Al XIX Congresso Nazionale UNISVET, nell’ambito della Masterclass di medicina interna, il dott. Federico Porporato (DVM, MRVCS, Dipl. ECVIM-CA Internal Medicine), ha affrontato il tema della colangite felina, patologia non infrequente nella clinica dei piccoli animali ma dalla gestione complessa.

Il Congresso Nazionale UNISVET1, giunto quest’anno alla 19° edizione, ha proposto agli oltre 800 partecipanti un ricco programma di masterclass specialistiche. Nell’ambito di quella dedicata alla medicina interna, sono state proposte lezioni dedicate all’endocrinologia e all’epatologia.

Il dott. Federico Porporato (DVM, MRVCS, dipl. ECVIM-CA Internal Medicine) ha approfondito l’argomento delle colangiti e colangioepatiti feline, patologie non infrequenti, dalla gestione complessa e dalla diagnosi impegnativa. Il relatore si è soffermato sulle due tipologie di colangiti più frequenti nel paziente felino: la colangite neutrofilica e la colangite linfocitica. Questa classificazione, basata sull’istologia, è fornita dal WSAVA Liver Standardization Group

Colangite: perché proprio nel gatto?

Per comprendere la patogenesi della colangite e perché colpisca il gatto è importante l’anatomia di questa specie: a differenza del cane, infatti, nel gatto il dotto biliare comune sbocca nella papilla duodenale maggiore insieme al dotto pancreatico, e qualora ci sia un’infiammazione intestinale, della papilla, del dotto biliare o del dotto pancreatico, è più facile un interessamento che coinvolga tutte queste strutture.

Secondo l’ipotesi più accreditata, una traslocazione batterica ascendente proveniente dal segmento intestinale è in grado causare infiammazione del dotto biliare, e potenzialmente anche di quello pancreatico, portando alla cosiddetta triadite felina. Alla base della traslocazione batterica o dell’infiammazione mucosale può esservi un quadro di disbiosi intestinale (che a sua volta può essere dovuta a una patologia infiammatoria, infettiva favorente la permeabilità mucosale); si arriva così a una contaminazione batterica (reflusso) nelle vie biliari e/o pancreatiche.

Un ruolo minore nella patogenesi della triadite lo hanno invece fenomeni di disseminazione batterica ematogena.

Non esistono però solo le forme puramente batteriche: secondo un’ipotesi patogenetica (Lidbury et al. 2020) è possibile un circolo vizioso tra disbiosi e infiammazione intestinale che diventa poi cronica, con conseguente risposta immunitaria aberrante sia innata sia acquisita, fino ad arrivare a colangiti croniche linfocitiche o a pancreatiti croniche immunomediate sterili.

Cosa dice la letteratura

Secondo lo studio di Frangkou et al. (2016) la stima della prevalenza di triadite (data da diagnosi istologica) nel gatto con colangite è del circa il 32-50%, una percentuale particolarmente alta. Nello specifico, tra i gatti sintomatici, il 34% dei soggetti presenta una colangite associata a una IBD (inflammatory bowel disease), il 6,4% una pancreatite associata a IBD e il 30% una triadite. Tuttavia, il dato sorprendente è che tra i gatti asintomatici ben il 50% presenta colangite associata a IBD. Conseguentemente, è altamente probabile che le forme subcliniche siano molto più frequenti di quanto ritenuto.

In uno studio recente, oltre a valutare la prevalenza della triadite, Schreeg et al. (2024) hanno analizzato, attraverso indagini istologiche, la papilla duodenale maggiore in gatti sintomatici e non: il 15% dei soggetti presentava triadite (di cui più del 50% asintomatici), il 30% mostrava infiammazione della papilla, e nel 91% di questi è stata identificata una concomitante colangite o pancreatite o enterite.

In aggiunta, a circa un quarto dei soggetti è stato diagnosticato un tumore (di cui il 29% linfomi intestinali associati a triadite).

In definitiva, in un gatto sintomatico l’edema della papilla visualizzata all’ecografia può quindi indicare un’infiammazione intestinale o una forma di triadite.

