Un evento formativo specialistico riguardante l’enteropatia cronica1, con particolare attenzione alla loro gestione alimentare, si è svolto presso lo stabilimento produttivo dell’azienda Forza10. Sono intervenuti il prof. Giacomo Biagi, docente di nutrizione animale all’Università di Ozzano dell’Emilia (BO) e il dott. Graziano Pengo, libero professionista esperto gastroenterologo ed endoscopista.
Il ragionamento diagnostico in gastroenterologia
Il dott. Pengo ha presentato lo stato dell’arte in materia di enteropatie croniche, ragionando sul ruolo e sulle competenze del gastroenterologo. Secondo il dottore, la definizione di IBD (Inflammatory Bowel Disease), alla luce delle conoscenze attuali, dovrebbe comprendere solo quelle forme di patologia intestinale cronica con evidenza istologica di infiltrato infiammatorio mucosale intestinale ad eziologia non determinabile, dopo un corretto iter diagnostico che abbia escluso le cause note di gastroenterite; inoltre, nel ragionamento diagnostico la diagnostica strumentale dovrebbe servire solo per ampliare la conoscenza del caso, mantenendo al centro del completo iter la presentazione clinica del paziente, interpretandola grazie all’esperienza maturata.
Il primo step è il segnalamento (alcune razze risultano infatti geneticamente predisposte a determinate patologie gastroenteriche, ad esempio Pastore tedesco, Boxer, Basenji ecc.).

Subito dopo, nello studio del singolo caso, è fondamentale raccogliere un’accuratissima anamnesi cercando di porre domande chiare e comprensibili e di interpretare le risposte al di là di possibili inesattezze che, involontariamente, il proprietario può riportare. Anche la visita clinica è imprescindibile, sempre comprensiva di una scrupolosa palpazione addominale. Gli esami laboratoristici da poter associare sono numerosissimi e vertono al rilevamento di parassiti intestinali (compresi Giardia spp. e Tritrichomonas spp.), squilibri ormonali (l’ipotiroidismo rallenta la peristalsi mentre l’ipertiroidismo l’accelera) o della cortisolemia ecc.
In caso di sospetta enteropatia proteino-disperdente (PLE, protein loosing enteropathy), è indispensabile l’esame delle urine comprensivo del valore PU/CU e dell’elettroforesi urinaria, mentre il test TLI (Tripsin-Like-Immunoreactivity) va eseguito se l’esame clinico sembra indicare un disturbo del pancreas esocrino, e va associato alle vitamine B9 (acido folico) e B12. Agli esami laboratoristici possono essere associati esami strumentali come l’ecografia addominale e la gastro-duodeno-colonscopia con relativi campionamenti bioptici.

La radiografia, nelle forme croniche, ha meno indicazione, mantiene grande importanza in presentazioni acute o che presentano vomito cronico in anamnesi, ad esempio le forme di CIPO (Chronic Intestinal Pseudo-Obstruction).
Il percorso descritto serve a inquadrare il paziente e stabilire un grado di gravità per la patologia in corso. Esistono a tal proposito scale validate (ad es. il CIBDAI – Canine inflammatory bowel disease activity index, e il CCECAI – Canine chronic enteropathy clinical activity index), che però nella pratica clinica sono poco utilizzate.
Enteropatia cronica e disbiosi? Disequilibri e disordini
Il relatore ha poi introdotto il concetto di disbiosi sottolineando che essa può portare a squilibri nella costante relazione tra ingesta-batteri intestinali-sistema immunitario locale del tratto digestivo-sistema immunitario sistemico del paziente, mentre disordini del sistema immunitario sono la chiave in moltissimi casi di patologie gastroenteriche.
L’intestino si avvale di quattro forme di regolazione del sistema immunitario, locale e sistemico:
- la barriera mucosale, ovvero sistemi di difesa intraluminali tra cui le IgA secretorie (IgAs), il muco, i linfociti intramucosali (IELs);
- la regolazione della risposta immunitaria antigenica, che in situazioni normali deve distinguere tra antigeni “buoni” e “cattivi”;
- i meccanismi di eliminazione degli antigeni, biochimici e meccanici (come la peristalsi stessa);
- la tolleranza orale, cioè l’“insensibilità” immunologica a livello locale e sistemico a un antigene somministrato per bocca; essa si sviluppa nei primi mesi di vita dell’individuo.
Il meccanismo di regolazione immunitaria è estremamente complesso e fittamente interconnesso; esso è alla base delle RAC (reazioni avverse al cibo) su base immunologica, diverse nel meccanismo patogenetico rispetto alle intolleranze alimentari, che rispondono più a meccanismi prettamente biochimici/enzimatici. Le conoscenze attuali indicano che la disbiosi può alterare tali meccanismi in vari modi.
