L’Ordine dei medici veterinari di Pesaro Urbino ha organizzato un incontro1 di aggiornamento professionale durante il quale il relatore, il dott. Andrea Corsini (DMV, Ospedale veterinario dell’Università di Parma), ha approfondito tre argomenti di endocrinologia clinica del cane e del gatto: l’ipotiroidismo canino, l’ipertiroidismo felino e la sindrome di Cushing.
Endocrinologia del cane: ipotiroidismo
L’ipotiroidismo, spesso sovradiagnosticato, rappresenta una sfida per il clinico veterinario. La tiroidite linfocitaria è la principale causa della patologia nel cane: si tratta di una condizione immunomediata paragonabile alla tiroidite di Hashimoto nell’uomo e caratterizzata da un processo dinamico che può evolvere fino all’atrofia tiroidea.
Questa condizione porta a una stimolazione compensatoria del TSH (ormone tireostimolante) con T4 (tiroxina) nella norma, e il paziente è asintomatico fino allo stadio più avanzato (quando subentra la sintomatologia, i valori di T4 scendono al di sotto del range e si assiste alla riduzione degli anticorpi).
Segnalamento e sintomatologia
Il paziente tipico è un cane adulto (età mediana: 7 anni), ed esistono predisposizioni di razza (retriever, Dobermann, Schnauzer, spaniel, Rhodesian ridgeback, Setter).

I sintomi principali riscontrabili durante la visita clinica includono:
- Dermatologici (60-80% dei casi): alopecia bilaterale simmetrica, peli fragili, otiti ricorrenti, piodermite, iperpigmentazione, seborrea
- Metabolici (80%): letargia, astenia, intolleranza al freddo, aumento di peso, intolleranza all’esercizio fisico
- Sintomi meno comuni:
- Cardiopatie (cardiomiopatia dilatativa, bradicardia, aritmia)
- Manifestazioni neuromuscolari: neuropatie periferiche (polineuropatie periferiche, megaesofago, paralisi laringea, paralisi nervi cranici), miopatie, sindromi prosencefaliche (come mixedematosi, crisi convulsive)
- Sintomi riproduttivi: infertilità, alterazioni del ciclo estrale, galattorrea e ginecomastia
- Alterazioni comportamentali
Esami di laboratorio
Sulla base dell’esame emocromocitometrico eseguito, in caso di ipotiroidismo è possibile rilevare anemia normocitica, normocromica, non rigenerativa (40-60% dei casi) a causa della ridotta funzionalità eritropoietica.
I parametri biochimici essenziali per la diagnosi di ipotiroidismo mostreranno invece:
- ipercolesterolemia (70-80% dei casi);
- aumento dei trigliceridi;
- lieve aumento delle transaminasi;
- aumento dell’SDMA (dimetilarginina simmetrica) associato a lieve iperazotemia e aumento del valore di creatinina (30% casi);
- iponatriemia (forse a causa dell’eccessiva lipemia);
- aumento delle fruttosamine (diagnosi differenziale con mielomi e/o diabete);
- aumento della creatinchinasi.
Ovviamente è poi imprescindibile l’esecuzione di un profilo biochimico tiroideo, che comprende T4, fT4 (free thyroxine, tiroxina libera) e TSH. Il valore di T4 totale, nonostante l’elevata sensibilità (90-100%), è influenzato da fattori come età e razza (ad esempio, i levrieri hanno valori di T4 fisiologicamente inferiore al range di normalità, così come anche in soggetti anziani valori inferiori alla normalità sono considerati fisiologici).
La non thyroidal illness syndrome (NTIS, nuova denominazione della euthyroid sick sindrome) e patologie concomitanti possono portare ad abbassamenti dei valori di T4; come anche terapie farmacologiche con glucocorticoidi, fenobarbital, sulfamidici, clomipramina, acido acetilsalicilico possono alterare la funzionalità tiroidea comportando una riduzione di T4.
Inoltre, farmaci come sulfamidici e inibitori della tirosin-chinasi (toceranib) possono condurre ad alterazioni quantitative degli ormoni tiroidei (aumento di TSH per blocco della tireoperossidasi), mentre gli anticorpi anti-T4 possono interferire con la misurazione dei valori di T4 (aumento artefattuale).
