Nel secondo incontro1 del ciclo di webinar dedicato a nutrizione e medicina felina organizzato da AIVPA (Associazione Italiana Veterinari Piccoli Animali) il dott. Andrea Corsini (DVM, PhD, ECVIM-CA Internal medicine, EBVS, responsabile del servizio di medicina interna del cane e del gatto e del servizio di patologia clinica presso l’OVUD dell’Università di Parma), ha toccato i punti salienti del diabete mellito felino fornendo informazioni spendibili nella pratica quotidiana.
Definizione e fattori di rischio del diabete felino
Il diabete mellito (DM) è una malattia dalle molte sfaccettature; la definizione data dall’ESVE (European Society of Veterinary Endocrinology) attraverso il progetto ALIVE condiviso dalla SCE (Society for Comparative Endocrinology, Società americana di endocrinologia veterinaria), lo identifica come “un gruppo eterogeneo di malattie con eziologie multiple, caratterizzate da iperglicemia derivante da una secrezione inadeguata di insulina” (DM tipo 1, insulino-dipendente), “da un’a zione inadeguata dell’insulina” (DM insulino-resistente, include tipo 2), ”o da entrambe”.
Dunque il diabete non è definibile come un’unica malattia, ma come un insieme di condizioni che possono avere meccanismi sottostanti diversi. Nel gatto i fattori di rischio più importanti sono:
- età: nel 95% dei casi si tratta di gatti al di sopra dei 5 anni, la mediana va da 10 a 13 anni a seconda degli studi. Alcuni gatti tuttavia possono sviluppare la malattia anche più giovani;
- sesso: circa il 70% dei gatti diabetici è di sesso maschile (ad oggi non è noto il perché di questa predisposizione);
- obesità: è fortemente associata allo stile di vita indoor e alcuni studi hanno dimostrato come, per ogni aumento di un chilo rispetto al peso forma, aumenta di circa il 30% l’insulino-resistenza;
- terapia con glucocorticoidi per comorbilità;
- razza (in particolare il Burmese).

Diagnosi di diabete felino
Dal punto di vista della presentazione clinica, i sintomi classici sono PU/PD, polifagia e perdita di peso. Nel gatto si aggiunge solitamente un’altra possibile complicazione, la plantigradia.
Per aiutare, non tanto nella diagnosi, solitamente abbastanza intuitiva nei casi con sintomatologia evidente, quanto nel monitoraggio, ALIVE fornisce un Diabetic Clinical Score, che attribuisce un punteggio da 0 a 3 a vari aspetti della patologia e, dal totale finale, permette di valutare in modo oggettivo la presenza o meno di un miglioramento clinico significativo nel singolo paziente.
Nell’interpretazione degli esami di laboratorio è necessario tenere presente il fattore “iperglicemia da stress”. È vero che quanto più il glucosio è alto tanto più è sospetto, ma in caso di stress tale parametro può salire moltissimo, con picchi di 360 mg/dl (talvolta anche di 500 mg/dl); quindi non basta il semplice riscontro di iperglicemia per emettere la diagnosi ma, in base ai criteri ALIVE, si devono considerare i due casi seguenti:
- glicemia random uguale o maggiore a 270 mg/ dl con segni clinici classici e almeno un’alterazione tra aumento delle fruttosamine sieriche e glicosuria in più di un’occasione su campioni prelevati in ambiente domestico almeno 2 giorni dopo qualsiasi evento stressante;
- glicemia random (a digiuno o non) tra 126 e 270 mg/dl e almeno due alterazioni tra segni clinici classici di iperglicemia senza altre cause plausibili, aumento delle fruttosamine sieriche e glicosuria in più di un’occasione su campioni prelevati in ambiente domestico almeno 2 giorni dopo qualsiasi evento stressante.
È importante ricordare che non sempre i proprietari si accorgono dei segni clinici e quindi non li riferiscono. Una volta formulata la diagnosi serve il minimum database, cioè un insieme di dati che permettono di inquadrare la situazione a tutto tondo anche, per esempio, per identificare la presenza di eventuali patologie concomitanti.
