Consumatori si nasce o si diventa? Una concezione fortemente radicata in tutte le reti vendita aziendali e rivolta al raggiungimento dei propri obiettivi commerciali, ovviamente, preferirebbe che tutti nascessimo già convinti consumatori, ma purtroppo così non è.
Ecco quindi che la scienza ormai estremamente sofisticata del marketing deve quindi entrare in azione quanto prima possibile, per generare dei percorsi particolari di “avviamento al consumo”, se così si può dire, perché prima si comincia e prima si coglieranno i primi frutti.
Questa situazione si materializza in pratica quando le mamme e i papà portano più spesso i bambini al supermercato piuttosto che in un museo o a fare una passeggiata in montagna, quando li parcheggiano strategicamente davanti al televisore, probabilmente inconsci che le fasce orarie pubblicitarie fra le 15 e le 18 sono le più ambite e costose per molte categorie merceologiche.
Tecniche psicologiche studiate per i consumatori
L’idea estremamente diffusa fra i consumatori di poter entrare in un ipermercato e avere in mano una leva di scelta molto importante, solo perché si possono indirizzare i propri soldi verso un prodotto anziché un altro, non è completamente sbagliata, ma denota purtroppo il fatto che il consumatore non si rende conto di come sia facile essere pilotato verso determinati acquisti, mediante tecniche psicologiche molto sofisticate ed efficaci.
Ecco perché spesso si va al supermercato e si trovano i prodotti cambiati di posto, per fare in modo che le persone non finiscano per crearsi percorsi abitudinari brevi tra gli scaffali, ma siano di tanto in tanto obbligate a girare di qua e di là per trovare ciò che cercano e quindi a dare un’occhiata anche ad altri articoli.

Ecco perché i prodotti che si vogliono “promuovere” vengono posizionati negli scaffali all’altezza degli occhi di un adulto di statura media, mentre quelli che potrebbero essere acquistati dalla mamma, se il figlioletto si mettesse a piagnucolare, vengono posizionati spesso proprio all’altezza degli occhi di un bambino di 3-4 anni.
Consumatori si dovrebbe nascere e non semplicemente diventarlo casualmente, per cui il percorso standard di “avviamento al consumo” prevede una prima fase in cui il piccolo acquirente non può disporre autonomamente del denaro e quindi non compera in prima persona, ma può fortemente indurre i parenti “con portafoglio” a decidere acquisti che, di per sé, non avrebbero fatto.
Il secondo passaggio si manifesta quando il piccolo consumatore non è più così piccolo e quindi destina l’ammontare della sua paghetta verso acquisti generalmente emozionali e immediati, diventando di fatto un assai interessante bersaglio del marketing.
Da quel punto in avanti è tutto un crescendo di messaggi più o meno subliminali o espliciti, che hanno lo scopo di soddisfare un bisogno personale o di convincere il bersaglio di avere un bisogno di cui nemmeno lui si era accorto, entrando nel vasto e specialistico mondo della convinzione a distanza.
Se un produttore vende cellulari solo ad acquirenti che hanno rotto il loro oppure se lo sono visti rubare, può raggiungere una fetta del mercato potenziale magari importante, a patto che i suoi telefoni siano o vengano percepiti di ottima fattura. Se però il medesimo produttore riesce a convincere, con opportuni messaggi pubblicitari, che un miglioramento sostanziale della qualità complessiva di vita del bersaglio deriverà strettamente dall’acquisto regolare sempre dell’ultimo modello posto in commercio, allora quel mercato schizzerà numericamente verso l’alto.

Questo approccio è generalmente tipico di una parte molto ampia delle categorie merceologiche esistenti sul mercato e bene si sposa con uno stile di vita tipicamente occidentale, in cui la riparazione di un oggetto guasto è diventata col tempo un’opzione da abbandonare, in quanto impossibile o antieconomica o entrambi, e la sostituzione con un modello più nuovo rappresenta spesso la regola.
L’intervento della Commissione Europea
In totale controtendenza vorrebbe andare una recente e lodevole decisione della Commissione Europea, che ha imposto ai produttori di mettere sul mercato solo articoli predisposti per essere riparati e non necessariamente sostituiti, mettendosi apertamente in conflitto con aziende che traggono proventi non dalle riparazioni, ma dalle sostituzioni. Tutti questi aggressivi e spesso subliminali metodi di vendita sono contrari alla Legge? No. Tutto ciò viola qualche diritto del consumatore? Molto spesso no, anche se l’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato talvolta la pensa diversamente e irroga sanzioni a 5 e 6 zeri agli inadempienti troppo disinvolti.
Questa disinvoltura è eticamente scorretta? Tecnicamente no, perché lo scopo di esistenza di qualunque azienda che venda beni o servizi è quello di incrementare costantemente il fatturato, ma non può riuscire in questo percorso se non attiva tutti i possibili metodi per catturare l’attenzione del consumatore e soprattutto la sua propensione all’acquisto. Proprio all’interno di questi possibili metodi si trovano soluzioni al limite dell’accettabile, ma ancora conformi e altre invece spinte troppo oltre e quindi lesive della buona fede aziendale e quindi dell’etica commerciale.
Attenzione al credito al consumo
Esiste un aspetto aggiuntivo però a cui il povero consumatore deve prestare la massima attenzione, rappresentato dal cosiddetto credito al consumo, cioè da quelle facilitazioni di acquisto che sono ormai diventate estremamente comuni e che si prefiggono lo scopo di fornire piani di pagamento dilazionati nel tempo.
Infatti, l’obiettivo teoricamente prioritario è convincere il consumatore che un determinato articolo gli serve e lo vuole, a prescindere dal fatto che ciò sia vero o meno. A questo punto però potrebbero subentrare ostacoli all’acquisto di tipo economico, sostanzialmente basati sulla non sufficiente disponibilità economica e quindi sulla effettiva impossibilità a soddisfare tutti i bisogni indotti dal marketing. Ecco quindi spuntare dal nulla l’onnipresente credito al consumo, nato svariati anni fa e malauguratamente progredito nel tempo, fino a diventare disponibile sotto le forme più variegate ed articolate.

Il grande pericolo insito nel credito al consumo è rappresentato dal suo concetto di partenza, ricalcato in qualche modo sulle linee di credito che le imprese ottengono dalle banche con cui collaborano e che utilizzano poi per ammodernare le strutture o macchinari.
Un’azienda, che acquista un’attrezzatura per velocizzare il lavoro tramite una linea di credito bancaria, in pratica ottiene i vantaggi economici derivanti da quell’attrezzatura, dopo averla comperata con denaro non suo. Se l’interesse che dovrà corrispondere alla banca sarà inferiore all’aumento di reddito derivante dal nuovo macchinario, alla fine della fiera avrà fatto un affare.
Il consumatore che acquista un televisore al plasma da 50 pollici, ma non ha i soldi per farlo, riceve senza problemi il denaro tramite il credito al consumo, a patto che abbia una pensione o un lavoro, ma non riceve alcun vantaggio economico dal suo acquisto e soprattutto, dati i tempi che corrono, spesso non è in grado di garantire che la sua occupazione potrà durare fino all’estinzione del debito.
Moltiplicando il concetto per tutti i possibili acquisti perfezionabili tramite questo strumento, si comprende facilmente come un utilizzo incontrollato del credito al consumo possa portare le famiglie di fronte a situazioni in cui il reddito viene improvvisamente a mancare, ma le rate no, lasciando papà e mamma seduti sul divano a rimirare il proprio 50 pollici nuovo fiammante, ma dopo aver saltato la cena. Pazienza, cercheremo di mangiare domani.