Ferruccio Marello valuta pregi e difetti del nuovo percorso formativo dell’UNIMI dedicato al Veterinary executive manager.

In più di una delle passate riflessioni settimanali, ho accusato l’Università di attuare percorsi formativi di laurea e post-laurea non più allineati con le esigenze del mercato, ma devo con soddisfazione constatare di essere stato smentito dall’Università degli Studi di Milano. Infatti, l’Ateneo ha pubblicato un nuovo master di secondo livello, intitolato “Veterinary executive manager nella filiera alimentare: dallo stabilimento primario all’export”, collocato nell’anno accademico 2024-2025.

Come si può leggere sul sito dedicato “Il corso per master mira a fornire elevata competenza manageriale dedicata ai profili veterinari, in grado di rappresentare un valore aggiunto per tutto il sistema alimentare di origine animale, lungo i suoi differenti snodi: dalla produzione primaria, allo stabilimento e all’industria di trasformazione, fino alla collocazione del prodotto sui mercati nazionali europei e internazionali.” E ancora: “Il percorso formativo coniuga le competenze proprie del Medico Veterinario con adeguate conoscenze delle dinamiche economico-commerciali, dei mercati nazionali e internazionali.”

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Il prospetto riassuntivo del corso per Veterinary executive manager dell’UNIMI.

Veterinary executive manager: ragioniamoci su

La prima considerazione sull’iniziativa è che si tratta di un percorso sicuramente impegnativo, perché prevede 420 ore di didattica frontale e 96 ore di altre forme di insegnamento, per cui non tutti i colleghi eventualmente interessati all’argomento potranno effettivamente pensare di iscriversi, dato che la regolamentazione universitaria inerente alla progettazione dei master (i “veri” master) è abbastanza restrittiva e l’impegno richiesto sarà notevole.

D’altra parte, però, va sempre fatta una netta distinzione fra corsi qualificanti e corsi informativi/ didattici e anche fra Facoltà universitarie legalmente riconosciute e gestori di formazione privati, per quanto qualificati e di alto livello possano essere. Se differenze devono auspicabilmente esistere, queste dovranno giocoforza risiedere nella durata dell’evento formativo, nell’impegno richiesto ai corsisti, nella profondità degli argomenti e nel costo finale.

Già, perché anche il costo ha il suo peso e questo master ha un costo di iscrizione sicuramente non “popolare”, se vogliamo giudicare i circa 3000 euro come cifra assoluta, che però diventa più giustificabile, considerando il contesto formativo, la durata del master e gli argomenti trattati. Relativamente proprio a quest’ultimo aspetto, chi si iscriverà a questo master avrà davanti a sé un percorso variegato, che, negli intenti dell’Ateneo, vorrebbe coniugare le competenze del veterinario con altre conoscenze, in parte potenzialmente già acquisite prima della laurea e in parte nuove e più pertinenti agli obiettivi finali del progetto.

Scorrendo infatti l’elenco degli sbocchi professionali preconizzati dal Comitato organizzatore, leggiamo “Gli sbocchi professionali sono da individuarsi nel settore pubblico locale e nazionale (strutture Regionali, Ministeri, Istituzioni della cooperazione), a quello internazionale (agenzie ONU, FAO, OMS, OIE etc), nel settore non-governativo, nelle partnership pubblico-private con un ruolo di finanziamento internazionale, o nel settore privato e dell’industria collegati al comparto delle produzioni animali e dell’allevamento.” Obiettivi troppo ambiziosi? Obiettivi troppo limitati? Difficile a dirsi, trattandosi di un master di nuova concezione, per cui sarà indispensabile verificare alla fine del percorso quale percentuale dei 30 volonterosi partecipanti avrà instaurato collaborazioni reali ed effettive con i soggetti elencati negli obiettivi.

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© Halfpoint – shutterstock.com

Difetti del progetto? Difficile a dirsi anche in questo caso, proprio perché sarebbe scorretto criticare a prescindere, trattandosi di un progetto nuovo, proveniente da una Facoltà di primo piano e rivolto a obiettivi di cui oggettivamente si sentiva la mancanza da tempo. Al massimo qualche perplessità generale, per esempio sulla capacità del master di soddisfare le attese delle entità pubbliche e private componenti gli sbocchi professionali considerati disponibili, per chi terminerà l’intero percorso.

