La dott.ssa Iazzoni e la dott.ssa Napoli affrontano l’argomento dell’eutanasia prendendone in esame la complessità degli aspetti psicologici ed emotivi.

L’accompagnamento dell’animale e del suo proprietario al momento dell’eutanasia può comportare per il veterinario l’affiorare di sentimenti forti, con un carico emotivo che non sempre è preparato a sopportare e soprattutto a gestire nella propria quotidianità.
La dott.ssa Cecilia Iezzoni, psicologa, psicoterapeuta e psico-oncologa in Medicina Umana, e la dott.ssa Antonella Napoli, psicologa clinica e floriterapeuta, sono intervenute come relatrici nel primo incontro online “Psico-Vet-End” dedicato a questo tema promosso dalla ADMV (Associazione Donne Medico Veterinario).


Per approfondire le tematiche trattate nel secondo incontro riguardanti gli aspetti legali dell’eutanasia, vedere: L’eutanasia dal punto di vista della legge


Eutanasia in Medicina Umana

Dopo una breve introduzione sul significato etimologico del termine “eutanasia” (dal greco: “buona morte”) la dott.ssa Iezzoni ha segnalato che la Federazione delle Cure Palliative (FCP, Organizzazione di volontariato ad Abbiategrasso, MI) la definisce dal punto di vista medico umano come “uccisione di un soggetto consenziente in grado di esprimere la propria volontà di morire, soddisfatta dopo un percorso di scelta libera e consapevole”; una buona morte, quando la vita non lo è più. Questa definizione in Medicina Umana si ricollega al significato di suicidio assistito (consentito in Italia solo con requisiti stringenti).

La relatrice si è poi è soffermata sul distinguo, sempre in ambito medico umano, tra eutanasia, suicidio assistito e cure palliative. Nel caso di suicidio assistito, l’atto di porre fine alla vita viene delegato al paziente stesso. Le cure palliative invece intervengono nel sollievo dal dolore. Tale distinguo non è banale, poiché l’intenzione e la stessa messa in atto delle procedure di fine vita, determinano un carico emotivo e “morale” differente per il medico, presupponendo l’emergere di questioni etiche, morali, religiose e di assunzione di responsabilità, che concorrono tutte alla difficoltà nell’autorizzare e disciplinare in Diritto queste procedure.

Eutanasia in Medicina Veterinaria

Il medico veterinario ha la possibilità di interrompere una vita, seppur di sofferenza, e si assume la responsabilità dell’indirizzare la scelta del proprietario. Inoltre, compiere l’atto dell’eutanasia in prima persona, per quanto lungamente meditato, può scatenare emozioni di diversa profondità, in relazione anche al vissuto del singolo e al rapporto che ha instaurato con il paziente e con il proprietario.

In generale, l’atto di cura non può più limitarsi solo a guarire, ma deve comprendere anche l’accompagnamento alla morte, preservando così la relazione tra uomo e animale. Il paradigma della cura dovrebbe quindi cambiare, anche in Medicina Veterinaria, da to cure a to care, dando importanza anche a questo ultimo atto, inteso come momento di cura del paziente.

Il pet dal punto di vista del proprietario

Il pet è per il proprietario “unico al mondo”, citando il dialogo della volpe ne “Il Piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry, e la relazione con l’animale è definita scientificamente come di tipo terapeutico: l’animale rappresenta per l’uomo una figura di attaccamento sicura.

Studi dimostrano che anche le persone che hanno sperimentato relazioni umane disfunzionali riescono comunque a sviluppare una relazione sana, sicura e rassicurante con l’animale e sono in grado di prendersene cura. L’ossitocina, ormone importante nelle relazioni sociali e nel senso di benessere, viene rilasciato in dosi alte sia nell’uomo sia nell’animale nel momento di interazione.

Il cambiamento e l’interruzione di questa relazione unica e speciale pone il veterinario nella condizione di doversi approcciare alla morte e alla sofferenza e spendere le proprie competenze emotive nell’aiutare il proprietario a decidere per il meglio per il proprio animale. Quest’ultimo non può esprimere la propria volontà, per cui risulta essenziale tenere conto della sofferenza del paziente, valutata tramite competenze tecnico-scientifiche.

Il comparto emozionale del proprietario

Il complesso universo emotivo e di credenze del proprietario relativo al proprio pet deve essere accolto e gestito sia dal proprietario stesso come persona sia dal veterinario come professionista.

I funerali nel mondo umano sono un atto celebrativo, sacro, fondamentale e imprescindibile della morte come espressione di condivisione e riconoscimento del dolore da parte della comunità. Nel caso del decesso di un animale, questo momento è assente, e anzi la sola ipotesi di inscenarlo scatena una certa perplessità, se non addirittura ilarità. Alla luce dell’eccezionalità della relazione uomo – animale, probabilmente non dovrebbe essere così, secondo la dott.ssa Iezzoni.

