Come ogni altro essere vivente, l’ape ha bisogno dei nutrienti che trae dalla sua alimentazione per consentire il funzionamento del suo organismo e per garantire le sue funzioni vitali.
Nutrizione e paesaggio
Sono le api bottinatrici che si occupano di fornire il cibo per tutte le api dell’alveare raccogliendo polline e nettari floreali per nutrire la colonia. La sopravvivenza di questa entità infatti e più importante di quella dei singoli individui, è un super-organismo. La biologia di una colonia è particolare anche per la natura delle sue risorse alimentari.
I fiori sono disponibili solo in estate: questo è il periodo durante il quale le api sono impegnate a raccogliere quanto più cibo possibile e a trasformarlo per conservarlo, in modo da avere riserve disponibili durante l’inverno.
Per le peculiarità della nutrizione e dell’organizzazione dell’alveare, è importante considerare diverse scale nutrizionali interconnesse: quella della covata (la generazione delle future operaie), quella degli adulti ma, anche quella della colonia in generale. Uno squilibrio a uno di questi livelli può rapidamente minacciare l’integrità e la sopravvivenza dell’intero alveare. Ad esempio, una covata di piccole dimensioni provocherà, nella generazione successiva, una carenza di adulti per svolgere tutti i compiti di manutenzione della colonia, e questo può portare alla sua scomparsa. La nutrizione in apicoltura è quindi una questione complessa.
La colonia di api dipende interamente dalle risorse disponibili nelle vicinanze. Derivante da fiori coltivati e/o spontanei, la fioritura nelle immediate vicinanze dell’apiario deve estendersi per un periodo di tempo il più lungo possibile per consentire un raccolto massimo; lo stock della colonia e la sua sopravvivenza sono quindi legati al paesaggio. Una riduzione nella ricchezza e nella variabilità dei fiori nell’ambiente di vita delle api può avere gravi ripercussioni sulla vita delle singole api e conseguenze catastrofiche per gli alveari.

Se l’arnia è circondata da colture erbacee, le risorse sono meno varie e le fioriture si concentrano in alcuni momenti, è possibile quindi osservare “buchi” nel flusso del miele (periodi in cui non c’è nettare disponibile), e quindi una carestia nel bel mezzo della stagione apistica. Anche il clima è di grande importanza, poiché orienta il susseguirsi delle fioriture e la loro durata. Appare quindi fondamentale conoscere l’ambiente e le specie vegetali coltivate attorno all’apiario, e avere in mente un calendario approssimativo della loro fioritura.
Gli elementi nutrizionali
Il polline
Il polline è la principale fonte di proteine e lipidi per le api. La sua composizione è molto variabile a seconda delle specie vegetali, per cui i diversi pollini sono considerati più o meno nutrienti. La percentuale di proteine è un criterio di qualità: il polline di girasole contiene generalmente meno del 20% di proteine, mentre quello di colza, molto nutriente, ne contiene fino al 30%.
Anche la composizione aminoacidica è un criterio: l’eucalipto è povero di isoleucina; il tarassaco di triptofano, arginina e fenilalanina, che sono tutti aminoacidi essenziali. Anche le api, infatti, sono in grado di sintetizzare solo una parte degli aminoacidi necessari al funzionamento del loro organismo, il resto deve provenire dalla dieta; ma dal momento che consumano volontariamente miscele di pollini, le carenze sono prevenute.
Ciò implica tuttavia che un’ampia varietà di specie vegetali debba essere disponibile nelle immediate vicinanze dell’alveare. Le proteine del polline rappresentano la maggior parte della pappa reale (18% di proteine e aminoacidi liberi, 15% di carboidrati, dal 3 al 6% di lipidi, vitamine, oligoelementi minerali, 50-60% di acqua). Sono state individuate delle proteine chiamate “proteine maggiori della pappa reale” (major royal jelly proteins): molto ricche di aminoacidi, che svolgono un ruolo fondamentale nella dieta della regina.
Il polline rappresenta anche la principale fonte di vitamine, che sono tra i composti essenziali della pappa reale.