Esami collaterali consigliati
Oltre ad anamnesi, esame obiettivo generale con misurazione della pressione (il diabete è causa di ipertensione), profilo biochimico, esame delle urine e valutazione delle fruttosamine sieriche, altri esami considerati utili in alcuni casi per la valutazione del paziente felino diabetico sono:
- esame emocromocitometrico, utile se si sospettano comorbilità (solitamente però i gatti diabetici non presentano alterazioni significative);
- ecografia addominale, qualora si sospetti la copresenza di triadite o pancreatite cronica;
- valutazione del T4 totale, indicata negli anziani;
- valutazione delle IGF-1, idealmente dopo almeno 6 settimane di terapia insulinica per evitare il rischio di falsi negativi. Tale parametro è utilizzato per diagnosticare l’acromegalia (o ipersomatotropismo), causa comune di diabete mellito nel gatto (si stima che il 18-25% dei gatti diabetici sia affetto da acromegalia).
Gli obiettivi terapeutici e comeottenerli
L’obiettivo della terapia è ridurre o eliminare i segni clinici riferibili al diabete per permettere al gatto di stare meglio.
- In presenza di alterazioni nel BCS, che sia obesità o cachessia, si deve cercare di normalizzarlo.
- Andrebbero evitate il più possibile complicanze della terapia, come per esempio gli episodi ipoglicemici o, al contrario, iperglicemici, con la comparsa di chetoacidosi diabetica.
- Infine, si deve cercare di garantire un’adeguata qualità di vita al paziente, ma anche al proprietario, dato che è una patologia dal forte impatto sulla vita di entrambi. Infatti, la remissione del diabete non è considerata un obiettivo primario (sebbene possibile in circa il 30% dei gatti trattati con terapia insulinica). Essa può essere definita come quella condizione in cui il gatto non è più dipendente dalla terapia per più di quattro settimane; tuttavia, ciò non costituisce una guarigione dalla malattia: i gatti in remissione restano malati che, in alcuni casi, possono anche recidivare. Quindi è necessario porre attenzione alla comunicazione con il proprietario in modo da non creare false speranze.
Comunicare con il proprietario
Creare un rapporto di fiducia con i proprietari è alla base della buona riuscita del trattamento terapeutico. Non tutti i proprietari però sono uguali, è quindi fondamentale capire chi si ha di fronte. È necessario valutare lo stile di vita, le possibilità economiche e come queste si correlano tra loro (es. buone possibilità economiche ma mancanza di tempo e viceversa).

Va poi considerato che non tutti riescono a gestire correttamente determinati tipi di monitoraggi terapeutici o ad avere la stessa confidenza con le nuove tecnologie.
Cercare di comprendere quanto può essere duro ricevere una diagnosi di diabete per il proprio gatto è altrettanto fondamentale per raggiungere un adeguato livello di comunicazione con il cliente.
Da uno studio2 è emerso che tra le maggiori preoccupazioni dei proprietari ci sono la volontà di raggiungere un maggiore controllo della malattia, la difficoltà a lasciare gli animali con amici, parenti o in pensione e la paura di possibili eventi ipoglicemici durante la propria assenza (es. per lavoro) e quindi l’impossibilità di prestare soccorso immediato. Durante una prima visita, quindi, le informazioni da fornire sono parecchie.
“Difficilmente una visita può durare meno di un’ora, perché avremo la necessità di chiarire i dubbi, spiegare il tipo di terapia scelta e perché, come eseguirla, come monitorarla, che tipo di dieta adottare ecc. Consideriamo un buon risultato se il proprietario uscendo dall’ambulato ricorda il 10-20% di quello che gli abbiamo detto. Per questo motivo le cose dette devono essere riportate in forma scritta .Molto utili sono, ad esempio, brochures o documenti, precedentemente preparati, che affrontino i principali aspetti della patologia, da lasciare al proprietario dopo il colloquio. In questo modo una volta a casa avrà la possibilità di consultare quel documento anziché, ad esempio, andare su Internet e trovare indicazioni errate o diverse da quelle che noi abbiamo fornito”.
dott. Andrea Corsini (DVM, PhD, ECVIM-CA Internal medicine, EBVS)
I farmaci a disposizione
Le opzioni terapeutiche a disposizione, a cui è importante associare anche dieta, esercizio fisico e il trattamento delle patologie concomitanti, comprendono la somministrazione di insulina e, di recente applicazione, l’uso di farmaci ipoglicemizzanti orali, inibitori dei recettori SGLT2. Esiste anche un’altra categoria di farmaci, gli agonisti GLP-1, che mimano l’azione dell’ormone glucagon-like peptide-1, mai utilizzati in monoterapia.