Colangite neutrofilica

La colangite neutrofilica o suppurativa è la forma più comunemente diagnosticata nel gatto (con una positività del 10-25% dei reperti istologici). Il nome deriva dal tipo di infiltrato prevalente – quello neutrofilico – nell’area periportale, nei canalicoli biliari, nella parte adiacente agli stessi, fino a interessare il parenchima epatico (colangioepatite). È quindi possibile una forma che interessa il parenchima biliare soltanto (colangite) o con estensione a quello epatico (colangioepatite).

Tuttavia, non è raro riscontrare, accanto all’infiltrato neutrofilico, anche uno linfocitario-plasmacellulare. Inoltre, non sempre sono rilevabili patogeni batterici. Un quadro con infiltrato misto neutrofilico (prevalente)- linfocitario-plasmacellulare in assenza di agente eziologico può suggerire una forma di colangite in un primo momento batterica ma che, in un secondo momento, ha visto un coinvolgimento del sistema immunitario specifico, ovvero una forma infiammatoria acuta batterica che ha portato a una immunomediata. Questo ritrovamento istologico diviene un fattore fondamentale per poi impostare la terapia, che in un caso del genere non sarà solamente antibiotica ma anche immunosoppressiva.

I fattori di rischio riconosciuti sono: malformazioni delle vie biliari, pancreatite (con reflusso delle secrezioni e/o compressione del dotto biliare), enteropatie (anche a causa della maggior presenza di batteri nel duodeno del gatto rispetto a quello del cane), ostruzioni biliari (congenite, dovute a colelitiasi, neoplasie o infiammazione).

Per quanto riguarda gli agenti eziologici, la colangite neutrofilica può essere secondaria a infezioni da batteri ascendenti.

Come già accennato, questa patologia può essere associata a varie comorbidità: ostruzione del dotto biliare extra-epatico (EHBDO, extrahepatic biliary tract obstruction, ovvero una dilatazione del coledoco visibile in ecografia secondaria a infiammazione spesso associata a edema papillare ostruttivo, nel 64-76% dei casi), lipidosi epatica (quasi sempre secondaria), colelitiasi (un fattore di rischio per le colecistiti ricorrenti, nel 42% dei casi), enteriti o linfomi intestinali (nel 74% dei soggetti), pancreatite (fino al 78% dei gatti) e neoplasia epatica.

In generale, in caso di sospetta diagnosi di colangite, è sempre opportuno valutare anche altre patologie del settore enterico.

Per quanto riguarda il segnalamento, alcune razze feline come quelle asiatiche sembrano predisposte alla colangite neutrofilica, forse per differenze anatomiche o nell’immunità biliare.

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© Yuriy Shurchkov – shutterstock.com

Colangite linfocitica

A livello istologico la colangite linfocitica o non suppurativa è caratterizzata dall’omonimo infiltrato. La prevalenza stimata è del 7-20% delle biopsie in soggetti sintomatici. Per quanto riguarda la patogenesi, come già accennato questa forma è il risultato di una cascata infiammatoria causata da una risposta immunitaria esagerata ovvero un disordine immunomediato che porta alla perdita dei dotti biliari di piccole e medie dimensioni e alla duttopenia.

Nei reperti istologici l’infiltrato è spesso associato a fibrosi e proliferazione biliare. Non sempre è possibile distinguere la colangite linfocitica dal linfoma con la sola analisi istologica; la PARR (PCR for Antigen Receptor Rearrangements, eseguibile sullo stesso campione istologico), con una sensibilità del 72-100% e una specificità del 96-100%, potrebbe essere di supporto. Vista la possibile comorbidità di forme linfomatose è essenziale, a livello terapeutico, poter discriminare tra forma infiammatoria e tumorale.

Le cause del trigger infiammatorio-immunitario sono attualmente poco certe; alcune ipotesi riguardano infezioni batteriche (tra cui Helicobacter spp.) e ostruzione biliare, ma attualmente la colangite linfocitica è definita come idiopatica.

Le predisposizioni di razza sono le stesse della colangite neutrofilica, con una sovrarappresentazione del sesso maschile.

Colangite neutrofilica o linfocitica: che sfida!

Differenziare le due tipologie di colangite è essenziale per la terapia, ma può essere problematico.

