I Pet Corner possono diventare un asso nella manica a disposizione del veterinario, ma solo se accompagnati dalla giusta comunicazione.

Intervenendo a evento del mercato pet, Nicolò Galante, CEO di Arcaplanet, ha individuato tre canali distribuitivi a cui il pet owner può rivolgersi per approvvigionarsi di prodotti per la salute e il benessere degli animali, e cioè: quello specialista dove può ottenere assistenza; il grocery e il mass market; e infine il canale online; in questi ultimi due invece è da solo nella scelta dei prodotti da acquistare. Sempre secondo Galante, quindi, la caratteristica distintiva del canale specialistico è la specializzazione, l’offerta di un prodotto di qualità superiore non reperibile altrove e il servizio.

Il canale veterinario: qual è la sua importanza?

Ma esiste un canale veterinario? Le strutture veterinarie hanno uno spazio che rasenta la clandestinità. In Italia non ci sono i numeri per poter parlare di un canale commerciale veterinario, né ci saranno mai. I puristi della professione possono dormire sonni tranquilli: in una pet economy che, in Italia, raggiunge quota 6,8 miliardi, la vet economy rappresenta il 19,1% (con 1,3 miliardi). Se il contributo del Pet Corner al reddito è dell’1% siamo intorno allo 0,19%, ma se anche ci allineassimo alla media europea del 9% ci posizioneremmo sull’1,72%, cioè al di sotto della significatività statistica.

Dunque, che importanza possono avere il veterinario e il Pet Corner nell’economia generale? Se il suo impatto commerciale diretto è trascurabile, il peso, il ruolo del veterinario è quello che potremmo definire “amplificatore di segnale”, cioè di primo Key Opinion Leader anche come consulente di prodotto, e che come tale, garantisce l’eccellenza di ciò che propone.

L’adozione di un parnut o di un dermatologico nel portafoglio prodotti del Pet Corner è l’atto finale di un percorso di approfondimento sul prodotto che parte dalla raccolta di informazioni e passa attraverso un confronto con il produttore, che dà forza a quella scelta e costituisce la garanzia “vet grade” che nobilita il prodotto stesso. Quel prodotto del Pet Corner, così selezionato e confermato nel tempo dalla pratica clinica, diventa un asset di valore dell’attività, un patrimonio della struttura della cui eccellenza mi faccio garante e da cui ricevo un ritorno di immagine positivo.

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© RossHelen – shutterstock.com

In pratica per ogni prodotto ceduto dalla struttura si genera un effetto leva che ne amplifica la portata nel tempo sul cliente e nel mercato con il passaparola. La condizione perché questo si verifichi è la serietà e la determinazione con cui il veterinario si approccia al Pet Corner. In quest’ottica, le aziende non possono più guardare al veterinario come semplice distributore, ma come un partner speciale da trattare con riguardo. Ma perché ciò avvenga – lo ripetiamo – il veterinario deve dimostrare di fare sul serio. Insomma, si dovrebbe innescare un circolo virtuoso con al centro la qualità prodotta ed erogata delle aziende, e garantita e certificata dal veterinario.

Lavorare sulla percezione

E qui allarghiamo il discorso al concetto di percezione: cosa determina il giudizio dei clienti sul medico veterinario? Prendiamo a prestito quanto affermato nel corso di un evento di marketing per istruttori cinofili: “Quando vengono nella tua struttura, e ti scelgono come professionista (pagando il tuo servizio), cosa stanno realmente acquistando? Beh, la risposta è solo una, sempre la stessa e inconfutabile: stanno acquistando la percezione che hanno di te. Se sono convinti che tu sia un esperto, e che farai del bene al loro cane, acquisteranno da te. Se invece non hanno una buona impressione sul tuo servizio, andranno altrove.

Il fatto è che quando una persona ti scopre per la prima volta, non può sapere quanto tu sia bravo e preparato. Non sa come lavori, non sa quanta passione hai, e non sa quanta esperienza hai. Quindi si basa solo ed esclusivamente sulla percezione.