Rimettiamo in ordine…
Per intervenire sulla disbiosi innanzitutto occorre agire sulla dieta, secondariamente si può far uso di prebiotici e di probiotici. Qualora la gravità della situazione clinica lo richieda, è possibile mettere in atto una terapia farmacologica. Nei casi confermati di EPI (Exocrine Pancreatic Insufficiency) poi, vanno somministrati enzimi pancreatici ad ogni singolo pasto.
Il dott. Pengo ha quindi descritto le patologie più gravi e sfidanti per il gastroenterologo: le PLE, che possono anche necessitare di terapie urgenti e aggressive, essendo potenziale causa di un repentino peggioramento delle condizioni generali del paziente (ascite e/o versamento pleurico, edema periferico, fino a shock ipovolemico per la bassa pressione oncotica). Una delle patologie causa di PLE è la linfangectasia, confermata dall’esame endoscopico che visualizza direttamente i villi repleti di linfa e ulcerati. In questi casi la terapia immunosoppressiva dev’essere iniziata rapidamente e modulata in risposta alla risalita delle proteine sieriche, indicatore cardine della riuscita terapeutica.
Il relatore ha accennato anche alla colite istiocitaria ulcerativa (HUC), una variante della colite granulomatosa più frequente in Boxer e Bouledogue e causa di gravi sintomi, come ematochezia, anoressia, dimagrimento e gravissime alterazioni visibili all’endoscopia. In questi casi, una volta emessa la diagnosi, si può iniziare con corticosteroidi a dosaggio immunosoppressivo, singolarmente o in associazione ad altri immunosoppressori come azatioprina a dosaggi più bassi, cambiando molecola in assenza di risposta del paziente.
La terapia antibiotica si riserva ai casi gravi con segni di trasmigrazione batterica peritoneale o sistemica, oppure ai casi in cui l’esame endoscopico abbia fornito evidenze di colonizzazione batterica mucosale profonda, a livello delle cripte; quando non disponibile l’antibiogramma, la scelta in questi casi ricade su terapie ad ampio spettro.
… innanzitutto con la dieta!
Il prof. Biagi ha esordito ricordando che le enteropatie dieta-responsive (Food-Responsive Enteropathy, FRE) sono la stragrande maggioranza ed è quindi dovere del clinico intervenire sull’alimentazione dei pazienti enteropatici; è stato consigliato di fare più trial alimentari, cambiando alimento qualora il miglioramento dei sintomi non avvenga entro 4-6 giorni.

Quali proteine? E i grassi?
I cardini nella scelta della dieta “terapeutica” sono:
- l’impiego di fonti proteiche non convenzionali o idrolizzate di elevato valore biologico e altamente digeribili, come ad esempio carne di cavallo, coniglio, anatra o selvaggina;
- mantenere un tenore di grassi mediamente più basso delle diete di mantenimento in quanto possono, se indigeriti o maldigeriti, peggiorare la diarrea sia per effetto irritante sulla mucosa (presenza di idrossiacidi, acidi grassi non assimilabili), sia per effetto osmotico a livello colico. Il tenore di grasso va mantenuto idealmente sotto il 15% della sostanza secca (s.s.) nel cane e sotto il 25% nel gatto, ma in caso di PLE la quota dev’essere ulteriormente ridotta (idealmente al 5% s.s. circa), mentre negli alimenti commerciali low fat a disposizione la componente grassa più bassa si aggira intorno all’8%; un’alternativa in questi casi può essere allora la dieta casalinga ultra low fat, composta solo da pollo senza pelle o merluzzo e patata/riso bollito aggiungendo, in caso l’animale necessiti di recuperare peso, le calorie date da oli MCT (Medium Chain Triglycerides) come l’olio di cocco, che non richiedono la digestione biliare e non richiamano linfa nel tratto gastrointestinale, passando direttamente nel torrente circolatorio.
- Il relatore ha spiegato anche il ruolo terapeutico degli acidi grassi omega-3 che hanno, oltre a quella nutritiva, un’importante funzione regolatoria dell’infiammazione; pertanto, ove possibile, andrebbero aggiunti alla dieta casalinga e dovrebbero essere sempre presenti nelle diete commerciali.
Le fibre nella dieta
Le fibre solubili hanno invece effetto prebiotico e trofico sulla mucosa intestinale (sebbene ritardino lo svuotamento gastrico), mentre quelle insolubili regolarizzano la peristalsi intestinale ed esercitano un’azione meccanica nel rimuovere acqua ed eventuali tossine batteriche. Le diete commerciali ricche di fibra vanno introdotte come trial dietetico nei pazienti con coliti acute o croniche. Interessanti fonti di fibra sono Ascophyllum nodosum (alga bruna ricca di fucoidani dalla spiccata attività antiossidante e antinfiammatoria sulla mucosa dell’apparato gastroenterico), lo psyllium (ricavato dalla pianta erbacea Plantago psyllium) e la farina di carrube; nelle diete casalinghe si possono poi inserire verdure come carote, zucchine o sedano.