Quando viene raccolto, il granulo di polline viene ricoperto di nettare rigurgitato dall’esofago dell’ape (che lo ha prelevato dalle scorte dell’alveare) per formare delle pallottoline, che vengono poi immagazzinate nelle cestelle del polline situate sul terzo paio di zampe della bottinatrice. Una volta nell’alveare, le pallottoline vengono immagazzinate nelle celle dei favi e un processo di fermentazione li trasforma in pane di polline (o pane d’api), molto stabile nel tempo e nutriente. E in questa forma che il polline sarà consumato dalle api all’interno dell’alveare.
Il nettare
Il nettare, derivato dalla linfa della pianta, è la principale fonte di carboidrati per l’ape. Una volta raccolto dalle api bottinatrici, viene rigurgitato nelle celle dei favi dove subisce maturazione e disidratazione. Questo processo permette di ottenere un miele, concentrato in zuccheri digeribili e conservabili.
Gli zuccheri più frequentemente presenti nel miele sono i più digeribili: glucosio, fruttosio, saccarosio e maltosio. Alcuni non sono assimilabili e qualificati come tossici; per essere assimilati dall’ape, vengono scissi mediante un processo enzimatico, grazie alle invertasi (enzimi sintetizzati dall’ape), per ottenere glucosio e fruttosio, i glucidi coinvolti nel metabolismo cellulare.
Acqua
L’acqua non è considerata un nutriente, ma è essenziale per tutti gli esseri viventi. Nell’ape, l’allevamento della covata richiede una grande quantità di acqua; in particolare, la pappa larvale ne può contenere fino al 70%. L’acqua è fondamentale per mantenere l’umidita relativa al 70%, perché la covata è molto sensibile alla disidratazione. L’acqua interviene anche nella regolazione della temperatura della colonia attraverso la ventilazione, e la condensazione nell’alveare permette di coprire il fabbisogno idrico delle api durante l’inverno. L’acqua utilizzata in un alveare viene raccolta da bottinatrici specializzate oppure estratta dal nettare.
I fabbisogni alimentari
I fabbisogni nutrizionali delle api sono molto variabili a seconda dello stadio biologico dell’individuo e dei suoi compiti nella colonia. Il polline viene consumato principalmente dalla covata e dalle giovani operaie, perché permette loro di accumulare uno stock di proteine corporee: si ritiene che una giovane ape consumi circa 60 mg di polline durante i suoi primi dieci giorni di vita. Dopo quindici giorni iniziano i cambiamenti fisici e fisiologici quando l’ape operaia – al 18°-21° giorno di vita – diventa bottinatrice, il suo consumo si orienta verso il miele, ricco di energia per l’attività di raccolta. Per una bottinatrice sono necessari circa 4 mg di zucchero al giorno. Anche la regina e i giovani maschi consumano polline.
Durante l’inverno è necessario un minimo di polline nell’alveare per poter allevare un po’ di covata. Inoltre, in caso di picchi di produzione di miele, le operaie devono costruire molte celle e quindi produrre grandi quantità di cera, il che richiede proteine. A livello di alveare, i fabbisogni sono variabili a seconda della sua forza e del numero di individui. Una colonia situata in una zona temperata richiede in media dai 60 agli 80 kg di miele (di cui 20 kg consumati durante l’inverno) e dai 20 ai 40 kg di polline all’anno.
Stress e alimentazione
I cambiamenti nel paesaggio provocati dalle attività umane associati al riscaldamento globale modificano la scala temporale in cui le specie vegetali sono disponibili per le api, ma anche la loro natura; le api trovano così a disposizione una minore diversità di fiori, e per un periodo limitato.
Questi cambiamenti provocano in questi insetti un forte stress alimentare, che è in grado di influenzare direttamente la salute e la produttività di una colonia, ma anche la salute e la fisiologia dei singoli individui che la compongono. È possibile distinguere due categorie di stress alimentare, che si possono trovare associate tra loro o meno: denutrizione (mancanza di cibo) e malnutrizione (cibo di qualità insufficiente).