Anche per un cliente già fidelizzato vale lo stesso principio. Basta che per una volta tu ti presenti con la casacca sporca o un abbigliamento trasandato o cada in fallo in uno dei challenge che stiamo per vedere e perdi credibilità. In un attimo e forse per sempre. E non c’entra niente quanto tu sia capace o quanti attestati hai, perché le persone non sono tenute a saperlo. Quindi, se vuoi prosperare con la tua attività, non puoi soltanto essere un bravo professionista. Ma devi anche venire percepito come tale”.

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© Nejron Phot – shutterstock.com

I 5 challenge di comunicazione

E allora cosa vuole un pet owner dal medico veterinario? Che risolva un problema del proprio pet. Attraverso un percorso a ostacoli che il clinico deve imparare a superare.

  1. Evitare di creare sensi di colpa. Probabilmente almeno il 50% dei casi che ci vengono presentati è originato da un comportamento o da un’azione “impropria” del proprietario. Puntargli addosso l’indice non aiuta a farci percepire positivamente. Lo so benissimo che ho fatto una… sciocchezza, non c’è bisogno che tu me lo rinfacci, cerca piuttosto di porvi rimedio. Quindi tutto il corso della Veterinarian Client Patient Relationship – e ogni volta si riparte da zero – va gestito dal professionista in modo tale che sia sempre viva la percezione che stiamo facendo del nostro meglio per risolvere il problema. Che significa anche focalizzarsi sul caso senza farsi distrarre da interferenze esterne, telefono in primis.
  2. Gli esami “inutili”. Si sente spesso dire che i veterinari fanno esami e analisi non necessarie alla risoluzione del caso ma solo per gonfiare la parcella, e quindi il professionista viene percepito come avido e approfittatore. Quindi negativamente. In realtà, nell’algoritmo che ci deve condurre alla diagnosi ci sono dei passaggi obbligati che non possiamo eludere. Il mito del grande clinico che scrutandoti la sclera fa la diagnosi esatta è solo un mito, per l’appunto. La pratica quotidiana è fatta di metodo, di ipotesi da scartare o confermare, quindi anche di vicoli ciechi ma non inutili e non di conigli tirati fuori dal cilindro. Un esempio. Cane con vomito frequente ed evidente malessere e febbre. Analisi del sangue? Ok. Ma quale? Decido di fare un emocromo e un profilo biochimico esteso che comprenda amilasi e lipasi. Viene fuori che sono elevate e faccio diagnosi di pancreatite. Se avessi scelto un profilo più ristretto avrei ritardato la diagnosi e prescritto una terapia inefficace. Quindi non esistono esami inutili, ma esami che vengono percepiti come tali per una nostra cattiva comunicazione e giustificazione.
  3. Deficit di sensibilità. Cagnolino timoroso portato dalla proprietaria con sospetto forasacco in un orecchio. Esploro delicatamente, lo vedo, dico alla signora di tenerlo un attimo fermo che lo estraggo immediatamente. L’animale si agita prima che possa usare la Hartmann, la proprietaria si spaventa, quindi non se ne fa di niente, dovendo ricorrere alla indesiderata sedazione per poter finire il lavoro. È stato un attimo, un guaito del cane, ma è bastato per farmi percepire come un mostro. E questo episodio ripropone l’opportunità di lavorare con il proprietario presente e il valore inestimabile di un bravo tecnico veterinario. Ma questa è un’altra storia.
  4. L’indecisione. È il più letale. Nel momento in cui manifesto un’incertezza nel ragionamento diagnostico l’inevitabile percezione è che io sia un incompetente. E dico ragionamento diagnostico perché nessuno può pretendere di sapere tutto, ma tutti devono essere in grado di gestire la propria “ignoranza” senza manifestarla e, se non abbiamo la risposta pronta, dobbiamo prendere tempo, magari facendo delle analisi e documentarci o chiedere aiuto. È preferibile una risposta non proprio esatta data con autorevolezza e decisione di una risposta corretta ma titubante. Sarà una frase fatta ma questo è un aspetto che dovrebbero insegnare all’Università.
  5. L’effetto “bottegaio” che, fra l’altro, è influenzato dalle performance sui primi quattro ostacoli. Pervenuto alla diagnosi, il medico veterinario può scegliere di prescrivere la terapia e/o consegnare direttamente i farmaci e parafarmaci necessari. La seconda opzione è molto apprezzata dal cliente, ma cozza contro il muro di gomma dei puristi che considerano ogni concessione al mercato una sorta di prostituzione. Il fatto che la cessione di prodotti – quand’anche assimilabile a un servizio clinico accessorio e complementare – ci faccia percepire come dei commercianti, finora ha ingessato gli addetti ai lavori. Invece possiamo evitare questo rischio adottando dei semplici principi di buona comunicazione pensando che:
    1. dobbiamo far passare il messaggio che non stiamo vendendo un prodotto ma stiamo aiutando il cliente a risolvere il suo problema a 360°. Hic et nunc;
    2. siamo la migliore fonte di informazione e di istruzioni sulle modalità di esecuzione della terapia che abbiamo prescritto e di cui ci facciamo garanti;
    3. la nostra proposizione è l’ultimo naturale passaggio del percorso virtuoso che vogliamo sia il customer journey nella nostra struttura nella percezione del cliente;
    4. se anche abbiamo rispettato i primi tre punti, ma il cliente non vuole approfittare dell’opportunità che gli offriamo, dobbiamo rispettare la sua libertà di rifiutare con la massima nonchalance.

