Un incontro online organizzato da FNOVI ha affrontato l’argomento delle malattie virali del coniglio e della lepre. Il relatore dell’evento, dott. Antonio Lavazza (Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna, esperto designato dei centri di referenza della WOAH Reference laboratory for myxomatosis of rabbits e Reference laboratory for rabbit hemorrhagic disease) ha esordito descrivendo le patologie virali del coniglio e della lepre con il maggior significato clinico: la malattia emorragica virale (MEV o rabbit hemorrhagic disease, RHD) e la mixomatosi, sebbene anche altre, meno frequenti e meno problematiche, meritino una menzione.
Sia la mixomatosi (comparsa in Europa all’inizio degli anni ’50) che la MEV (comparsa a metà degli anni ’80) hanno dato origine a episodi epidemici molto gravi per poi diventare endemiche. La vaccinazione, quando è stata disponibile, ha determinato l’attenuazione dei ceppi, soprattutto nel caso della mixomatosi, ma l’aumento della pressione immunitaria ha anche indotto mutazioni che hanno portato alla comparsa di nuovi stipiti e di nuovi sierotipi. La presenza di queste malattie negli animali selvatici le rende non eradicabili anche se la vaccinazione, soprattutto nel caso della MEV, ha favorito una forte riduzione dei contagi.
Infezioni da lagovirus: non solo MEV ed European Brown Hare Syndrome(EBHS)
I lagovirus sono virus a RNA della famiglia Caliciviridae, caratterizzati da un’alta frequenza di mutazioni durante il processo di replicazione virale, quindi da alto tasso di mutazioni genetiche e di fenomeni di ricombinazione. All’interno di questo genere si conoscono virus patogeni e virus non patogeni.
Tra i primi, l’RHDV (il virus della MEV), l’EBHSV (il virus della sindrome della lepre bruna europea o European Brown Hare Syndrome, una malattia molto simile alla MEV per decorso e quadro clinico) e l’RHDV2, che attualmente è causa di MEV nella quasi totalità dei casi e che nasce come virus del coniglio, per poi divenire patogeno anche per la lepre e altri lagomorfi selvatici.

Sono tutti virus che replicano a livello intestinale e si possono verificare ricombinazioni fra virus patogeni e non patogeni: questi ultimi rimangono confinati dalla barriera enterica e non raggiungono il torrente ematico, mentre i virus patogeni hanno la capacità di raggiungere l’organo bersaglio, che è il fegato, superando la barriera mucosale.
I virus della MEV e dell’EBHS possiedono antigeni interni comuni, ma si distinguono per gli antigeni superficiali che ne determinavano la specie-specificità. Entrambi causano un’epatite necrotizzante acuta con elevata morbilità e mortalità, fino all’80-90% in 2-3 giorni.
La malattia si presentava solo nei soggetti adulti ma, con l’avvento di RHDV2, può colpire anche i giovani di lepre e coniglio.
La sintomatologia non è sempre osservabile, in quanto la morte può sopraggiungere improvvisa. Nei selvatici si possono verificare alterazioni comportamentali, come disorientamento, difficoltà di movimento, alterato riflesso di fuga e tendenza ad avvicinarsi a centri abitati, mentre i soggetti allevati o domestici possono presentare apatia, disoressia, fasi di eccitazione con emissione di grida, difficoltà respiratorie, decubito laterale, fuoriuscita di liquido siero-emorragico dalle narici.
L’evoluzione può essere iperacuta/acuta oppure subacuta/cronica con morte anche dopo diversi giorni e comparsa di ittero, oppure sopravvivenza e guarigione, favorita da una rapida risposta immunitaria.
Nel febbraio del 2010 fu riportata per la prima volta una nuova variante del virus della MEV, che aveva colpito popolazioni di conigli selvatici e di allevamento in Francia. La malattia, simile alla MEV per morbilità e lesioni, si registrava anche in conigli vaccinati per MEV e in conigli all’ingrasso di poche settimane di età e per questo nuovo virus, dal profilo genetico e antigenico distinto da quello classico, la vaccinazione risultava poco o per nulla cross-protettiva. Del nuovo sierotipo, chiamato RHDV2 e all’inizio solo moderatamente patogeno, dal 2014 cominciano a comparire ceppi ad alta patogenicità.
