Il terzo webinar1 del ciclo denominato “Il latte in testacoda” promosso da FNOVI si è avvalso del contributo della dott.ssa Cecilia Tolasi, buiatra libero professionista, che ha trattato l’argomento dell’uso prudente degli antibiotici in buiatria, in particolare riguardo all’applicazione delle linee guida e ai risultati nella realtà di campo.
Qualche dato sull’utilizzo degli antibiotici in buiatria
Nella valutazione della quantità di antibiotici in buiatria utilizzati negli allevamenti dell’Unione Europea, la vendita di prodotti intramammari rappresenta solo lo 0,6% del totale. Tuttavia, nell’allevamento delle vacche da latte il trattamento antibiotico in asciutta è una delle più importanti indicazioni per l’utilizzo di antimicrobici e impatta fra il 60% e il 90%. Le molecole più comunemente prescritte sono le penicilline, da sole o in combinazione con aminoglicosidi e cefalosporine.
Risulta quindi chiaro che l’utilizzo maggiore di antibiotici in buiatria è rappresentato dal trattamento delle mastiti e dall’uso alla messa in asciutta, mentre patologie podali, zoppie, problemi uterini e chirurgie richiedono il ricorso agli antimicrobici solo in maniera occasionale. L’utilizzo di antibiotico nei vitelli è sottostimato, in quanto i pesi standard che vengono utilizzati per calcolarne le quantità impiegate sono generalmente più alti dei pesi reali all’età del vitello allo sviluppo della malattia.
Antibiotici: impatto delle resistenze
Ad oggi, non è noto quale sia il reale impatto delle resistenze che possono originare negli allevamenti sulla totalità del problema, tuttavia è innegabile che i veterinari e gli operatori sono chiamati con forza ad un utilizzo razionale e prudente degli antibiotici in buiatria. Si deve ragionare con un approccio olistico from farm to fork, a tutela non solo della salute umana e dell’ambiente, ma anche della qualità delle produzioni animali e della richiesta dei consumatori, sia per il mercato interno che per l’esportazione.
Le conseguenze cliniche nell’uomo dell’infezione da batteri resistenti che derivano dal latte sono poco frequenti. I patogeni resistenti presenti nel latte causano pochi problemi di salute pubblica in quanto il latte viene di solito pastorizzato. Il rischio è però in aumento dato il sempre maggior numero di persone che consuma latte crudo. Il problema è rappresentato dal fatto che l’utilizzo di routine di antibiotici in buiatria può aumentare la quantità di patogeni resistenti, riducendo la lista degli antibiotici efficaci, a scapito del benessere e della salute animale. L’utilità effettiva del trattamento sistematico alla messa in asciutta non è supportata da alcuna prova scientifica e andrebbe evitato.
Cosa dice la normativa
L’Articolo 107 del Regolamento 2019/6 in vigore dal 2022 sottolinea che i medicinali antimicrobici non devono essere utilizzati in modo sistematico, né impiegati per compensare un’igiene carente, pratiche zootecniche inadeguate o la mancanza di cure, oppure per contrastare una cattiva gestione dell’allevamento. Inoltre, i medicinali antimicrobici non vanno utilizzati per la profilassi, se non in casi eccezionali e comunque sul minor numero possibile di animali quando il rischio di malattia infettiva è molto elevato e le conseguenze possono essere gravi.
Nonostante in zootecnia sia vietato l’uso degli antibiotici in qualità di promotori della crescita, e sebbene siano state intraprese azioni restrittive e sia molto forte l’attenzione dell’opinione pubblica, ancora oggi il ricorso a questi principi non sempre risulta razionale, comportando inevitabilmente la diffusione di antibioticoresistenza con potenziali rischi anche per la salute umana. Per contrastare questo fenomeno, il mondo scientifico è concorde nel sostenere che gli antibiotici in buiatria devono essere utilizzati rispettando le indicazioni d’uso, solo a scopo terapeutico e a seguito di specifica diagnosi, mentre le somministrazioni a scopo profilattico e metafilattico andrebbero evitate o comunque fortemente limitate.