Conseguenze dello stress sulle singole api
Lo stress alimentare agisce direttamente sulla fisionomia delle api, modificandola: le api operaie sono di taglia più piccola, con ali e lunghezza del corpo ridotte. Di conseguenza, esse hanno meno riserve corporee e quindi una durata di vita più breve. Le loro ghiandole ipofaringee, il cui prodotto è utilizzato per nutrire la covata e produrre il miele, sono più piccole e le loro secrezioni sono di qualità inferiore; la conseguenza è una carenza di alimento per la regina e per la covata, situazione che a sua volta può portare a una riduzione della deposizione di uova e a una mortalità delle larve.
Lo stress alimentare inflitto alla covata si traduce in api adulte con carenze comportamentali: queste peggiori abilità cognitive influenzano le capacità di navigazione e di bottinatura degli insetti. Anche la qualità della danza dell’addome, essenziale per comunicare alle altre bottinatrici l’ubicazione delle risorse, ne risente. Inoltre, anche l’armonia tra gli individui è meno buona e si possono osservare più fenomeni di impulsività e aggressività tra le api.
Le carenze alimentari fanno sì che api abbiano anche meno energia per svolgere i compiti essenziali alla sopravvivenza della colonia: i viaggi di foraggiamento richiedono fino al 30% in più di tempo, e anche il tempo di riposo degli insetti è prolungato. Poiché la decisione di cosa raccogliere da parte delle api bottinatrici si basa sulle loro esigenze individuali, questa situazione le orienta verso la raccolta del nettare, che richiede meno energia di quella del polline.
Conseguenze dello stress sulla covata
A causa della mancanza di nettare e quindi di energia, la cura della covata viene trascurata. In caso di comprovata carenza di polline e quindi di proteine, le api nutrici possono arrivare a sacrificare le larve più giovani e le uova, e utilizzarle per nutrire le larve di età maggiore o le operaie. Le larve maschili sono le prime ad essere sacrificate.

La morte delle larve maschili, che può essere associata all’espulsione dei maschi adulti, minaccia la riproduzione della colonia, con i maschi sopravvissuti che mostrano un volume di eiaculato inferiore al normale e capacità di volo inferiori.
Dopo il volo nuziale, la spermateca della regina non è ottimale e la sua deposizione delle uova meno regolare o addirittura inesistente; nasceranno quindi poche o nessuna operaia per prendersi cura della regina e dell’alveare. Inoltre, in una situazione di scarsità di alimento, vengono anche favorite le infezioni, come conseguenza della diminuzione dell’espressione degli enzimi immunitari associata alla mancanza di pulizia nell’alveare. Con l’aumentare della frequenza della condivisione del cibo mediante trofallassi, le malattie vengono trasmesse più rapidamente.
Conseguenze dello stress sulla colonia
Le numerose ripercussioni della malnutrizione o della denutrizione degli individui innescano un circolo vizioso, che mette rapidamente a repentaglio la sopravvivenza delle generazioni future e di conseguenza quella dell’intera colonia. La malnutrizione porta a un consumo delle riserve, prima quelle di polline e poi quelle di miele. Lo stock non può essere ricostituito a causa della mancanza di api bottinatrici, e le poche che ci sono hanno scarsa energia. La colonia muore di fame.
L’aspetto di un alveare in queste condizioni è caratteristico: i telai sono privi di polline e miele, sul pavimento dell’arnia vengono trovate api morte e alcune api muoiono di fame con la testa rivolta verso le celle, alla disperata ricerca di cibo. Per evitare queste conseguenze disastrose e la morte delle colonie, appare essenziale monitorare regolarmente gli stock degli alveari e dei singoli individui; ciò consente di intervenire tempestivamente in caso di alimentazione inadeguata per mancanza di risorse o per insufficiente qualità delle stesse.