L’integrazione vitaminica
Per quanto riguarda gli oligoelementi, la vitamina B12 dev’essere integrata per via parenterale qualora se ne rilevi carenza o anche se il valore è appena sopra l’intervallo di normalità. La vitamina D è spesso al di sotto del range di normalità nelle PLE, e tale carenza rappresenta un fattore prognostico negativo; di carattere liposolubile, tale vitamina risulta però difficile da monitorare nei normali screening di laboratorio.
I segreti del microbiota
Il prof. Biagi ha definito il microbiota come l’insieme delle popolazioni batteriche presenti nell’intestino; responsabile di innumerevoli interazioni con tutto il tratto digerente e più in generale con tutto l’organismo. Il microbiota è specie-specifico, con modificazioni nei singoli soggetti in relazione alle variabili che caratterizzano la loro vita (alimentazione, ambiente, animali conviventi ecc.); vari studi ritengono che vi sia una componente “core” che, una volta strutturatosi il microbiota durante la crescita del soggetto, si mantiene più o meno inalterata (in caso di modifiche cercherà di ricomporsi alla medesima maniera) e una porzione “non core”, più volubile, che caratterizza determinate situazioni o periodi della vita dell’animale, in quanto le popolazioni batteriche di questa porzione vengono influenzate da variabili ambientali.
In animali sani le popolazioni batteriche prevalenti sono lattobacilli e Saccharomyces spp.; tra le popolazioni meno numerose si annoverano anche microrganismi notoriamente patogeni come Salmonella spp. o Campylobacter spp., che però subiscono una competizione ambientale tale da non risultare dannosi. Il microbiota inizia il suo sviluppo nel cucciolo o nel gattino già in utero e prosegue al momento del parto e poi con lo svezzamento, subendo modifiche sostanziali necessarie per raggiungere la sua forma “definitiva” nell’adulto. Eventi che interferiscono con questa normale evoluzione (terapie antibiotiche sulla madre o sui cuccioli, parto cesareo, patologie ecc.) possono creare squilibri anche per l’intera vita dell’animale.
In corso di patologia intestinale, sia primaria che secondaria, si crea una modificazione della ripartizione delle famiglie batteriche con aumento della percentuale di popolazioni normalmente meno rappresentate; questo squilibrio viene definito “disbiosi” e viene valutato oggettivamente attraverso l’indice di disbiosi. Il relatore ha sottolineato che non è ancora chiarito se la disbiosi sia causa o conseguenza delle enteropatie, ma ripristinare l’eubiosi spesso comporta la risoluzione della patologia.
Come si interviene sul microbiota?
Per modificare e arricchire il microbiota si può agire su più fronti.
- I cambi di dieta sono utili, tenendo presente il ruolo delle fibre solubili.
- Quando l’obiettivo è il miglioramento della disbiosi, i probiotici vanno introdotti per almeno 4 settimane per ottenere l’efficacia.
- I prebiotici possono poi apportare beneficio al microbiota in quanto lo nutrono. Quali sono i prebiotici più utili in gastroenterologia?
- Lipidi e acidi grassi essenziali
- Oligoelementi come lo zinco
- Vitamine come la A, la E e il complesso B
- FOS (frutto-oligosaccaridi)
- MOS (mannano-oligosaccaridi)
- GOS (gluco-oligosaccaridi)
- GAS (galatto-oligosaccaridi)
- XOS (xilo-oligosaccaridi)
- Butirrato (nutre la mucosa intestinale fungendo da “postbiotico”)
- Tannini ottenuti dal legno di castagno
- Alcuni oli essenziali
- Estratti vegetali come la curcuma
- Il trapianto fecale, terapia “d’urto” nella modifica di un microbiota disbiotico, dev’essere eseguito dopo attenta selezione dei donatori (testati per patologie infettive e parassitarie). Realizzato tramite clisma rettale, attualmente è indicato per gli enteropatici cronici non responsivi ad altre terapie e sui soggetti atopici; alcuni studi hanno notato benefìci anche in altri campi, ad esempio in corso di parvovirosi canina. Dev’essere eseguito da personale esperto poiché, come ogni procedura medica, non è scevro da rischi.
- Bagnoli di sopra (PD), 4-5/10/24. Gastroenterologia e nutrizione clinica veterinaria. Organizzato da Forza10; l’evento fa parte del progetto “Vet Net”, che prevede altri convegni nel prossimo futuro. ↩︎