Utilizzo prudente con criteri chiari
Occorre ricordare che l’uso antibiotici in buiatria per la terapia non è sufficiente a risolvere il problema in allevamento se non associato a idonee misure preventive, che devono essere supportate da un appropriato percorso diagnostico. La diagnosi, infatti, è uno dei requisiti per l’uso prudente dell’antibiotico, in quanto ne consente un utilizzo mirato, con l’obiettivo di migliorare l’efficacia della terapia, ridurre il consumo di questi farmaci e contribuire quindi al contenimento delle resistenze negli animali e nell’uomo.
Gli esami di laboratorio devono essere mirati sulla base della situazione epidemiologica dell’azienda, della presenza di segni indicativi dei vari agenti eziologici e dei precedenti risultati di laboratorio già a disposizione dell’allevatore (il cosiddetto “storico aziendale”). Inoltre, allo scopo di definire protocolli terapeutici idonei, risulta importante attuare in allevamento una costante raccolta dei dati relativi ai batteri circolanti, valutandone lo spettro di sensibilità nei confronti degli antibiotici.
Non viene richiesto di effettuare un antibiogramma per ogni mastite, ma risulta necessario ottenere un quadro d’insieme dei microrganismi che circolano in allevamento per conoscere la storia epidemiologica della struttura. Con l’allevatore, occorre impostare criteri chiari e univoci, ma soprattutto abbordabili, perché è inutile proporre piani terapeutici che poi non verranno seguiti. Bisogna inoltre stabilire procedure ottimali di messa in asciutta ed esecuzione dei trattamenti. È importante dare spiegazioni esaurienti all’allevatore, in quanto una cosa non compresa raramente viene applicata.
Gli allevamenti ad alto rischio
I criteri per definire un allevamento ad alto rischio sono i seguenti:
- Se si sono osservate almeno due conte cellulari nel latte di massa superiori a 250.000 negli ultimi 6 mesi.
- Se è presente l’infezione da Streptococcus agalactiae.
- Se si verificano periodi ad alta incidenza di mastite.
Sapere cosa circola in stalla
L’ambiente di stalla deve essere pulito e controllato, ma soprattutto monitorato costantemente perché è davvero scarso il numero degli allevatori che raccolgono dati su tutti i casi di mastite. Da un questionario sottoposto agli allevatori è emerso che l’80% di essi non ha la conoscenza aggiornata di quali batteri causino le mastiti nella propria azienda. Il veterinario dovrebbe stimolare a tenere monitorati gli allevamenti e mostrare i progressi ottenuti con gli accorgimenti indicati.
Evitare l’uso inutile degli antibiotici
Decidere quale strategia intraprendere quando ci si trova di fronte a una mastite dovrebbe essere subordinato alla giusta interpretazione dei segni di mastite. Questi, infatti, vengono interpretati diversamente a seconda della sensibilità del proprietario, mentre andrebbero classificati sulla base dei segni clinici che consentono di suddividere le mastiti in subclinica, lieve, moderata o grave. In ogni caso, qualunque sia la classificazione adottata, questa deve essere il più possibile obiettiva, rapida, facile da applicare e ripetibile tra i diversi addetti alle operazioni di mungitura.
Va ricordato che il 40% dei batteriologici derivanti da mastiti cliniche sono negativi e un altro 40% dei batteriologici positivi sono causati da batteri non suscettibili alla maggior parte degli intramammari, come lieviti e Gram-negativi. Inoltre, una grande porzione di batteri Gram negativi viene rapidamente debellata dal sistema immunitario dell’animale.
Secondo i dati della bibliografia, confermati dai dati dell’attività diagnostica IZSLER, nella maggior parte dei casi di mastite lieve o moderata la terapia antibiotica risulta ingiustificata, dato che nel 25-40% dei casi di mastite clinica l’esito dell’esame batteriologico risulta negativo.