Emozioni coinvolte nell’elaborazione del lutto

Le emozioni sono competenze senza cognizione e quelle elementari sono quattro: dolore, piacere, paura e rabbia. Un proprietario sofferente le manifesta (eccettuato logicamente il piacere) in fasi che si susseguono nell’elaborazione di un lutto e sono fisiologicamente importanti per superarlo. È importante quindi che il proprietario si conceda il tempo di sperimentarle; citando il poeta statunitense Robert Frost “Se vuoi venirne fuori, devi passarci nel mezzo, toccandone il fondo per riemergere”.

La paura, e il successivo diniego, è di solito la prima a comparire, al momento della diagnosi a prognosi infausta. Questa emozione molto forte segnala l’attivazione fisiologica e di solito si manifesta come ansia. Se l’ansia non viene affrontata ma viene arginata da meccanismi difensivi come l’evitamento, il controllo e la repressione, sfocia quasi sempre nell’angoscia (sensazione di imminente catastrofe).

La rabbia, che emerge subito dopo, segnala l’inizio di una reazione di attacco difensivo di fronte anche solo alla possibilità della perdita. Questa emozione può essere orientata verso sé stessi (sfociando in senso di colpa) o verso il destino o verso gli altri. Alcune volte, la rabbia viene riversata sul medico veterinario che in quel momento rappresenta colui che con la sua diagnosi ha creato questa sofferenza. Solitamente la rabbia è molto contagiosa ed è suscettibile di amplificazione.

Il dolore è protagonista della successiva fase e rappresenta il momento della rassegnazione all’incontrovertibilità della perdita. In questo momento il proprietario sperimenta il vuoto emotivo fino alla depressione, arrivando anche a somatizzare il proprio dolore.

Il comparto emozionale del veterinario

Nella relazione di presa in carico e di cura, il veterinario sperimenta la compassion fatigue1, mentre il fatto di accompagnare qualcuno a un’esperienza dolorosa traumatica come l’eutanasia può determinare secondary traumatic stress disorder2 fino al burn out3. Inoltre, la sensazione di colpa che proviene dall’ipotesi di non aver fatto abbastanza è connaturata alla natura umana e il veterinario sente con essa tutta la responsabilità nell’indirizzare il proprietario verso una scelta o un’altra.

È dunque necessario saper riconoscere i propri segnali di “allarme emotivo” e saper delegare in determinati momenti, per potersi ritagliare dei tempi utili per curarsi del sé.

La scrittura può essere terapeutica, aiutando a diventare consapevoli delle proprie emozioni, dando realmente confini al dolore che corrispondono a quelli del foglio, portandoli all’esterno del noi e aiutando così a prenderne la giusta distanza.

Fondamentale comunicare

La comunicazione con il proprietario è essenziale e i canali utilizzabili sono non solo il verbale, ma anche il paraverbale (i silenzi, le pause, il tono) e il non verbale (gli occhi, la postura, ecc.). Nei casi di forte emotività, spesso il soggetto non riesce a comprendere appieno il canale verbale, mentre il non verbale è quello che viene ascoltato e ricordato.

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Molto spesso in situazioni di difficile gestione emotiva, come nell’eutanasia, il linguaggio non verbale può assumere una importanza uguale se non superiore a quello verbale.
© shisu_ka – shutterstock.com

Ascolto empatico

L’ascolto empatico del proprietario con apertura alle sue emozioni e al suo dolore permette di ottenerne la fiducia. Una volta instaurato questo legame, è possibile fornire informazioni esaustive che dovranno essere semplici e ridondanti per far comprendere il messaggio.

Bisognerebbe predisporre il momento, dare il giusto tempo al saluto e tentare di rendere coerenti all’atto il luogo, le persone presenti e le tempistiche. Alcune volte ciò non è possibile, a prescindere dalla nostra volontà, ma il tentativo verrà comunque apprezzato e registrato, anche solo a livello subconscio, dal proprietario e lo aiuterà a superare il trauma.

E per il veterinario?

La dott.ssa Iezzoni ha suggerito di concedersi anche solo qualche minuto tra l’eutanasia e l’accoglienza di un nuovo paziente e proprietario, perché non far trapelare tutto il carico emotivo che è appena stato condiviso richiede un grande sforzo.

Suggerimenti pratici per il momento dell’eutanasia

  • Effettuare l’eutanasia al domicilio del paziente
  • Dedicare una stanza dell’ambulatorio all’eutanasia
  • Eseguirla su appuntamento
  • Scegliere un momento coincidente con la pausa pranzo o il fine giornata, in modo da dare tempo al proprietario e a se stessi di rielaborare prima di ri-immergersi nella propria quotidianità.