In Italia, RHDV2 fa la sua comparsa nel giugno 2011, in un allevamento di Udine. Dal 2013 risulta presente in forma endemica in tutta Italia e si segnala un aumento della virulenza dei ceppi. L’andamento della malattia presenta ondate epidemiche in conigli allevati industrialmente. Attualmente, il 99,9% dei casi di MEV è da imputarsi a RHDV2, mentre la malattia da ceppo classico è sporadica.
Nel 2018 la malattia ha raggiunto gli Stati Uniti, dove il coniglio è molto comune come animale da compagnia e ha infettato moltissime specie di lagomorfi selvatici americani. Durante la sua rapida diffusione in tutto il mondo, RHDV2 ha rivelato un’ulteriore caratteristica distintiva: lo spettro d’ospite. Non colpisce soltanto i conigli, ma anche la lepre del Capo o lepre africana (Lepus capensis), la lepre bruna europea (Lepus europaeus), la lepre bianca irlandese (Lepus timidus) e molti altri lagomorfi: ad oggi sono note 17 specie su 83 di lagomorfi che possono infettarsi con RHDV2 e che possono morire con lesioni che, nella lepre, sono sovrapponibili all’EBHS, rendendo necessaria la diagnosi differenziale.
Inoltre, studi recenti ancora da confermare indicano la possibilità che RHDV2 possa infettare anche alcune altre specie di mammiferi, come tassi o roditori.
Sebbene lo spettro d’ospite di RHDV2 sia molto più ampio rispetto al virus classico, tra i lagomorfi, il coniglio europeo rimane l’ospite principale.

I lagovirus non patogeni potrebbero avere un ruolo come probabili precursori dei virus patogeni a causa di mutazioni adattative, fenomeni di ricombinazione o a seguito di salti di specie. Sono infatti in grado di indurre livelli variabili di cross-protezione verso i virus patogeni e possono interferire con i dati di sierosorveglianza, ad esempio mascherando la presenza di reservoir.
In Italia, i virus non patogeni sono ampiamente diffusi (positività sierologica nel 30-50% delle aziende controllate). La loro esistenza nel coniglio in Europa e Australia ha indotto a ipotizzarne l’esistenza anche nelle lepri, e nel 2012 è stato identificato l’hare calicivirus (HaCV), che circola in Europa tra le popolazioni di lepre selvatica senza nessun apparente evento di ricombinazione con altri lagovirus.
Epidemiologia e diagnosi
L’infezione da lagovirus si verifica per via oro-nasale e congiuntivale, mentre l’escrezione del patogeno avviene attraverso urine, feci e secrezioni nasali. La trasmissione diretta avviene per contatto con animali infetti anche asintomatici, in incubazione, o con animali convalescenti. La trasmissione indiretta è più frequente per via della resistenza ambientale molto elevata e avviene attraverso il contatto con alimenti, oggetti o attrezzature contaminate, il trasporto passivo da parte di animali o dell’uomo e come conseguenza di abitudini igieniche e sociali, senza dimenticare il possibile ruolo di animali predatori e scavengers.
Dopo l’infezione, virus e sistema immunitario si sfidano in velocità: da un lato la moltiplicazione virale nel fegato e dall’altra la produzione di anticorpi. Gli animali che producono anticorpi molto rapidamente sono in grado di sopravvivere e questo si verifica in circa il 5-15% degli infetti, che poi mostrano titoli anticorpali molto elevati e protettivi.
La diagnosi presuntiva di MEV viene fatta attraverso l’anamnesi, i sintomi e le lesioni, ma la certezza si ottiene con l’identificazione del virus. La diagnosi differenziale deve prendere in considerazione la pasteurellosi setticemica nel coniglio e nella lepre per quanto riguarda le lesioni emorragiche, e la tularemia, la toxoplasmosi e la pseudotubercolosi nella lepre per quanto concerne la splenomegalia.
Per effettuare la diagnosi diretta (virologica) si possono utilizzare ELISA sandwich (molto specifico e sensibile, e di facile e rapida esecuzione), western blot analysis (utile in caso di degradazione virale nelle forme croniche) e rt-PCR, strumento molto sensibile, utile in indagini epidemiologiche molecolari, per studi di patogenesi e per identificare la presenza del virus in soggetti giovani, in ospiti non specifici e vettori, oltre che per la tipizzazione genomica dei diversi ceppi.