  • Segnalamento: non vi è alcuna differenza significativa nell’età della presentazione tra le due colangiti; possono presentarsi anche in età giovanile ma entrambe sono più frequenti nei gatti anziani (età media 9 anni per la colangite neutrofilica e 11 anni per quella linfocitica).
  • Segni clinici: il quadro clinico può invece dare qualche spunto aggiuntivo. Tipicamente, i soggetti affetti da queste patologie sono fortemente debilitati e sofferenti, per questo i sintomi più frequenti in entrambe le forme sono letargia, vomito, ittero, epatomegalia. Alcuni segni clinici però sono più frequenti nella forma neutrofilica (diarrea, perdita di peso, inappetenza, ipertermia, ptialismo e dolore addominale) mentre altri sono più spesso segnalati nella forma linfocitica (polifagia e ascite per aumentata permeabilità vascolare). Come già detto, molti dei soggetti con colangite o con colangite e IBD possono essere asintomatici, evenienza assente in caso di colangite, IBD e pancreatite (triadite), poiché l’infiammazione pancreatica aggrava molto il quadro clinico.
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L’ittero è uno dei possibili segni clinici della colangite o colangioepatite del gatto. © Todorean-Gabriel – shutterstock.com
  • Rilievi di laboratorio: anche i quadri ematologici sono in gran parte sovrapponibili. Le alterazioni più comuni sono l’aumento della bilirubinemia e degli enzimi di danno epatico (ALT e AST) e di colestasi (ALP). Nella forma neutrofilica possono essere presenti (30% dei casi circa) altri rilievi come neutrofilia, anemia, iperazotemia, alterazioni dei parametri coagulativi (aumento di PT, aPTT, D-dimeri ecc., a cui è necessario fare attenzione per valutare il rischio di emorragia post-biopsia epatica), iperammoniemia ecc.
  • Ecografia addominale: l’ecografia non aiuta a distinguere tra le due forme (anche se spesso la colangite linfocitica provoca meno alterazioni a cistifellea e vie biliari), ma è molto utile per ipotizzare un’infiammazione biliare. L’80% dei soggetti con colangite mostra anomalie (Se 87%, Sp 90%). Attenzione: se la cistifellea appare normale, il valore predittivo negativo è superiore al 96%, il che significa che è molto probabile che un campionamento citologico da una cistifellea ecograficamente sana (e senza coleliti) risulterebbe negativo. Di contro una cistifellea con parete ispessita, edema della parete, colelitiasi e sludge (fango biliare, considerato sempre patologico nel gatto), è associata a esami colturali batterici positivi. I coleliti, formatisi per dismotilità o infiammazione, sono frequentemente composti da calcio carbonato (diametro > di 3 mm, radiopachi, ma non sempre visibili in ecografia per le dimensioni minute) e sono nel 71-90% dei casi associati a infezione batterica. Da non sottovalutare è il fattore negativo rappresentato dai calcoli rispetto alla terapia antibiotica: la sterilizzazione del calcolo è un evento poco probabile ed è un fattore predisponente per l’insorgenza di colecistite persistente; per questo è altamente consigliato rimuovere i calcoli biliari tanto nei soggetti asintomatici quanto in quelli sintomatici (valutato il bilancio rischio/beneficio di una chirurgia). I calcoli biliari possono anche provocare pancreatite: piccoli calcoli passanti per il dotto possono infiammare la papilla duodenale maggiore con conseguente estensione dell’infiammazione nel dotto pancreatico e sviluppo di pancreatite cronica sterile clinica o subclinica. Infine, il versamento addominale eventualmente presente (tipico della forma linfocitica) è spesso composto da un trasudato ricco in proteine, neutrofili e piccoli linfociti. In questo caso è necessario fare attenzione a due altre diagnosi differenziali: FIP e linfoma addominale.

Diagnosi citologica o istologica?

Prima di eseguire un campionamento invasivo in soggetti con epatopatia, ovvero a rischio emorragico, è sempre indicato eseguire un profilo coagulativo. Nel caso sia compromesso, prima di procedere è necessario impostare un’appropriata terapia (es. trasfusione di plasma) e valutarne l’efficacia.

La citologia epatica ha una concordanza/accuratezza del 51% rispetto alla biopsia istologica (gold standard): questo rende l’approccio citologico poco indicato, soprattutto in soggetti con concomitante lipidosi epatica secondaria.

