Il quarto webinar1 del ciclo denominato “Il latte in testacoda” promosso da FNOVI ha esaminato la normativa dedicata al latte non idoneo al consumo grazie al contributo del dott. Antonio Vitali (Dipartimento veterinario e Sicurezza degli alimenti di origine animale, ATS-Brescia).
Definizione di latte “alimentare”
Per prima cosa la definizione di latte alimentare secondo la normativa: il latte alimentare è il prodotto ottenuto dalla mungitura regolare, ininterrotta e completa della mammella di animali in buono stato di salute e nutrizione. Con la parola “latte” deve intendersi il latte proveniente dalla vacca.
Basi normative
Parte integrante della preparazione del veterinario che opera nella filiera del latte è rappresentata dalle basi normative, che comprendono:
- Reg. (CE) 852/04 e Reg. (CE) 853/04 recanti le linee guida per l’esecuzione dei controlli tesi a garantire la sicurezza alimentare nell’ambito della produzione e immissione sul mercato del latte destinato al trattamento termico e alla trasformazione.
- Reg. (CE) 183/05: stabilisce l’igiene dei mangimi.
- Reg. (CE) 1881/2006: definisce i tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari.Reg. (CE) 37/2010: concerne le sostanze farmacologicamente attive e la loro classificazione per quanto riguarda i limiti massimi di residui negli alimenti di origine animale.
In particolare, secondo il Reg. (CE) 853/04, le procedure da mettere in atto devono garantire che il latte di vacca crudo abbia un tenore in germi a 30° C per ml minore o uguale a 100.000 (media geometrica mobile, calcolata su un periodo di due mesi, con almeno 2 prelievi al mese) e un tenore di cellule somatiche per ml inferiore o uguale a 400.000 (media geometrica mobile, calcolata su un periodo di tre mesi, con almeno un prelievo al mese, a meno che l’Autorità competente non specifichi una metodologia diversa per tenere conto delle variazioni stagionali dei livelli di produzione).
Fatta salva la Direttiva 96/23/CE, le procedure da porre in atto devono garantire che il latte crudo non sia immesso sul mercato se contiene residui di antibiotici in quantità tale che, riguardo a una qualunque delle sostanze di cui agli allegati I e III del Reg. (CEE) n. 2377/90, siano superati i livelli autorizzati a norma di detto regolamento oppure se il totale complessivo dei residui delle sostanze antibiotiche supera ogni valore massimo approvato.
Qualora il latte crudo non soddisfi tali requisiti, gli operatori del settore alimentare devono informare l’Autorità competente e adottare misure volte a correggere la situazione.
Esclusione del latte non idoneo dalla messa in commercio
Tra le motivazioni che determinano l’esclusione dalla messa in commercio del latte non idoneo vi è la presenza di antibiotici. Uno studio condotto nel 2021 da ATS Brescia, IZLER, et al. aveva tra i suoi obiettivi quello di monitorare i livelli rilevabili di antimicrobici nel latte, valutare gli effettivi rischi per la salute dei consumatori e, nel caso, intraprendere azioni correttive.
Sono stati esaminati 52 campioni provenienti da 12 stabilimenti con il coinvolgimento di 150 aziende di bovine da latte, valutando anche la corrispondenza tra le molecole rilevate e quelle utilizzate in allevamento.
L’ATS e l’IZSLER hanno pianificato lo studio, effettuato la raccolta dei campioni, verificato il consumo di farmaci in azienda e valutato i risultati, mentre il Reparto di Chimica degli Alimenti e dei Mangimi dell’IZSLER ha effettuato l’analisi mediante metodica LC-HRMS (liquid chromatography–high resolution mass spectrometry) che consente la determinazione di 61 molecole sui conferimenti di latte.
Queste molecole facevano capo a sei grandi raggruppamenti di antibiotici: amfenicoli, beta-lattamici, chinolonici, macrolidi, sulfamidici, tetracicline. Gli addetti alla sorveglianza epidemiologica IZSLER hanno eseguito le analisi dei risultati ottenuti. L’ATS di Brescia ha estratto l’elenco degli antibiotici prescritti nei mesi antecedenti al prelievo per ciascun allevamento coinvolto nello studio e sono stati inseriti due indicatori per misurare il consumo dei farmaci in azienda: PCU, che misura le vendite complessive di antimicrobici veterinari, e DDD che considera le dosi somministrate.
I risultati di questo studio sono stati incoraggianti, in quanto non è stato rinvenuto alcun campione positivo su 150 allevamenti.

Nel 2022, lo stesso monitoraggio ha coinvolto tutte le ATS della Lombardia e, anche in questo caso, non sono state rinvenute positività.