Le insuline in commercio sono molteplici, ma solo due sono registrate per uso veterinario; pertanto, sono queste quelle da prendere in considerazione come prima scelta, in particolare l’insulina zinco protamina. Molto importante è anche il corretto utilizzo delle siringhe, che cambiano in base alla tipologia di insulina utilizzata (contraddistinte da tappo rosso quelle ad uso veterinario, mentre è arancione quelle per la terapia nell’uomo).
Il dosaggio terapeutico di partenza è 0,25-0,5 U/kg ogni 12 ore (senza superare le 2U/somministrazione); nel gatto si tende a preferire un dosaggio per soggetto anziché per chilo, quindi 1-1,5 U/gatto ogni 12 ore, perché in pazienti obesi o in sovrappeso esiste il rischio di sovradosaggio.
L’importanza del monitoraggio
Il monitoraggio della terapia è determinante, perché a volte la terapia sembra non essere efficace, ma per sapere se il vero problema è l’insulina, si devono avere dati adeguati sul paziente. Attualmente il metodo migliore è dato dal monitoraggio continuo della glicemia tramite sensore, anche se, ovviamente, il punto di partenza è sempre la valutazione dello score clinico.
Anche le fruttosamine si possono usare per il monitoraggio. Utili quando misurate nel tempo nello stesso paziente, danno una stima delle concentrazioni di glucosio nelle 1-3 settimane precedenti e non sono influenzate dall’iperglicemia da stress; di contro, indicano il valore medio del glucosio ma non l’andamento nell’arco della giornata; inoltre non riflettono variazioni recenti, non permettono di chiarire la causa del mancato controllo glicemico, richiedono l’invio a laboratori di riferimento e i risultati non sono immediati (oltre a limiti nella standardizzazione del test e nella definizione degli intervalli di riferimento).
Uno dei problemi da affrontare nel corso del monitoraggio è l’elevatissima variabilità glicemica nei pazienti, correlata sia a eventi su cui il medico può intervenire, sia a fattori che non possono essere modificati, ad esempio l’assorbimento dell’insulina, alterazioni nei meccanismi di contro-regolazione, oppure nella velocità di svuotamento gastrico.
Da questo punto di vista, una novità positiva è stata l’arrivo in commercio degli SGLT2i (Sodiumglucose co-transporter 2 inhibitors, inibitori del co-trasportatore sodio-glucosio di tipo 2). Di questi, in Veterinaria oggi è disponibile solo il velagliflozin.
Questi farmaci agiscono a livello renale: nella parte più prossimale del tubulo contorto prossimale, esistono dei recettori SGLT di tipo 1 e 2, che consentono il riassorbimento del glucosio. I farmaci bloccano i recettori tipo 2 e inducono, di conseguenza, il rilascio di glucosio con le urine, aumentando la glicosuria senza compromettere il riassorbimento generale (i recettori tipo 1 rimangono attivi permettendo di evitare l’ipoglicemia).
L’aumentata escrezione renale porta a normalizzazione della glicemia, eliminando l’effetto glucotossico sulle cellule beta del pancreas e inducendo così un miglioramento della funzionalità pancreatica e della sensibilità all’insulina. Ovviamente, il presupposto perché questa terapia funzioni è che il pancreas endocrino del paziente abbia una funzionalità residua con produzione di insulina endogena.
Il monitoraggio continuo
Oggi la metodica più accurata di monitoraggio continuo del glucosio è FreeStyle Libre 33: un sensore, pre-calibrato dal produttore, che, posizionato sul paziente, viene azionato tramite app, e misura il glucosio interstiziale (non quello ematico, e questo spiega le possibili differenze con i valori rilevati dal glucometro o tramite esame biochimico), per 15 giorni consecutivi. Il medico veterinario, registrandosi sulla piattaforma online LibreView, può consultare l’andamento del paziente in tempo reale e fornire un feedback al proprietario.