Un numero molto elevato di ore di lezione frontale sincrona, cioè in effettiva presenza del docente, comporterà giocoforza l’impegno di molte giornate lavorative di Veterinari già parzialmente operanti nel settore in oggetto, il che potrebbe rappresentare un problema direttamente proporzionale alla mole di lavoro quotidiano che i potenziali candidati già devono gestire. Potrebbero quindi risultare avvantaggiati candidati neolaureati o poco di più, i quali, disponendo di una maggiore quantità di tempo libero, potrebbero trovare con maggiore facilità il modo di ridistribuire i loro impegni per fare posto alle numerose lezioni del master, alle altre attività didattiche e al periodo di tirocinio pratico previsto dal programma.

L’aspetto negativo è dato dalla possibilità che le istituzioni elencate negli sbocchi professionali si ritrovino con 30 veterinari in possesso del diploma, ma privi di un importante bagaglio di esperienze personali pratiche preesistenti, molto utili per i destinatari.

L’aspetto positivo è dato dalla considerazione che, se quelle medesime istituzioni avranno voglia di scommettere su professionisti agli esordi della loro carriera, ma provvisti di una base teorica qualificata, questi ultimi avranno poi con gli anni modo e tempo di sviluppare le competenze più pratiche e operative, cioè quelle che comunque non si imparerebbero in alcuna scuola.

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© PeopleImages.com – Yuri A – shutterstock.com

Veterinary executive manager: una vera scommessa

In fondo questo percorso proprio questo è, alla fine della fiera. Una scommessa, una scommessa per tutti gli attori in gioco. Per l’Ateneo di Milano, per aver creduto che i veterinari possano apportare molte cose buone e utili a settori forse sempre praticamente sottovalutati dalla Categoria stessa, al di fuori dei soliti comunicati stampa, dovuti ma fini a sé stessi. Per i candidati che vorranno cimentarsi nel percorso, che dovranno scommettere sul fatto che i soldi e il tempo da spendere non saranno solo una spesa, ma un investimento in prospettive lavorative future di primaria importanza derivanti da un anno complicato, in cui il tempo libero andrà a ridursi e la vita professionale quotidiana sarà difficile da gestire.

Per chi ha redatto il piano didattico e ha voluto inserire gli argomenti più disparati, giustamente pensando che, per gli scopi prefissati, i veterinari devono ragionare su argomenti in parte usuali, ma in parte diversi dal solito tran-tran Vet, perché altrimenti altre categorie professionali confinanti potrebbero impossessarsi di spazi in cui noi sembriamo tagliati alla perfezione per collocarci, ma non ci spettano per diritto acquisito.

Per le strutture nazionali, internazionali e pubblico-private che fungerebbero da sbocchi professionali, poiché verrà il momento fatidico in cui dovranno rendersi parti attive e concretizzare i progetti del master, creando collaborazioni con gli interessanti, dando credibilità al progetto e ponendo le basi magari per organizzare una seconda edizione o altre iniziative analoghe in altri Atenei.

Andrà bene? Andrà male? Si arriverà al numero di iscritti minimo per farlo partire? Difficile rispondere ora a queste domande, ma forse quella più inquietante è proprio l’ultima. Infatti, se le collaborazioni avranno inizio a fine master e quindi se i diplomati riusciranno a monetizzare l’impegno economico e temporale profuso per un anno potrà dipendere da molti fattori contingenti e non prevedibili dal comitato organizzatore.

Ma se non si arriverà al numero minimo di iscritti e quindi il master nemmeno partirà, allora la categoria dovrà confrontarsi con un pessimo segnale e cioè con la chiara indicazione che non si è capito di cosa stiamo parlando, che non si ha una chiara percezione di quale sarà il futuro dei Vet al di fuori della clinica e della chirurgia e che il consumo dell’amaro Montenegro e l’impiego del sidecar per fare le visite in montagna è ancora pericolosamente radicato nelle nostre menti.

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