La diagnosi sierologica di MEV è un po’ più complicata perché la percentuale di IgG specifiche e cross-reattive nel siero varia tra gli animali, in relazione al tempo trascorso dall’infezione o dalla vaccinazione, in caso di infezione in animali vaccinati o in caso di reinfezioni. La presenza di anticorpi circolanti può essere rilevata in animali sopravvissuti, in soggetti nati da madri con anticorpi circolanti, nei vaccinati o negli infettati con virus non patogeni.
Quando vaccinare per MEV?
Alla nascita, il titolo anticorpale del coniglio è identico a quello della madre: più alto è il titolo delle madri, più a lungo gli anticorpi persistono dopo lo svezzamento e più lunga è la protezione. Tuttavia, gli anticorpi materni possono interferire con la vaccinazione, riducendone l’efficacia; quindi, se la situazione epidemiologica suggerisce di vaccinare anche conigli giovani, ciò dovrebbe avvenire dopo i 35-45 giorni di vita, quando gli anticopri materni non sono più presenti.
Mixomatosi
Endemica in Europa e in Italia da oltre 75 anni, la mixomatosi è stata considerata una patologia del coniglio fino al 2018, quando in Spagna e Nord Europa ne è comparso un nuovo ceppo in grado di colpire anche la lepre.
Il mixomavirus è un grosso virus a DNA dalla notevole resistenza agli agenti chimico-fisici, soprattutto se inglobato in materiale organico essiccato (resiste 30 giorni a temperatura ambiente, 220 giorni sul pelo di conigli morti e 10 mesi sulle pelli). Il virus possiede geni immunomodulatori, proteine in grado di intralciare, rallentare o abolire i processi immunologici sia nativi che adattativi. Il coniglio europeo è la specie maggiormente colpita da tale malattia altamente contagiosa e diffusiva, mentre le specie americane sono più resistenti e costituiscono un serbatoio virale.
I sintomi clinici variano a seconda del ceppo virale, della virulenza e dell’eventuale attenuazione; ad esempio, i ceppi californiani determinano una forma iperacuta, con sintomi a carico del SNC, diatesi emorragica e rari segni cutanei, mentre i ceppi sudamericani generano una forma cutanea (noduli a livello di orecchie, testa e genitali), una forma respiratoria o blefarocongiuntiviti.
Maggiormente interessati cute e linfonodi
Il virus penetra nell’organismo attraverso le mucose o per inoculazione da parte degli insetti vettori, replica massivamente nei linfonodi regionali e diffonde per via viremica all’interno dei linfociti; raggiunge così i siti di localizzazione costituiti da cavità nasali, congiuntive, genitali e cute. I tessuti maggiormente interessati sono la pelle e i tessuti linfoidi, in cui si riscontra la maggiore concentrazione del virus, che non si trova libero nel sangue ma solo associato ai globuli bianchi circolanti.
Con una particolare forma di latenza, generata dall’equilibrio dinamico tra la capacità del virus di causare malattia e la risposta immunitaria dell’ospite, il virus non provoca sintomi clinici anche per un tempo prolungato, e durante l’infezione si sviluppano titoli anticorpali alti ma molto poco protettivi in vivo, se non nei soggetti guariti, a protezione dalle reinfezioni.
Una malattia endemica
La mixomatosi può essere considerata una malattia endemica, che può dare origine a delle microepizoozie regionali legate a fattori condizionanti, quali il clima, il tipo di allevamento, il grado di immunità della popolazione, la densità degli animali, la tipologia di vettori coinvolti.
Gli insetti ematofagi sono vettori passivi del virus: in essi non vi è trasmissione transovarica o replicazione virale. Le zanzare si infettano dopo un pasto e restano infettanti anche per 220 giorni. Diffondono la malattia da primavera ad autunno, ma vi è la possibilità che il virus si conservi durante l’inverno.
Le pulci mantengono l’infezione nel coniglio selvatico anche durante l’inverno e sono molto efficaci soprattutto in quanto capaci di spostamenti direzionali alla ricerca dell’ospite. Altri insetti che possono inoculare il virus sono i simulidi, il pidocchio del coniglio, zecche e acari.
