Tra le opzioni per la gestione multimodale della dermatite atopica canina è indicata l’immunoterapia. Analizziamo uno studio di valutazione di un microarray molecolare multiplex per determinare le sensibilizzazioni IgE specifiche per gli allergeni.

Nei cani con dermatite atopica la diagnosi è clinica per esclusione: si basa sulla confluenza dei dati anamnestici (razze predisposte/ familiarità, vivere in ambiente urbano, età precoce d’insorgenza..), clinici (eritema e prurito a coinvolgere in modo simmetrico testa/muso, aree glabre ventrali ed estremità degli arti) e l’esclusione delle possibili diagnosi differenziali.

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Pastore tedesco con dermatite atopica: lesioni a livello di aree glabre ventrali e infezione da Malassezia. © F. Fabbrini
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Bull terrier atopico con lesioni facciali e a livello di estremità degli arti.
© F. Fabbrini
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Bull terrier con dermatite atopica: lesioni simmetriche del muso. © F. Fabbrini

A differenza dell’uomo, nel cane la malattia raramente va incontro a una regressione spontanea, richiedendo spesso un trattamento a vita. Nella sua gestione multimodale, tra le principali opzioni disponibili viene indicata l’immunoterapia, ovvero la desensibilizzazione allergene-specifica (ASIT), basata sugli esiti degli esami allergologici.

L’ASIT è considerata l’intervento di scelta per prevenire la ricomparsa dei segni clinici dopo l’esposizione agli allergeni e l’unico metodo in grado di prevenire l’insorgenza di ulteriori sensibilizzazioni a nuovi allergeni. La selezione degli allergeni per allestire l’ASIT si basa su una combinazione di storia clinica, segni clinici e risultati dei test allergologici preposti al rilevamento delle IgE (sia intradermici che sierologici).

La rilevazione delle IgE

In Medicina Veterinaria, la rilevazione delle IgE avviene solitamente tramite test cutanei o sierologici con estratti allergenici grezzi/interi. Tuttavia, questi estratti sono difficili da standardizzare, e ciò può comportare risultati imprecisi o variabili. Tale eterogeneità, ad esempio, è stata illustrata/dimostrata negli estratti degli acari Dermatophagoides che risultano essere eterogenei nella loro composizione e nel loro contenuto in allergeni immunologicamente importanti; pertanto, i test effettuati con questi estratti potrebbero dare risultati variabili a seconda dell’estratto utilizzato.

Inoltre, un’ampia categoria di proteine, dette glicoproteine, è in grado di legare oligosaccaridi (glicani) sulla loro superficie. In allergologia, il termine CCD (Cross-reactive Carbohydrate Determinants) è stato coniato per diversi tipi di oligosaccaridi che vengono riconosciuti come determinanti antigenici (epitopi B) da anticorpi IgE umani e che, essendo espressi in molte specie vegetali (incluse graminacee, alberi, piante erbacee) o animali (inclusi nematodi, molluschi, artropodi), giustificano anche una loro cross-reattività tra glicoproteine di specie diverse, altrimenti tra loro non correlabili.

Fu all’inizio degli anni ’80 che Rob Aalberse osservò, in vari pazienti allergici, anticorpi IgE che reagivano contro la componente glucidica, invece della componente proteica, delle molecole allergeniche. Due importanti proprietà caratterizzavano questi anticorpi: l’incapacità di indurre un’efficiente degranulazione dei mastociti a contatto con l’antigene e la loro capacità di interagire con diverse glicoproteine allergeniche.

Aveva anche previsto la bassa rilevanza patogenetica di questi anticorpi nel causare reazioni allergiche, oltre al rischio che fossero in grado di confondere/alterare i risultati dei test allergologici in vitro, dando luogo a test positivi per diversi estratti allergenici, in assenza di un’effettiva patogenicità di quegli stessi estratti. Da qui la necessità di prevenire i falsi positivi trattando i reagenti allergenici per rimuovere i loro componenti glucidici e/o la necessità di privare il siero dei pazienti allergici di questi anticorpi prima di esaminare il siero stesso per la sua reattività IgE contro gli estratti allergenici. A Rob Aalberse va il merito di aver coniato la duratura definizione di CCD.

Nel cane è stata dimostrata una reattività crociata tra alcune glicoproteine del Dermatophagoides farinae e del nematode Toxocara canis, rendendo difficile distinguere tra la sensibilizzazione a questo acaro e l’infestazione da parte del parassita intestinale.

Allergologia molecolare

Con lo scopo di migliorare l’affidabilità dei risultati dei test allergologici sierologici a IgE in campo veterinario, un gruppo di studiosi europei1 ha illustrato la validazione di una metodica, già in uso in campo umano, che si basa sull’uso dell’allergologia molecolare. Nota anche come component-resolved diagnostics (CRD) o precision allergy molecular diagnostic applications (PAMD@), l’allergologia molecolare studia le molecole specifiche degli allergeni che causano reazioni allergiche.

