo per identificare le specie e le sottospecie di Cryptosporidium mediante analisi di frammenti di restrizione o mediante PCR specifica.

Nei prossimi anni, i ricercatori prevedono lo sviluppo di kit commerciali facili da usare per la diagnosi, la quantificazione della carica pa rassitaria e l’identificazione molecolare delle specie.

Il trattamento d’elezione

Il trattamento è sintomatico, contro la diarrea. Viene utilizzato frequentemente per i bovini, ma generalmente non viene utilizzato nelle capre e nelle pecore a causa dell’elevato numero di capretti e agnelli e del loro basso valore economico, soprattutto all’età in cui vengono colpiti da criptosporidiosi.

La resistenza di C. parvum agli antibiotici e ai farmaci antiprotozoari, nota negli animali e nell’uomo, è direttamente correlata alle caratteristiche specifiche del parassita: la localizzazione intracellulare ed extracitoplasmatica unica di Cryptosporidium gioca un ruolo importante nella sua resistenza al trattamento. Secondo i ricercatori, sembra che la membrana basale e l’organello di alimentazione selezionino le molecole in grado di passare dalla cellula ospite al parassita, bloccandone dunque alcune.

Vi sono tuttavia, due molecole attualmente attive contro C. parvum: l’alofuginone lattato e la paromomicina solfato.

L’alofuginone lattato è un antiprotozoario del gruppo dei derivati del chinazolinone che ha un effetto criptosporidiostatico. Secondo il riassunto delle caratteristiche del prodotto (RCP), è un medicinale indicato per il trattamento della criptosporidiosi; la sua autorizzazione all’immissione in commercio, rilasciata dalla Commissione Europea, è valida in tutti gli Stati membri. Negli agnelli e nei capretti, una dose di 0,1 mg/kg die per 7 giorni consecutivi inibisce la riproduzione del parassita, favorisce lo sviluppo dell’immunità, permette di prevenire la diarrea legata alla malattia e alla mortalità nei capretti, ma non ha alcun effetto sugli animali disidratati.

L’alofuginone lattato ha quindi effetti interessanti se usato per prevenire la criptosporidiosi nei ruminanti, perché ritarda l’infezione fino a che il sistema immunitario dell’animale non sarà in grado di combattere da sé l’agente patogeno.

La paromomicina solfato, dal canto suo, è un antibiotico aminoglicosidico prodotto da Streptomyces chrestomyceticus e attivo contro i batteri Gram-negativi e contro alcuni protozoi come Giardia spp. Dopo somministrazione orale, la paromomicina viene assorbita molto debolmente. È registrata in diversi Paesi europei (Belgio, Lussemburgo, Italia, Francia, Regno Unito, ecc.) per le sue indicazioni antinfettive.

La dose consigliata per un utilizzo preventivo, a seguito di studi effettuati su vitelli e capretti, è di 100 mg/kg di peso vivo in 1 o 2 dosi giornaliere per 11 giorni consecutivi. Questa dose riduce l’escrezione di oocisti e i segni clinici, nonché la mortalità, in condizioni naturali o sperimentali, in queste specie. Utilizzata in terapia curativa, la paromomicina solfato riduce i segni clinici e l’escrezione di oocisti.

Uno studio2 effettuato nel 2000 ha mostrato che la somministrazione di 100 mg/kg/giorno per 3 giorni consecutivi, o di 200 mg/kg/giorno per 2 giorni consecutivi, ad agnelli ha consentito di arrestare l’escrezione in più del 60% dei soggetti trattati dopo il 4° giorno dello studio, e al termine del trattamento il 65% degli animali non presentava diarrea.

Controllo e prevenzione della criptosporidiosi

Cryptosporidium spp. è molto resistente nell’ambiente. È quindi importante reagire rapidamente quando vengono individuati focolai di criptosporidiosi nel bestiame al fine di prevenire la diffusione delle oocisti, in particolare nei piccoli ruminanti, che sono grandi escretori. Una gestione inadeguata può comportare una contaminazione massiva dell’ambiente e quindi degli animali dell’allevamento.

L’obiettivo della profilassi è limitare la diffusione e la trasmissione della malattia attraverso gli ani mali contaminati. La disinfezione e le buone pratiche igieni che sono fondamentali nella lotta contro Cryptosporidium spp: è opportuno quindi pulire regolarmente i locali, comprese tutte le aree a contatto con gli animali, in particolare quelli giovani, e procedere a disinfezione ogni volta che è possibile utilizzando prodotti a base di ammoniaca concentrata al 5 o al 10%. I locali possono essere puliti anche con acqua molto calda (> 70 °C) e poi asciugati.

È inoltre necessario verificare la qualità dell’alimentazione, che venga assunta la corretta quantità di colostro, ma anche isolare gli animali malati, evitare il sovrapopolamento, man tenere l’ambiente pulito e asciutto, disinfettare regolarmente i locali e pulire le attrezzature.

Da qualche tempo la prevenzione nei vitelli può essere effettuata anche attraverso la vaccinazione, che costituisce un significativo passo avanti nella prevenzione della criptosporidiosi bovina e apre prospettive di estensione ai piccoli ruminanti.

La criptosporidiosi resta quindi una malattia potenzialmente grave negli agnelli e nei capretti, la cui diagnosi è fondamentale. In attesa di ulteriori studi e ricerche riguardo a nuove molecole o vaccini innovativi ed efficaci, il rispetto delle misure di igiene e di prevenzione resta il modo migliore per contrastare la diffusione di questa malattia negli allevamenti.

Inoltre, poiché la criptosporidiosi è potenzialmente una zoonosi, i medici veterinari e gli allevatori dovrebbero manipolare con molta prudenza gli animali colpiti, ed è imperativo mettere in atto programmi di biosicurezza pianificati.

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