Gestione alimentare
La gestione alimentare delle colonie di api presenta molti vantaggi: permette di sopperire alla mancanza di risorse ambientali e alle carenze (mancanza di polline, di nettare, sostegno in caso di clima sfavorevole); migliora le prestazioni di una colonia (sviluppo ottimale e numero sufficiente di individui nel periodo di transizione, preparazione allo svernamento, ottenimento di colonie numerose per dividerle e produrre nuovi sciami); infine, sostiene una colonia indebolita da malattie o perdita di individui. Tenendo presente tutto ciò, sono possibili vari metodi.
Tipologie d’intervento
La transumanza, cioè lo spostamento delle arnie al ritmo di particolari fioriture (gli aranci in Spagna, ad esempio), consente di diversificare le risorse nel tempo, di prevenire i buchi nella produzione del miele, di aumentare il numero delle raccolte e di sviluppare mieli monofloreali apprezzati dai consumatori. Questa pratica è controversa, tuttavia, perché il trasporto su lunghe distanze indebolisce le api e le disorienta.

La ricostituzione di una variabilità vegetale – mediante miscele di piante nettarifere o pollinifere – nell’ambiente dell’apiario (siepi, fasce fiorite) offre fioriture in successione per un periodo di tempo più lungo possibile.
Un’integrazione nutritiva direttamente all’alveare, o nutrizione, consiste nella fornitura diretta nell’alveare di un supporto proteico, di carboidrati o misto. Si può fare in diversi momenti:
- all’inizio della primavera, quando il tempo è brutto, per rinforzare la colonia in modo che possa allevare la covata prima delle prime fioriture
- a fine stagione, per avere api forti, pronte ad affrontare il periodo freddo
- quando una colonia mostra segni di declino o quando gli stock sono bassi
Per effettuare un’integrazione in modo efficace, è importante conoscere la situazione dei propri alveari e l’inventario delle loro riserve, al fine di offrire l’integrazione più adatta.
Integrazione di carboidrati
L’integrazione di carboidrati permette di prevenire una carenza e di preservare una colonia in inverno, ma anche di stimolare la deposizione della regina, con l’obiettivo di aumentare il numero di individui prima di una forte produzione di miele.
Il miele è la fonte ideale per le api perché è molto digeribile e ricco; tuttavia, presenta alcuni svantaggi: il suo costo è elevato; può essere vettore di malattie, come peste, nosemosi o ascosferosi (malattia fungina); e nel caso sia mal conservato o troppo vecchio, può risultare indigeribile. Promuove anche il saccheggio e il comportamento aggressivo delle api, mettendo in pericolo le arnie vicine.
Un’altra soluzione è lo sciroppo, che generalmente è composto dal 25% di acqua e dal 75% di glucidi. Contiene proporzioni variabili di saccarosio, fruttosio, glucosio e altri zuccheri. Le origini principali di questo sciroppo sono due:
- sciroppi a base di canna da zucchero o di barbabietola: sono molto simili al miele nella composizione e più facilmente assimilabili dalle api. Contengono una maggioranza di saccarosio che, dopo una reazione enzimatica, viene idrolizzato in glucosio e fruttosio
- sciroppi a base di amido idrolizzato (grano, mais, ecc.) contengono zuccheri più complessi e sono quindi meno assimilati dalle api. Rimangono comunque ben tollerati e il loro costo è più moderato
L’apicoltore può produrre da sé il proprio sciroppo, ma il processo di fabbricazione è più casuale, il che rende queste soluzioni meno sicure di quelli commerciali.

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Lo sciroppo permette di mimare l’effetto nettare: incoraggia le api ad allevare la covata e cercare il polline, e riavvia la deposizione della regina proprio all’inizio della primavera. L’assunzione raccomandata è di uno o due litri una o due volte alla settimana, per tre settimane. Nel periodo autunnale, può aiutare a riavviare un’ultima deposizione per ottenere una popolazione di api invernali sufficiente alla sopravvivenza della colonia. La somministrazione deve essere meticolosa perché lo sciroppo attira le formiche.