Il paziente ideale per il velagliflozin
Il candidato “ideale” per l’impiego di velagliflozin è un gatto neodiagnosticato, in buone condizioni generali (gatto “happy”) con assenza di comorbilità. Un candidato “possibile”, da valutare, è un paziente già in terapia insulinica in buone condizioni generali (gatto “happy”), a cui però bisogna prestare maggiore attenzione, perché potrebbe esserci un rischio un po’ più alto di avere delle complicazioni come la chetoacidosi diabetica. Da evitare assolutamente in gatti in cattive condizioni cliniche (gatto “unhappy”) con gravi comorbilità come malattia renale cronica in stadio avanzato o altre comorbidità significative e gravi.
Il criterio fondamentale è che tutti i gatti in cui si decide di iniziare la terapia, anche se sono in buone condizioni generali, non devono presentare chetonuria.
- Nei nuovi pazienti si inizia la somministrazione di velagliflozin a 1 mg/kg sid. Nei gatti in trattamento con insulina il passaggio si fa non somministrando la dose serale di insulina e iniziando il velagliflozin a 1 mg/kg la mattina successiva.
- Monitorare l’efficacia della terapia con singola misurazione della glicemia, più fruttosamine, più valutazione clinica ai giorni 7, 14 e 21.
- Monitorare anche le eventuali complicanze valutando la chetonuria ogni giorno per 2 settimane, con valutazione clinica chetonemia ai giorni 7, 14 e 21. I monitoraggi a lungo termine vanno ripetuti a 1 mese e ogni 3 mesi.
- La terapia con velagliflozin va interrotta se si rileva iperglicemia persistente (controllare però l’aderenza alla terapia e prendere in considerazione iperglicemia da stress), se si rileva chetosi/chetonuria, se compaiono segni clinici come letargia, inappetenza, vomito, disidratazione, cachessia, diarrea persistente. Quando il gatto torna ad essere iperglicemico, reintrodurre la terapia insulinica. È possibile anche considerare la reintroduzione del farmaco una volta che il paziente supera la fase acuta della patologia che si è scatenata, ma questo va valutato caso per caso.
- In caso di trattamento con velagliflozin il paziente è a rischio di comparsa di chetoacidosi diabetica (DKA) euglicemica (Glu < 250 mg/dL), soprattutto nei primi 14 giorni di trattamento, quindi oltre alla glicemia, bisogna controllare sempre i chetoni. In questi casi la terapia va sospesa e introdotto il protocollo per la gestione della DKA come in un qualsiasi gatto iperglicemico.
La dieta nel gatto diabetico
Il gatto diabetico si può gestire anche senza una dieta specifica, l’importante è lavorare sui vari aspetti per gestirlo al meglio. In particolare, nella fase iniziale ci si può adattare all’esigenza/preferenza del gatto (o del proprietario), si possono scegliere prodotti simili per composizione alla dieta desiderata e magari lentamente provare a introdurre dei prodotti più indicati per la gestione del diabete, tenere in considerazione prodotti a ridotto contenuto di carboidrati ma con un adeguato contenuto calorico.

In gatti con comorbilità va data priorità alla gestione della comorbilità e dunque, un paziente nefropatico e diabetico dovrà fare una dieta renale, oppure un gatto con una IBD responsiva alla dieta dovrà fare la sua dieta idrolizzata.
Uno dei problemi che si possono avere in questi pazienti è il calo dell’appetito. Ciò può portare ad un’assunzione altalenante di cibo che può diventare problematica in un gatto che riceve l’insulina, in cui potrebbero manifestarsi delle grosse variabilità da un giorno all’altro, dovute ai cambiamenti nella quantità di cibo che assume nell’arco della giornata, e questo aumenta i rischi di avere episodi ipoglicemici o di sviluppare complicanze come per la lipidosi epatica.
Per quanto riguarda i gatti in terapia con velagliflozin, non c’è ancora una risposta chiara sulla dieta più indicata da adottare.
- 23/10/24. Diabete felino senza segreti: dalla diagnosi alla terapia
nutrizionale. Nell’ambito del ciclo: Focus sulla nutrizione felina,
Organizzato da AIVPA in collaborazione con Schesir. ↩︎ - Niessen SJ, Powney S, Guitian J, Niessen AP, Pion PD, Shaw JA, Church DB. Evaluation of a quality-of-life tool for cats with diabetes mellitus. J Vet Intern Med. 2010;24(5):1098-105. ↩︎
- Dispositivo ad uso umano commercializzato da Abbott. ↩︎