In presenza di Prototheca, Mycoplasma spp. e lieviti il trattamento antibiotico è totalmente inefficace; in presenza di Serratia, Klebsiella, Trueperella pyogenes e S. aureus la terapia risulta di dubbia o scarsa efficacia, a causa della tendenza a cronicizzare di tali infezioni a prescindere dal trattamento; in presenza di E. coli e stafilococchi coagulasi negativi si osserva una elevata frequenza di guarigione batteriologica spontanea. In generale, dunque, il l’uso di antibiotici in buiatria andrebbe riservato alle infezioni che presentano scarsa probabilità di guarigione spontanea ed elevata probabilità di guarigione a seguito di una terapia antibiotica.
Una diagnosi rapida
Le linee guida europee auspicano l’adozione di metodi diagnostici rapidi da utilizzare direttamente in allevamento, come l’on farm colture, che permette l’applicazione di metodi rapidi per la diagnosi di mastite direttamente in allevamento. Avere a disposizione rapidamente informazioni relative all’eziologia dell’infezione in atto, sebbene approssimative rispetto alla diagnosi di laboratorio, è di grande aiuto per decidere se trattare o meno e con quale protocollo terapeutico. Tuttavia, pur trattandosi di uno strumento decisamente utile, non può essere lasciato esclusivamente all’allevatore; il veterinario deve fornire costante supporto e monitoraggio. Naturalmente, è necessario il supporto del laboratorio per la formazione iniziale del personale addetto, per quanto riguarda la modalità di prelievo, la semina e l’interpretazione dei risultati.
Per verificare l’accuratezza della diagnosi in allevamento, è consigliabile stoccare il campione in frigorifero dopo la semina per poterlo conferire ad un laboratorio specializzato. Questa operazione è indispensabile ai fini della validazione iniziale dei risultati della coltura in allevamento, almeno finché non si raggiunge una sufficiente accuratezza diagnostica, in quanto alcuni agenti eziologici non possono essere individuati in allevamento, ma richiedono indagini più approfondite.
Confrontando in una ricerca i risultati dell’esame batteriologico con quelli della on farm colture, è stato calcolato che quest’ultima possiede una sensibilità del 77% e una specificità dell’87%. Inoltre, gli allevamenti in cui questo strumento è stato utilizzato non hanno registrato un incremento delle cellule somatiche, hanno quasi dimezzato l’utilizzo di tubi antimastitici e il DDL si è abbassato di 2-10 punti.
Recentemente, un gruppo di sette esperti europei ha emesso un agreement che può essere preso come riferimento per i criteri e le azioni da adottare e che raccomanda di adottare approcci differenti negli allevamenti in base al rischio. A tal proposito, sono stati definiti i criteri per allevamenti ad alto rischio. Nonostante il panel dichiari che l’uso di antibiotici in buiatria in modo selettivo sia teoricamente possibile in tutti gli allevamenti, inclusi quelli ad alto rischio, viene anche raccomandato di intraprendere in questi allevamenti un percorso con l’obiettivo di migliorare la gestione generale dell’azienda e la sanità della mammella.
7 consigli pratici per una corretta messa in asciutta

- Evitare la contaminazione dei tubi siringa con feci e urina e la loro immersione in acqua.
- Usare guanti monouso.
- Pulire e asciugare i capezzoli.
- Disinfettare con alcool o con apposite salviettine la punta dei capezzoli, partendo dai capezzoli lontani per poi passare a quelli vicini, per evitare contaminazioni post-disinfezione.
- Nel caso di terapia antibiotica, trattare prima i quarti vicini e poi quelli lontani e massaggiare il capezzolo per favorire l’ascesa nella mammella del medicinale.
- Il sigillante interno va somministrato immediatamente dopo l’antibiotico (se utilizzato) senza massaggiare, tenendo compressa tra due dita la base del capezzolo in modo da posizionare correttamente il prodotto.
- È fortemente sconsigliata l’asciutta selettiva quarto per quarto, in quanto la decisione di non usare gli antibiotici in buiatria riguarda la vacca e non il singolo quarto.
Compito del veterinario è quello di verificare costantemente che tutto si svolga in maniera corretta e come concordato.
- 24/10/2023. “Uso prudente dell’antibiotico: applicazione delle linee guida e risultati nelle realtà di campo”. Organizzato da FNOVI. ↩︎