Invece di testare la reattività nei confronti di un allergene “intero”, i test molecolari possono individuare la reattività a una specifica proteina di un allergene. Il test, solitamente sierologico, prevede di vagliare singoli componenti molecolari in aggiunta o in sostituzione degli estratti grezzi, e rappresenta un approccio più preciso per rilevare i responsabili specifici delle sensibilizzazioni a IgE. Ciò migliora la standardizzazione del test, nonché la sua sensibilità e specificità, poiché si avvale al 100% di singole proteine allergeniche ben definite.

Ad esempio, un estratto di Dermatophagoides farinae (Der f) dovrebbe contenere tutte le migliaia di proteine codificate nel suo genoma, di cui solo 37 (lo 0,34%) risultano a oggi riconosciute come allergeni per l’uomo.2 Un problema analogo, dovuto al basso contenuto dei principali allergeni, si verifica anche in Medicina Veterinaria: è stato segnalato che un estratto di Der f a uso veterinario contiene solo l’1-2% dei principali allergeni Der f (Der f 1, Der f 2, Der f 15 e Der f 18) presi di mira dalle IgE nei cani con dermatite atopica.

L’allergologia molecolare consente inoltre una migliore identificazione delle reazioni crociate tra allergeni e sensibilizzazioni primarie. Aiuta a prevedere il decorso clinico e a selezionare in modo più logico gli allergeni da utilizzare per allestire l’immunoterapia allergene specifica ASIT.

Strumentazione e validazione

In Medicina Umana viene utilizzato un test microarray molecolare multiplex di produzione austriaca (Vienna) per determinare le sensibilizzazioni IgE a circa 300 allergeni, costituito per circa due terzi da singoli allergeni molecolari (o componenti), e per un terzo da estratti totali selezionati per fonti di allergeni i cui componenti molecolari non sono completamente caratterizzati.

Successivamente, ne è stato sviluppato un derivato per l’uso in Medicina Veterinaria per i cani, e in seguito anche per gatti e cavalli, includendo circa un terzo di estratti allergenici e due terzi di componenti molecolari. La selezione degli allergeni si è basata su quelli presenti nello strumentario di Medicina Umana, partendo dal presupposto che le proteine allergeniche presenti negli esseri umani potrebbero essere allergeniche anche negli animali.

Sono stati esclusi gli allergeni non rilevanti per i cani e aggiunti quelli che sensibilizzano specificatamente la specie canina, come Der f e i suoi componenti Der f 15 e Der f 18, arrivando così a includere 247 spot allergenici di cui 132 dedicati agli aeroallergeni ambientali (53,4%), 13 per veleni di imenotteri (5%) e 98 per allergeni alimentari (39,7%). Due rilevatori CCD e i relativi controlli non CCD completano questa configurazione.

La procedura per la validazione dello strumento diagnostico adattato alla Medicina Veterinaria ha compreso numerosi passaggi; per rilevare le IgE specifiche dell’allergene, il test utilizza anticorpi monoclonali accoppiati alla fosfatasi alcalina, che riconoscono solo un epitopo del dominio Cε2 delle IgE canine, senza interferire con le IgG, le IgM o le IgA.

Gli allergeni ambientali

Nel 2023, 23.858 cani europei sospettati di essere allergici sono stati sottoposti a questa metodica. È stato studiato il tasso di sensibilizzazione di questi cani verso 145 allergeni ambientali e al veleno di api e vespe. Sono stati così prodotti 3.030.375 valori di IgE individuali contro allergeni ambientali e/o veleni di imenotteri, ed è emerso che il 78,9% dei cani testati presentava almeno una IgE specifica positiva per gli allergeni ambientali e/o veleno di api o vespe.

Infine, 17.548 cani presentavano almeno una positività alle IgE specifiche per allergeni ambientali o di api o vespe, trattabile con l’immunoterapia ASIT.

I 20 allergeni a cui i cani testati sono risultati maggiormente sensibilizzati sono stati suddivisi in 3 gruppi maggiori:

  • veleni degli imenotteri (api e vespe)
  • pollini di erbacee graminacee e alberi
  • acari della polvere di casa e delle derrate alimentari

Risultati del rilevamento delle sensibilizzazioni agli allergeni del veleno di imenotteri

Per la prima volta, i risultati del test hanno rivelato che circa il 20% dei cani era già stato punto almeno una volta da api o vespe, il che li rendeva sensibili agli estratti e ai componenti di questi veleni. Questo tasso di sensibilizzazione sembra essere la metà di quello rilevato nell’uomo. È importante notare che la presenza di IgE sieriche specifiche per i veleni di insetti non sempre predice la presenza dell’allergia clinica alle punture di api o vespe. L’allergene più frequentemente rilevato è stato la fosfolipasi A2 del veleno d’api, Api m 1, con il 22,8% di cani positivi.