Il dott. Corsini ha sottolineato che la misurazione di T4 con metodiche di riferimento (RIA – radioimmunodosaggio, CLIA – chemiluminescenza indiretta, ecc.) garantisce maggiore specificità, riducendo il rischio di falsi positivi.
La valutazione del TSH presenta invece elevata specificità e bassa sensibilità (è normale nel 30% dei cani ipotiroidei); pertanto, la valutazione di questo ormone in corso di diagnosi di ipotiroidismo va sempre associata alla misurazione del valore di T4 del paziente.
Le cause di aumento di TSH sono principalmente: ipotiroidismo, condizioni fisiologiche (fluttuazioni circadiane, variabilità individuali), ipoadrenocorticismo non trattato, terapie farmacologiche, NTIS.
Gold standard per la diagnosi di ipotiroidismo nel cane sono attualmente considerate la stimolazione con TSH (dal costo elevato) e la scintigrafia tiroidea.
Endocrinologia del gatto: ipertiroidismo
L’ipertiroidismo è la patologia endocrina più comune nei gatti anziani, con una prevalenza crescente; le opzioni terapeutiche includono approcci farmacologici, chirurgici, radiometabolici e dietetici. Comorbilità comuni possono creare criticità nella diagnosi a causa di similitudini nella sintomatologia (perdita di peso, poliuria/polidipsia – PU/PD, vomito cronico).

In particolare, la CKD (malattia renale cronica) può dare NTIS, e nell’ipertiroidismo si riduce la massa muscolare mentre si può assistere ad un aumento della creatininemia.
In gatti con CKD avanzata e sintomatologia grave il trattamento farmacologico per l’ipertiroidismo segue la stabilizzazione clinica.
Terapia medica
L’obiettivo terapeutico farmacologico consiste nel mantenimento dei valori di T4 all’interno della metà inferiore del range di riferimento considerato normale e nella riduzione della sintomatologia.
Metimazolo e carbimazolo sono i farmaci di prima linea. Il metimazolo viene somministrato a un dosaggio iniziale di 1,25-2,5 mg bid, con incrementi progressivi; il carbimazolo, invece, a 10-15 mg sid, con incrementi di 5 mg.
Gli effetti collaterali comuni includono vomito, diarrea e, in rari casi, agranulocitosi o trombocitopenia.
Terapia chirurgica
L’intervento chirurgico è una soluzione definitiva, benché associato a rischi come l’ipocalcemia postoperatoria (3-5% dei casi) e a casi di recidiva qualora ci sia la presenza di tessuto tiroideo ectopico in diversi distretti. Scintigrafia e TC sono indagini necessarie prima di impostare l’approccio chirurgico, valutando, nel contempo, età e condizioni del paziente.
La staged thyroidectomy (lobectomia eseguita in due diversi momenti) può ridurre le complicanze, ma richiede un’adeguata stabilizzazione prechirurgica.
Radioterapia
L’uso di radioterapia con iodio 131 è considerato il trattamento ideale per i noduli ectopici, con un tasso di successo del 90%; tuttavia, in Italia l’accesso a questo tipo di terapia è limitato a poche strutture a causa della necessità di requisiti strutturali specifici.
Endocrinologia del cane: la sindrome di Cushing
La sindrome clinica conseguente a un eccesso cronico di attività glucocorticoidea (morbo di Cushing) rappresenta una delle principali patologie endocrinologiche nel cane. La malattia viene classificata come spontanea (ACTH dipendente o ACTH indipendente) o iatrogena (per la cui diagnosi sarà fondamentale l’anamnesi).
La forma ipofisaria è la più comune nel cane (80 90% dei casi); se ne rileva un’origine variabile in base alla porzione ipofisaria interessata (70% pars distale, 30% pars intermedia), e le dimensioni delle lesioni neoplastiche (maggiormente rappresentati gli adenomi) sono variabili.

La forma surrenalica è la seconda forma più comune (15-20%) e le più frequenti neoplasie surrenaliche cortisolo-secernenti sono in prevalenza carcinomi solitamente monolaterali, raramente bilaterali.
La prevalenza è stimata in circa lo 0,2 0,3% in cani adulto-anziani.
A livello diagnostico il segnalamento (alcune razze sono predisposte allo sviluppo della malattia) deve essere associato alla valutazione della presentazione clinica: PU/PD, alopecia, distensione addominale, epatomegalia, polifagia, obesità, calcinosi cutanea (soprattutto nei cani brachicefali), ipertensione sistemica (71%).