Lo zucchero può anche essere fornito in forma solida, il cosiddetto candito, una pasta di zucchero finemente macinata che non indurisce, contenente l’80% di saccarosio di barbabietola e ricoperta di sciroppo di glucosio. Consumato più lentamente dalle api, non ha effetto stimolante e, a differenza dello sciroppo, ha il vantaggio di poter essere utilizzato nei climi freddi (<10 °C). Inoltre, non induce un effetto saccheggio. È ideale quindi per i periodi di penuria invernale, dopo aver pesato l’alveare per valutare le riserve della colonia. Il candito viene stoccato di rado, presenta pochi rischi di adulterazione ma l’eccesso deve essere rimosso, per precauzione, in primavera. L’assunzione ideale è di circa 1 kg al mese e per alveare.
Attenzione all’adulterazione
L’integrazione delle colonie deve essere effettuata con precauzione. Infatti, l’assunzione di zucchero, in particolare di sciroppo, durante il periodo di colatura del miele può essere responsabile di una frode (adulterazione). Se le api vengono alimentate con sciroppo nei periodi di forte produzione di miele, o poco prima, immagazzinano lo sciroppo direttamente nelle cellette (perché non ne hanno bisogno subito), così finirà per mescolarsi al miele, denaturandolo con l’aggiunta di un prodotto di minor valore. Questa pratica è quindi da evitare. L’adulterazione può essere facilmente rilevata in laboratorio.
Integrazione di proteine
L’apporto di proteine può aiutare a mantenere o aumentare l’allevamento della covata quando la quantità o la qualità del polline nell’ambiente è insufficiente. Per ora sono disponibili pochi studi e poche referenze. Gli integratori di polline corrispondono al polline o pane di polline (chiamato anche pane d’api). Essi sono ideali perché, oltre a fornire proteine, forniscono lipidi e vitamine e sono appetibili.
Congelato o essiccato, dopo la raccolta mediante trappole, il polline può essere conservato fino a due anni, ma si deteriora rapidamente. Può essere acquistato in commercio, ma la sua origine e qualità, nonché il suo stato di salute, devono essere perfettamente conosciuti per evitare il rischio di introduzione di malattie.
Il pane d’api, molto nutriente e digeribile, si conserva meglio del polline fresco. Deve essere raccolto da colonie forti, che abbiano un numero sufficiente di bottinatrici per compensare la mancanza (e un ambiente favorevole alla raccolta), rimuovendo alcuni telai. I rischi sono gli stessi del polline fresco, i telai devono essere conservati molto bene (in una stanza fresca o anche nel congelatore) per evitare lo sviluppo della camola del miele (Galleria mellonella), che lo rende inutilizzabile.
I sostituti del polline sono alimenti proteici che contengono o meno del polline, sotto forma di pasta o polvere (somministrati tal quali o mescolati con sciroppo). Le proteine che contengono provengono dalla farina di soia o dal lievito di birra (più attrattivo). Sarebbe necessario un minimo del 15% di polline affinché il loro effetto sia benefico. Questi sostituti sono già ampiamente utilizzati negli Stati Uniti, ma la loro influenza sulla fisiologia e sulla nutrizione delle colonie è ancora sconosciuta; rappresenta comunque una nuova possibilità per migliorare la nutrizione delle colonie.
Quesiti per il futuro
Pilastro della buona salute e produttività dell’alveare, la gestione della componente nutrizionale è attualmente essenziale in apicoltura. Essa richiede la conoscenza della fisiologia e dei fabbisogni delle api, nonché delle conseguenze in caso di carenza o carestia, per identificare i problemi e reagire rapidamente.
Oggi mancano ancora conoscenze su questo argomento e rimangono molte domande: gli esperimenti ci permetteranno di validare metodi di integrazione proteica? Vale davvero la pena aggiungere vitamine, lievito di birra, estratti vegetali o anche pre/probiotici alle integrazioni di zuccheri e proteine? L’intelligenza artificiale un giorno ci consentirà di ottimizzare ulteriormente la gestione della nutrizione delle colonie? Gli studi dei prossimi anni dovrebbero fornire alcune risposte.