Risultati della rilevazione delle sensibilizzazioni agli allergeni ambientali di alberi ed erbe

Le sensibilizzazioni polliniche più frequentemente rilevate dal test hanno riguardato tre piante erbacee: l’ambrosia (Ambrosia artemisiifolia, Amb a), la parietaria (Parietaria judaica, Par j) e la Salsola kali (Sal k). I tassi di sensibilizzazione all’estratto di Par j e al suo componente molecolare Par j 2 erano quasi identici, indicando una sensibilizzazione primaria a questa erbacea.

Sono state inoltre frequentemente identificate sensibilizzazioni all’estratto di polline di cipresso (Cupressus sempervirens, Cup s) e all’allergene della famiglia del faggio europeo (Fagus sylvestris) PR-10 Fag s 1.

È interessante notare che la sensibilizzazione a Fag s 1 è risultata più diffusa rispetto a quella ad altri allergeni del polline della famiglia PR-10 testati: Bet v 1 dalla betulla (Betula verrucosa), Aln g 1 dall’ontano (Alnus glutinosa) o Cor a 1 dal nocciolo (Corylus avellana). Questa differenza evidenzia probabilmente il fatto che il faggio, dopo diversi decenni di rimboschimento, è oggi l’albero deciduo più diffuso nell’Europa continentale.

Risultati del rilevamento della sensibilizzazione agli allergeni degli acari della polvere di casa Dermatophagoides

I tassi di sensibilizzazione agli acari della polvere domestica Dermatophagoides e ai loro componenti sono stati studiati in dettaglio per confermare il valore dei test sui sieri con allergeni molecolari rispetto agli estratti. A questo scopo, tutti i valori di IgE sieriche contro l’allergene dell’acaro Der f 2 superiori a 28 ng/mL (valore soglia di positività) sono stati confrontati con quelli degli estratti di Der f.

Ne è emerso che i livelli di IgE specifiche contro la componente molecolare erano in media tre volte superiori a quelli dell’estratto, evidenziando l’interesse dell’uso dell’allergologia molecolare: il 77,9% dei cani testati aveva un livello di IgE specifiche per l’allergene Der f 2 superiore al livello di IgE specifiche per l’estratto Der f, con livelli medi delle IgE tre volte superiori.

È anche interessante notare che nel 22% dei cani testati le IgE specifiche per Der f erano più elevate di quelle dirette contro Der f 2. Questa differenza suggerisce che la sensibilizzazione di questi cani era probabilmente diretta contro uno o più componenti dell’acaro, diversi da Der f 2. Al contrario, è stato rilevato un tasso sorprendentemente basso (0,6%) di sensibilizzazioni agli allergeni degli acari ad alto peso molecolare Der f 15 e Der f 18, sebbene siano stati precedentemente identificati come allergeni principali.

La spiegazione di questa discrepanza risiede nella recente scoperta che le IgE dirette contro i glicani complessi delle mucine secretorie di Toxocara canis reagiscono in modo incrociato. Der f 15 e Der f 18 identificati sul test utilizzato non hanno glicani naturali e pertanto non vengono rilevati da queste IgE cross-reattive. Il test adattato da quello utilizzato in Medicina
Umana è risultato dunque preciso e coerente.

Un arricchimento dell’allergenoma canino

Sebbene vi sia una conoscenza avanzata degli allergeni molecolari nelle persone allergiche, le segnalazioni di allergeni identificati tramite IgE nei cani rimangono rare e riguardano principalmente gli allergeni alimentari. Pertanto, la selezione di allergeni molecolari formulata per l’utilizzo del test valutato in Medicina Veterinaria si basa sull’ipotesi che le proteine che provocano risposte IgE negli esseri umani possano provocare reazioni simili negli animali, un’ipotesi supportata dai risultati che mostrano che tutti i componenti inclusi sono riconosciuti dalle IgE in diversi cani.

La gamma di allergeni così testati contribuisce ad arricchire l’allergenoma canino e sono in corso ricerche per identificare ulteriori allergeni molecolari da incorporare nelle future versioni del test.

L’allergologia molecolare consente quindi una comprensione amplificata delle reattività crociate degli allergeni, e ciò potrebbe aiutare a migliorare le formulazioni di immunoterapia per i cani affetti da allergie ambientali.

  1. Olivry T, Fontao AM, Aumayr M, Ivanovova NP, Mitterer G, Harwanegg C. Validation of a multiplex molecular macroarray for the determination of allergen-specific IgE sensitizations in dogs. Vet Sci. 2024;11(10):482. doi: 10.3390/vetsci11100482.   ↩︎
  2. www.allergen.org ↩︎
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