Per il campionamento istologico sono tre le possibili metodiche: ecografia, laparoscopia e laparotomia (in ordine di invasività). C’è però da considerare che, nonostante per le colangiti si parli di infiammazione, non è detto che essa sia distribuita uniformemente in tutto il parenchima (forma diffusa), anzi, può essere focale o multifocale con gravità variabile a seconda dei lobi epatici. Per questo è altamente consigliato effettuare più campionamenti (più di uno per ogni lobo epatico), impiegando pinze bioptiche in grado di asportare almeno 6 spazi portali per ogni campione.

È possibile che un campionamento bioptico ecoguidato (con ago da 16 G) restituisca dei campioni insufficienti (di piccole dimensioni e troppo pochi, dato che secondo letteratura si arriva a un 48% di accuratezza e a un’area campionata di 1/3 rispetto alla laparotomia), per questo motivo l’approccio laparoscopico risulta il più utile, bilanciando un miglior campionamento e una procedura mediamente invasiva.

Sono consigliati 4-5 campioni bioptici per l’esame istologico, un campione per la quantificazione del rame (anche se l’epatopatia da accumulo di rame è molto rara nel gatto), uno per l’esame batteriologico aerobio e anaerobio, e uno per la metodica FISH (fluorescence in situ hybridation). La FISH utilizza sonde che colorano il tessuto per la presenza di batteri localizzandoli nel campione, a differenza dell’esame colturale, si riduce così la possibilità di una positività causata da un contaminante; è tuttavia necessario indicare al laboratorio quali batteri ricercare (es. Escherichia coli ed Enterococcus spp., i più frequenti responsabili di colangite neutrofilica) e non è possibile ricavarne un antibiogramma.

Colecistocentesi

Alla diagnosi istologica è necessario affiancare il campionamento della bile, poiché in caso di infezione batterica, l’agente eziologico sarà molto probabilmente presente in essa; inoltre è possibile che il soggetto abbia solo una colangite semplice e non una colangio-epatite.

La bile teoricamente è sterile grazie a fattori protettivi (flusso anterogrado, sfintere di Oddi, tight-junction degli epatociti, cellule di Kupfer, IgA, sali biliari batteriostatici), ma è possibile ritrovare batteri intestinali di passaggio. Anche nel caso della colecistocentesi è possibile procedere per via ecoguidata o laparoscopica: è importante sospendere l’eventuale terapia antibiotica già impostata almeno 24 ore prima del prelievo.

Per effettuare correttamente una colecistocentesi è indicato lo svuotamento completo della sacca (3- 5 ml), in questo modo il campionamento batterico risulterà migliore. È consigliato inoltre effettuare la centesi attraversando un lobo epatico, in modo da evitare il più possibile la fuoriuscita di bile grazie all’effetto “tappo” del lobo epatico stesso.

Con il campione biliare bisogna allestire un esame citologico e uno batteriologico, questo perché la presenza di batteri non è diagnostica (possibili contaminanti o transitori) e la citologia permette di visualizzare la popolazione cellulare presente (es. segni di flogosi neutrofilica o agenti come Toxoplasma); inoltre, nel caso ci siano solo batteri contaminanti è improbabile che sia presente una risposta immunitaria.

La coltura su campione biliare è spesso più indicativa di quella su campione epatico (in letteratura si parla di un 36% di positivi vs 14%) e i contaminanti sono molto meno frequenti (4% vs 29%).

La colecistocentesi è controindicata quando il rilievo ecografico indica una colecistite enfisematosa, per l’alto rischio di rottura della cistifellea. Per quanto riguarda le complicanze, in letteratura si trovano percentuali minime (casi estremamente rari di peritonite biliare, o altre complicanze gravi come shock, arresto in anestesia, malattia renale acuta).

I batteri più frequentemente ritrovati nelle colture biliari sono quelli di origine intestinale come E. coli ed Enterococcus, e in misura minore Streptococcus, Clostridium, Bacteroides, Salmonella enterica, Pseudomonas, Staphylococcus e Acinetobacter, con un 25-44% di infezione mista con due o più specie batteriche.

In particolare, in uno studio di Center et al. (2022) che ha preso in considerazione un numero elevato di gatti (168) in un periodo dal 1980 al 2019, è stato osservato che:

  • esiste una forte correlazione tra infezione batterica e colangite neutrofilica;
  • i batteri più frequentemente coinvolti sono aerobi e anaerobi facoltativi;
  • le infezioni polimicrobiche sono presenti nel 44% dei casi;
  • le colture da più inoculi sono più efficaci (82% di positività) rispetto a quella da singolo inoculo (48% di positività);
  • nei soggetti con coleliti la positività colturale è molto alta (92%).