Emergere e dare unicità alla nostra proposta di Pet Corner

Tornando a bomba, la distribuzione specializzata ha sposato la linea dei servizi ad alto valore aggiunto facendone il tratto differenziante della sua offerta. Quindi l’addestramento del personale di vendita a dare risposte corrette alle domande sul benessere dei pet. E se ben istruiti, i commessi e le commesse del punto vendita possono essere molto apprezzati e utili.

Il punto è: come ci collochiamo noi veterinari in questo contesto. Ci limitiamo al mugugno come sempre o vogliamo rilanciare? Vogliamo depurare la nostra professione dal fumus negotii? Le catene specializzate puntano sulla qualità? Bene, noi offriamo una qualità superiore e garantita dalla nostra competenza ed esperienza. Se vogliamo sviluppare il Pet Corner dobbiamo semplicemente studiare il mercato, i prodotti, e individuare e selezionare quelli migliori possibilmente ancora non presenti sugli altri canali.

Dare quel sapore di unicità della nostra proposta di Pet Corner – possibilmente di nicchia – che ci fa emergere dalla marmellata dei canali commerciali mandando il messaggio che quello che ho selezionato per te vale perché l’ho studiato a fondo e, dall’alto della mia competenza, lo ho giudicato migliore degli altri o al pari dei migliori e me ne faccio garante.

Questa è la percezione che deve avere il cliente del Pet Corner veterinario, e non quella che il medico veterinario si “abbassi” a vendere mangimi. Dunque, la chiave sta nell’accurata selezione di un portafoglio prodotti d’eccellenza che il medico veterinario nobilita con la sua scelta. Un po’ come l’idea diffusa che se un articolo è venduto in farmacia, è di qualità superiore.

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© Alberto Menendez Cervero – shutterstock.com

In altre parole, se vogliamo vincere la sfida del mercato, e non farci togliere fette di competenza da figure meno qualificate di noi, impariamo a cavalcare la tigre e a muoverci con disinvoltura nel mercato, privilegiando la qualità e adottando una comunicazione coerente e autorevole. Ma per farlo occorre prepararsi, studiare e investire del tempo, perché nessuno nasce “imparato”.

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