Consigli sulla gestione degli animali ospedalizzati per prevenire la sindrome da rialimentazione, un’evenienza tutt’altro che remota se non affrontata adeguatamente.

Assodato che un animale ospedalizzato debba riprendere ad essere alimentato il più rapidamente possibile per ridurre la durata della degenza e aumentare le sue probabilità di sopravvivenza, è necessario essere prudenti nella ripresa della somministrazione del cibo, in particolare con gli animali a rischio di sviluppare una sindrome da rialimentazione (Refeeding syndrome, RS).

Le cause della sindrome da rialimentazione

Inizialmente descritta nella specie umana in contesti di carestie e guerre, la sindrome da rialimentazione è ancora poco conosciuta in ambito veterinario. Questa condizione comprende l’insieme dei sintomi clinici e delle disfunzioni metaboliche che intervengono all’inizio e in corso di rialimentazione di soggetti con pregressa denutrizione cronica o che siano stati sottoposti a digiuno prolungato.

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Gatto anziano cachettico e amiotrofico con rischio aumentato di sviluppare sindrome da rialimentazione.
© Lucas Florentin

All’inizio del digiuno l’organismo utilizza le proprie riserve di glucosio attraverso la neoglucogenesi e la glicogenolisi. Dopo 72 ore, esso si adatta servendosi dei grassi e delle proteine come fonte di energia. Se il digiuno si prolunga, l’organismo di un animale sano utilizza preferibilmente gli acidi grassi liberi e i corpi chetonici allo scopo di risparmiare la massa muscolare.

In un soggetto malato l’infiammazione limita il ricorso alla massa grassa e l’animale passa al catabolismo proteico intenso che accentua la denutrizione. Alla ripresa dell’alimentazione la disponibilità dei glucidi comporta un rapido passaggio da stato catabolico a stato anabolico: l’insulina viene secreta dal pancreas, tanto più se l’alimento fornito è ricco di glucidi assimilabili come gli zuccheri semplici (fruttosio, glucosio o galattosio). L’insulina permette al glucosio di entrare nelle cellule e lo stesso accade per fosforo, magnesio e potassio.

Poiché lo stato di digiuno ha già provocato una diminuzione di questi metaboliti in circolo, ne risultano ipofosfatemia, ipomagnesiemia e ipokaliemia. Anche la concentrazione ematica di tiamina (vitamina B1) decade in ragione dell’aumento del suo utilizzo perché cofattore del metabolismo del glucosio, quando le sue riserve sono già scarse.

Questa sindrome può comparire nelle ore seguenti alla rialimentazione e fino a 10 giorni dopo ma generalmente si osserva tra 2 e 5 giorni. Esiste una predisposizione alla RS, descritta in Medicina Veterinaria soprattutto nel gatto.

I fattori di rischio

  • BCS inferiore a 3 su 9
  • Apporto energetico inferiore ai tre quarti del fabbisogno di mantenimento da più di 3 giorni
  • Perdita di peso1 superiore al 10% nell’arco di due mesi.
  • Lipidosi epatica felina (che aumenta di 8 volte il rischio di sviluppare la sindrome da rialimentazione)
  • Malattie croniche quali diabete mellito (specificatamente in caso di chetoacidosi), ipercorticismo, tumori

Sintomi

I sintomi di questa sindrome sono direttamente correlati ai disordini metabolici descritti.

  • Ipofosfatemia: i sintomi compaiono quando la concentrazione ematica di fosforo cade al
    di sotto di 1,5 mg/dl, e comprendono insufficienza cardiaca, debolezza muscolare generalizzata, problemi neurologici (atassia, stato comatoso). Poiché il fosforo è un componente dei fosfolipidi di membrana dei globuli rossi, una sua carenza può comportare anche emolisi intravascolare
  • Ipomagnesiemia (< 0,5 mmol/l o 1,2 mg/ dl): aritmie cardiache, segni neuromuscolari (tremori muscolari, convulsioni)
  • Ipokaliemia (< 3 mmol/l): disturbi del ritmo cardiaco, problemi digestivi (costipazione, ileo), ventroflessione cervicale
  • Carenza di tiamina: problemi neurologici, ventroflessione cervicale

Terapia

La terapia si basa su alcuni punti fondamentali, che comprendono:

  • Misure classiche di gestione di un animale in terapia intensiva: reidratazione, correzione di
    un’eventuale ipotermia
  • Supplementazione di elettroliti:
    • fosforo attraverso una soluzione di fosfato di potassio alla dose di 0,01-0,03 mmol/kg/h IV fino a che la fosfatemia sia superiorie ai 2 mg/dl, poi per os
    • potassio, da modulare in funzione del livello di kaliemia, con cloruro di potassio (KCl) aggiunto ai fluidi di perfusione. Se l’animale presenta ipokaliemia grave può essere somministrata una perfusione di KCl per 6 ore in ragione di 0,05 mmol/kg/h
    • magnesio, per mezzo di una soluzione di cloruro di magnesio o di solfato di magnesio: 0,01-0,02 mmol/kg/h durante le prime 24 ore
  • Integrazione di tiamina per via sottocutanea, intramuscolare, endovenosa oppure per
    os
    quotidianamente fino alla normalizzazione dei segni clinici (gatto: 25 mg/gatto o 2-4 mg/kg; cane: 100 mg/cane)
integrazione-potassio rialimentazione

Prevenzione

Per gli animali identificati come soggetti a rischio di sviluppo di sindrome da rialimentazione è consigliabile:

  • Offrire la razione alimentare in maniera progressiva e frazionare i pasti. Considerando il fabbisogno energetico a riposo (RER)2; non bisogna superare il 20% del RER in prima giornata e bisogna aumentare progressivamente in un periodo di 4-10 giorni fino al raggiungimento del totale del RER. A titolo indicativo, il volume gastrico di un gatto può diminuire drasticamente quando lasciato a digiuno: dopo 6 settimane di digiuno è di 15 ml, contro i 350 ml di un gatto sano. Di conseguenza tali animali necessitano di un piano di rialimentazione molto preciso
  • Privilegiare alimenti ricchi di grassi e proteine ed evitare gli alimenti ricchi di glucidi assimilabili (perché i glucidi semplici sono più a rischio dell’amido). Ciò permette di limitare la scarica di insulina e di ridurre i rischi di anomalie elettrolitiche. Le soluzioni da rialimentazione che contengono molti glucidi semplici, usate soprattutto in Medicina Umana, sono da evitare perché inducono aumento del rischio di RS
  • Monitorare quotidianamente lo ionogramma (fosforo, potassio e magnesio) e la glicemia, oltre allo stato di idratazione, il peso e la minzione
  • Evitare l’ospedalizzazione di questi pazienti accanto ad animali potenzialmente contagiosi

I 4 punti imprescindibili per una rialimentazione corretta

  1. Se l’anoressia è di durata inferiore a 3 giorni, il fabbisogno energetico a riposo può essere completato in soli 3 giorni: un terzo il primo giorno, due terzi il secondo giorno e infine la totalità in terza giornata
  2. Se l’animale è anoressico da almeno 3 giorni, e quindi è a maggior rischio di sindrome da rialimentazione, il RER dovrà essere conseguito progressivamente nel giro di 5 giorni: il 20% del RER verrà somministrato il primo giorno, poi la dose verrà aumentata del 20% ogni giorno. I pasti devono essere costituiti da piccole quantità di cibo somministrate ogni 4-6 ore, con un minimo di 3 ore di intervallo tra ogni assunzione di alimento
  3. Il piano alimentare va adattato caso per caso, e qualche volta è necessario ristabilire l’alimentazione nell’arco di dieci giorni (il 10% del RER in prima giornata, con aumenti del 10% ogni giorno nei nove giorni seguenti). In letteratura sono riportati due casi di gatti con solamente 6 kcal/kg/ die all’inizio della rialimentazione.
  4. L’alimento dovrà avere un contenuto energetico elevato, un’ottima appetibilità e pochi glucidi assimilabili. Saranno scelti alimenti industriali di tipo veterinario classicamente utilizzati durante l’ospedalizzazione (alimenti detti “da convalescenza”), privilegiando quelli in forma liquida per gli animali con sonda esofago-stomica o rino-esofagea.
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L’applicazione di una sonda esofagostomica agli animali disoressici può facilitare il controllo di un piano di rialimentazione rigoroso.
© Lucas Florentin
  1. La percentuale di dimagramento si calcola con la formula: [(peso ideale – peso attuale)/ peso ideale] x 100 ↩︎
  2. l fabbisogno energetico di un animale ospedalizzato è definito come fabbisogno energetico a riposo (RER) ed è definito dalla formula 70 x peso dell’animale0,75 ↩︎
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