Sintomi prosencefalici eventualmente presenti in associazione possono essere riferibili a macrotumori ipofisari (con letargia e depressione, comportamenti compulsivi, anoressia, crisi convulsive, oltre a bradicardia e ipotermia).
Esami complementari
La valutazione ematobiochimica può mettere in evidenza neutrofilia, leucogramma da stress (linfopenia, eosinofilia, monocitosi), trombocitosi, eritrocitosi, aumento dei valori di ALP, ALT, GGT e acidi biliari; riduzione di creatinina e urea; iperlipemia; iperlipasemia; iperfosfatemia; iperglicemia; aumento dell’aptoglobina; CRP spenta (CRP bassa).
A integrazione dell’iter diagnostico, la valutazione delle urine in caso di sindrome di Cushing può mostrare: calciuria, fosfaturia, proteinuria, ipostenuria, batteriuria subclinica, glicosuria (se concomitante a diabete mellito); l’urinocoltura sarà utile per valutare la presenza di batteri cal colo-induttori.
Anche il rapporto cortisolo/creatinina urinaria è uno strumento di valutazione utilizzabile come screening: se risulta nel range di normalità riduce la possibilità di diagnosi di sindrome di Cushing con una sensibilità del 92-100%, e specificità tra il 21 e l’82%. Il relatore ha riportato che l’ESVE (European Society of Veterinary Endocrinology) consiglia che il campione di urine sia preparato nell’ambiente domestico familiare del paziente, per ridurre le possibilità di un aumento del cortisolo causato dallo stress.
L’ecografia per la valutazione ghiandole surrenaliche è un esame imprescindibile in un iter diagnostico completo.
Per quanto concerne i test per la valutazione della funzionalità surrenalica, il dott. Corsini ha sottolineato che nessun test è di per sé e unicamente diagnostico.
Tra i test diagnostici per la sindrome di Cushing, la stimolazione con ACTH, utilizzata per diagnosticare la forma ipofisaria, ha una sensibilità dell’80-92% per il Cushing ipofisario e del 60-80% per quello surrenalico. La specificità è invece del 59-95%, e i falsi positivi sono scarsi. Il test di soppressione con desametasone a basse dosi è invece utile per differenziare tra forme ipofisarie e surrenaliche, con una sensibilità del 92-100%.
Terapia medica e chirurgica
Nel suo ultimo intervento, dal titolo “Terapia della sin drome di Cushing: non solo trilostano”, il dott. Corsini ha chiarito che le differenti localizzazioni alla base della sindrome di Cushing (ipofisi o ghiandole surrenali), prevedono approcci terapeutici differenti, e ha sottolineato che l’utilizzo indiscriminato di trilostano, senza un corretto inquadramento diagnostico, può anche essere dannoso in caso di forma ipofisaria.
I trattamenti per la forma ipofisaria si basano su chirurgia e trilostano, mentre per la forma non ipofisaria consistono in chirurgia, radioterapia e terapia medica (trilostano, mitotano, cabergolina).
Recentemente, si è aperto spazio all’uso della cabergolina in soggetti con forma ipofisaria non candidati ottimali alla chirurgia, che agisce direttamente sulla neoplasia ipofisaria ed è potenzialmente combinabile con terapie standard (ai dosaggi indicati di 0,07-0,022 mg/kg alla settimana), con valutazioni frequenti e rivalutazioni terapeutiche in base alla risposta clinica.
Il trilostano rimane però il farmaco d’elezione, somministrato a dosaggi di 0,5-1 mg/kg bid con il cibo. È fondamentale monitorare i livelli di cortisolo tramite test di stimolazione con ACTH dopo 2-3 settimane dall’inizio della terapia.
L’approccio chirurgico (adrenalectomia o ipofisectomia) o la radioterapia, in un’ottica di buone pratiche veterinarie, vanno proposte previa oculata valutazione diagnostica di secondo livello per quanto riguarda sia l’inquadramento chirurgico che quello oncologico.
- Pesaro. 1/12/24. Endocrinologia: le sfide dell’endocrinologia clinica del cane e del gatto. Organizzato dall’Ordine dei veterinari di Pesaro e Urbino. ↩︎