La diffusione diretta gioca un ruolo essenziale nella forma atipica respiratoria. La porta d’ingresso, in questo caso, può essere rappresentata da cute lesa, mucosa oculo-congiuntivale, mucose ano-genitali, via respiratoria o digerente, e la fonte d’infezione è costituita da animali ammalati o portatori provenienti da allevamenti non controllati o senza quarantena, ricoveri contaminati, contaminazione alimentare con pelli o carcasse di conigli morti, iatrogena, o mediante trasporto passivo da parte di animali, uomo o veicoli.
Forme cliniche
La forma classica (o nodulare) di mixomatosi è caratterizzata da noduli su orecchie, cute, congiuntiva, naso, mucosa genitale, e colpisce soprattutto gli allevamenti rurali in tarda estate. Dopo trasmissione essenzialmente indiretta mediante insetti (gli animali selvatici fanno da reservoir), l’incubazione è breve e la mortalità alta.
La forma acuta si manifesta dopo 3-9 giorni dall’infezione con tumefazioni cutanee (mixomi primari) nel punto di inoculo del virus (perlopiù zone glabre e mucose apparenti, con edema palpebrale e abbondante essudazione catarrale purulenta che impedisce l’apertura delle rime oculari). Dopo 2-3 giorni dall’inizio della sintomatologia, a livello ano-genitale compaiono edema, dolore e infiammazione (epiteliotropo, il virus colonizza anche l’endometrio e le linee seminali maschili).
La fase terminale è caratterizzata da mixomi secondari sul dorso e sul muso (facies leonina) freddi ed elastici al tatto, indolori e isolati oppure confluenti. La morte sopraggiunge in 8-15 giorni, anche a causa dell’incapacità dell’animale di alimentarsi, di andare alla ricerca del cibo a causa della cecità o per forme secondarie, come la pasteurellosi. La guarigione è estremamente rara.

La forma atipica, o respiratoria è invece caratteristica degli allevamenti industriali, avviene per contatto diretto e può manifestarsi durante tutto l’anno. Dal periodo d’incubazione più lungo (1-3 settimane), può provocare infezioni subcliniche, aborti o mortalità neonatale, oltre a favorire l’insorgenza di infezioni secondarie (Pasteurella spp.). Si manifesta principalmente con sintomi respiratori e con lesioni a carico dei genitali, degli occhi (tumefazioni palpebrali e congiuntivite) e del naso (scolo muco-purulento). I noduli fibrotici, tipici della forma classica, possono essere scarsamente presenti o del tutto assenti.
La forma subacuta o cronica è caratterizzata dalla presenza di chiazze congestizie sulle orecchie, che evolvono in croste e successivamente in cicatrici. La diagnosi può essere confermata con la ricerca antigenica, soprattutto tramite PCR, o mediante esami sierologici.
Altre virosi del coniglio
Salvo alcune eccezioni, come il coronavirus sistemico e l’herpesvirus, le altre virosi del coniglio tendenzialmente non sono considerate agenti primari di malattia, ma numerose interessano l’intestino, e alcuni virus vengono elencati tra le possibili concause della complessa sindrome gastroenterica del coniglio svezzato e dell’enterocolite epizootica del coniglio.
Inoltre, le enteriti virali favoriscono la comparsa o possono essere associate ad enteriti batteriche e parassitarie.
Le principali forme di enterite virale nel coniglio
- La forma più classica di enterite virale è quella da rotavirus. Generalmente osservata in conigli all’ingrasso di 35-50 giorni, si presenta quando la carica infettante in allevamento (il virus è generalmente presente in tutti i soggetti) tende ad aumentare a causa di cattiva igiene o di infezioni concomitanti.
- Anche i parvovirus sono relativamente frequenti e spesso sono associati ad agenti batterici o parassitari, in particolare protozoi e coccidi. Sono ancora poco conosciuti e la malattia da parvovirus del coniglio è un reperto occasionale.
- Il coronavirus è descritto come agente causale di malattia sistemica ed enterica. Il suo ruolo patogeno non è ben definito, ma si trova frequentemente associato ad altri virus. È ampiamente diffuso, tanto che risultano sieropositivi il 100% delle aziende e il 3-40% degli animali.