Il trattamento per la colangite neutrofilica: l’importanza dell’antibiogramma

Pur ipotizzando che la coltura biliare e/o epatica molto probabilmente porterà a una positività per batteri come E. coli o Enterococcus spp. è estremamente importante eseguire un antibiogramma poiché questi agenti sono nella stragrande maggioranza dei casi multiresistenti.

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© Zaharia Bogdan Rares – shutterstock.com

Se i soggetti sono stabili e in buone condizioni (probabilità molto rara) è consigliato aspettare il risultato delle analisi, in caso contrario è consigliato iniziare con un antibiotico di prima linea, generalmente una penicillina o la clindamicina, lasciando in secondo piano antibiotici come chinoloni (da preferire la marbofloxacina rispetto all’enrofloxacina per l’assenza di tossicità retinica anche in soggetti con diminuita escrezione renale) e metronidazolo.

Non ci sono indicazioni certe sulla durata della terapia, si consiglia un trattamento di 4-6 settimane, da valutare con monitoraggi clinici e laboratoristici, e mettendo in conto la presenza di coleliti non rimossi (che necessitano di trattamenti più lunghi).

In alcuni casi è possibile associare una terapia con corticosteroidi a bassi dosaggi per un breve periodo come terapia antinfiammatoria.

Questo trattamento dev’essere associato a quello delle eventuali comorbidità (es. pancreatite, IBD, lipidosi epatica, ecc.).

Il trattamento per la colangite linfocitica: immunosoppressori e…?

Quando gli esami colturali sono negativi e la citologia e l’istologia sono indicative di colangite linfocitica, il trattamento è a base di farmaci immunosoppressori. La terapia di prima linea prevede l’uso di prednisolone a 1-2 mg/kg bid monitorando gli enzimi epatici-biliari e scalando il dosaggio del 25% ogni 15-20 giorni in caso di risposta positiva, per un periodo totale di 4-6 mesi. È assolutamente necessario fare attenzione a non terminare la terapia troppo rapidamente scalando troppo in fretta, poiché ciò può portare a recidive più difficili da controllare.

Farmaci immunosoppressivi di seconda scelta o in affiancamento in caso di bassa efficacia del prednisolone sono la ciclosporina a 5 mg/kg sid e il clorambucile a 2 mg/kg sid poi ogni 48 ore. Nei casi di associazione prednisolone-altro immunosoppressore è consigliato scalare il prednisolone gradualmente a effetto.

Anche in questo caso è necessario trattare le comorbidità. In Medicina Umana viene utilizzato in questi casi l’UDCA (acido ursodesossicolico), ma nel gatto la sua efficacia come coleretico, fluidificante della bile e antinfiammatorio non è risultata sufficiente in monoterapia, mentre è utile se impiegato in associazione (10 mg/kg sid).

La terapia poi comprende spesso fluidoterapia EV, alimentazione forzata, antiemetici, vitamina K, SAMe (S-adenosil-L-metionina, 20 mg/kg sid), UCDA, e N-acetilcisteina.

Complicanze

Tra le complicanze segnalate nelle colangiti feline vi sono l’endotossiemia, la necrosi della cistifellea, gli ascessi epatici e l’ostruzione parziale/totale del dotto biliare (EHBDO). In particolare, l’EHBDO può essere causata da coleliti e neoplasie, e se la terapia medica per la colangite non porta a risultati soddisfacenti o si presentano delle recidive legate a questo problema, è indicata la chirurgia (colecistectomia, diversione biliare, stent, coledocotomia ecc.) a cui si associa però una mortalità perioperatoria da non sottovalutare.

Prognosi

Per la forma neutrofilica la prognosi può essere di anni, ma dipende in modo preponderante da alcuni fattori negativi come: patologie concomitanti, infezione con Gram +, colelitiasi senza colecistectomia.

Per la forma linfocitica le previsioni sono ancora più rosee, con una prognosi ottima di 3 anni nel 35% dei casi, soprattutto nei soggetti in cui è stato possibile individuare il trigger infiammatorio (es. enteropatia cronica responsiva alla dieta ecc.).

  1. Milano, 14-16/02/2025: XIX Congresso Nazionale UNISVET. ↩︎
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