Comunicare l’eutanasia in famiglia

Per rispondere al genitore che chiede consiglio sulla modalità di comunicazione della perdita dell’animale al proprio figlio, è bene sapere che:

  • i bambini cominciano a conoscere la parola morte solo superficialmente tra i 3 e i 5 anni di età;
  • tra i 6 e i 9 anni la morte è impersonata da mostri che sono comunque vincibili;
  • a partire dai 9 anni si crea la comprensione dell’irrimediabilità dell’evento.

In un contesto familiare, l’eutanasia del pet può essere il primo contatto con la morte, con la perdita. Tenere i bambini all’oscuro di quanto è accaduto e non dare loro risposte, secondo la dott.ssa Iezzoni alimenta la loro angoscia. Spiegare delicatamente e in modo naturalequest’ultimo passo” e permettere l’espressione della sofferenza con disegni, foto e scritti è necessario per un corretto approccio futuro al dolore.

Eutanasia e floriterapia

Nella seconda parte del webinar la dott.ssa Antonella Napoli, psicologa clinica e floriterapeuta, ha fornito alcuni suggerimenti pratici per affrontare il momento dell’eutanasia.

La floriterapia può aiutare a preparare la stanza, per tentare di dare “conforto” a tutti coloro che vi transiteranno. Infatti, sebbene il meccanismo d’azione sia ancora sconosciuto, i principi floriterapeutici darebbero impulso a riequilibrare lo stato emozionale alterato.

Le molecole utilizzate non sono biologicamente attive e quindi non presentano né particolari controindicazioni, né interazioni. Si tratta di un repertorio di 38 rimedi conosciuti appunto come “fiori di Bach”. In questo sistema costruito dal dott. Bach, le singole essenze sono collegate tra loro e collaborano nell’ottenere l’effetto desiderato.

Analogo utilizzo hanno i “fiori californiani” e i “fiori australiani”. In commercio, sono presenti miscele in gocce e in spray a base di fiori di Bach e di fiori californiani che si possono assumere per bocca o spruzzare nell’ambiente dove si intende praticare l’eutanasia.

Esempi di rimedi floriterapici in occasione dell’eutanasia

Alcuni rimedi consigliati dalla dott.ssa Napoli4:

  • Rescue remedy, per calmare l’angoscia e la paura nelle situazioni di emergenza
  • Fireweed californiano
  • Arnica
  • Echinacea per agire sulla sfera della dignità
  • Maryposa lily e holly per il conforto
  • Transition pet (una miscela di fiori australiani), nel momento in cui si sta per anestetizzare l’animale
  • Angel’s trumphet, in associazione a transition pet per gestire il trapasso
  • Aspen (vedere foto), fiore di Bach, per gestire la paura e agevolare il cambiamento (accarezzare l’animale dopo aver spalmato alcune gocce sulla mano)
  • Lichen
  • “Conforto per animali”, da spruzzare dopo l’atto
  • Post trauma stabilizer” miscela che contiene olii essenziali, e rispetto a quella chiamata “conforto per animali” presenta anche glassy hyacinth per affrontare una sofferenza profonda
  • Caregiver”, miscela da assumere in caso di sovraccarico emotivo o burn out
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L’Aspen (Populus tremula) è usato per alleviare la paura.
© EluneyH – shutterstock.com

Come creare un ambiente adatto con la floriterapia

All’atto dell’eutanasia la relatrice consiglia la miscela chiamata “conforto per animali”.

Al di là delle miscele preconfezionate, è possibile allestire miscele ad hoc per il diverso temperamento del singolo paziente. La floriterapia offre infatti la possibilità di scegliere il fiore più consono al momento e alla persona.


Per approfondire le tematiche trattate nel secondo incontro riguardanti gli aspetti legali dell’eutanasia, vedere: L’eutanasia dal punto di vista della legge


  1. “Fatica compassionevole”, caratterizzata da graduale e progressiva riduzione del desiderio di prendersi cura, poiché l’esposizione in modo attivo a molteplici eventi dolorosi traumatici ha provocato un esaurimento a livello emotivo. È il prezzo emotivo che potrebbero dover pagare coloro che si prendono cura degli altri (costo della cura). ↩︎
  2. Reazione acuta e improvvisa che si manifesta con pensieri intrusivi, ansia e sbilanciamento della percezione verso i pericoli e incapacità di interagire con chi soffre. ↩︎
  3. Sensazione di totale esaurimento delle risorse necessarie per svolgere il proprio lavoro. ↩︎
  4. Per saperne di più: https://fioriperlanima.com/ ↩︎

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