Provvedimenti in presenza di antibiotici nello studio presentato dal dott. Vitali
Nel caso di riscontro di presenza di antibiotici sarebbero stati intrapresi alcuni provvedimenti:
- Per livelli superiori all’LMR2, identificazione e blocco della partita con campionamento ufficiale legale per la ricerca di antibiotici e interventi di farmacosorveglianza sull’azienda di provenienza.
- Per livelli tra LOQ3 e LMR, interventi di farmacosorveglianza sull’allevamento ed eventuali ulteriori campionamenti ufficiali.
- Per livelli superiori al limite di rilevazione ma inferiori al LOQ, interventi di farmacosorveglianza sull’allevamento ed eventuali ulteriori campionamenti ufficiali.
Il consumatore protagonista
Il fatto che non siano rilevati residui nel latte testimonia una particolare attenzione da parte di tutta la filiera e conferma i dati raccolti dalle analisi effettuate in ambito di PNR (Programma Nazionale per la Ricerca) e da quelle eseguite in autocontrollo.
Tutto ciò può non essere sufficiente per il consumatore, molto sensibile a queste tematiche. Da un sondaggio Eurobarometro del 2022, il costo degli alimenti è risultato il primo fattore che influenza gli acquisti (54%), seguito dal sapore (51%). In testa alla lista delle preoccupazioni legate alla sicurezza alimentare si collocano i residui di pesticidi (40%) e i residui di antibiotici, ormoni o steroidi nella carne (39%).
Altro motivo di esclusione del latte dal consumo è la presenza di metalli pesanti, ma anche in questo caso i risultati delle analisi possono tranquillizzare il consumatore, in quanto, durante il controllo su 77 campioni di latte di massa, solo in un caso ci si avvicinava al limite critico, senza raggiungerlo. Ci sono poi le aflatossine, la cui presenza è di solito legata ad andamenti stagionali. Anche per queste molecole il monitoraggio è continuo e i risultati indicano l’assenza di problematiche.

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Smaltimento del latte non idoneo
Il Dlgs 52/2006 dà la definizione giuridica di rifiuto come “qualsiasi sostanza o oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi”, mentre secondo il Reg. (CE) 1069/2009 sono sottoprodotti di origine animale i corpi interi o parti di animali, prodotti di origine animale o altri prodotti ottenuti da animali non destinati al consumo umano.
Anche se spesso i reflui zootecnici sono considerati lo scarico di tutto ciò di cui ci si vuole liberare, in realtà esiste una definizione che li individua in maniera specifica, come deiezioni del bestiame o come miscela di lettiera e di deiezione di bestiame, anche sotto forma di prodotto trasformato, ivi compresi i reflui provenienti da attività di piscicoltura. Il latte, un alimento sicuro, comporta la consapevolezza, da parte dell’allevatore, di essere un operatore del settore alimentare. Lo smaltimento del latte non è compito del medico veterinario aziendale ma è indispensabile che egli abbia tutte le informazioni utili a indirizzare l’allevatore verso le scelte corrette.
Direttiva 96/23/CE
Il latte da destinarsi allo smaltimento per le motivazioni precedentemente trattate dovrebbe essere considerato come un sottoprodotto di categoria 2, ossia tra i sottoprodotti di origine animale contenenti residui di sostanze o di agenti inquinanti autorizzati che eccedono i livelli consentiti di cui all’articolo 15, paragrafo 3, della Direttiva 96/23/CE. Essi possono essere applicati sul terreno senza trasformazione preliminare se si stratta di stallatico, del contenuto del tubo digerente separato da quest’ultimo, di latte, di prodotti a base di latte e di colostro e qualora l’Autorità competente ritenga che non presentino rischi di diffusione di malattie trasmissibili gravi.
Bisogna tuttavia porre l’accento, qualora si tratti di latte con residui di sostanze antimicrobiche, sul fenomeno dell’antibioticoresistenza. Infatti già in alcune Regioni non è più consentito questo tipo di smaltimento e quindi il latte andrebbe smaltito come sottoprodotto di categoria 1, che comprende i sottoprodotti di origine animale che sono stati sottoposti a trattamenti illeciti, tra i quali quelli contenenti residui di altre sostanze e di agenti contaminanti per l’ambiente.
Dlgs 152/06
Ai sensi dell’articolo 185, comma 2, lett. b del Dlgs 152/06, i sottoprodotti animali non rientrano nel campo di applicazione della norma sui rifiuti, in quanto regolati da altre disposizioni normative comunitarie, ivi incluse le rispettive norme nazionali di recepimento. Fanno eccezione quelli destinati all’incenerimento, allo smaltimento in discarica e all’utilizzo in un impianto di produzione di biogas e di compostaggio.
- 31/10/2023. “Da prezioso alimento a rifiuto la strada è breve”. Organizzato da FNOVI. ↩︎
- Il limite massimo di residui (LMR) è la concentrazione massima di un residuo di una sostanza farmacologicamente attiva che può essere autorizzata negli alimenti di origine animale. ↩︎
- Il limite di quantificazione o limite di rilevabilità quantitativo (LOQ) è il limite di concentrazione fino al quale è possibile ottenere strumentalmente una misura di tipo quantitativo con relativa incertezza. ↩︎