Il dott. Vitale del CReNaL riassume le principali tematiche legate alla sempre più ampia diffusione della leishmaniosi in Italia con particolare attenzione agli aspetti di One Health.

La leishmaniosi è una zoonosi ormai endemica in Italia ma, nonostante la sua diffusione sul territorio, continua a essere carente quell’approccio olistico che sarebbe necessario per combatterla efficacemente.

In occasione dell’evento formativo “Leishmaniosi animale e umana esempio di One Health – Il controllo entomologico dei vettori ambientali ed i Piani di sorveglianza sanitaria”1, il dott. Fabrizio Vitale, medico veterinario presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A. Mirri”, responsabile del Centro di Referenza Nazionale per le Leishmaniosi (CReNaL), ha fatto il punto sulla situazione.

Cosa preoccupa della leishmaniosi

La leishmaniosi è una malattia comune agli animali e agli uomini (zoonosi) sostenuta da un parassita del genere Leishmania spp. e trasmessa tramite un insetto vettore (Phlebotomus spp.). In Italia la malattia è endemica sin dagli anni ’80 nelle regioni meridionali e costiere, ma è dagli anni ’90 che, a causa dei cambiamenti climatici, si sono venute a creare le condizioni ideali per l’attecchimento dei vettori in regioni dapprima indenni, inducendo, in tal modo, un’estensione della malattia su tutto il territorio nazionale.

La maggiore difficoltà che si coglie nell’approccio alla malattia è concentrata nella tendenza a rimanere nel proprio “orticello”, ma questa chiusura è deleteria, in quanto non lascia intravedere la complessità di un’infezione che non può essere combattuta efficacemente soltanto con un approccio clinico/diagnostico e terapeutico, ma necessita di interventi articolati nei confronti della triade parassita – vettore – serbatoio.

L’evoluzione storica della leishmaniosi canina

Il principale serbatoio di Leishmania infantum nel nostro territorio resta certamente il cane, che rispetta tutti i requisiti essenziali riferibili al concetto di reservoir. I parassiti, infatti, al fine di permanere e perpetuarsi in una popolazione, devono avere un habitat naturale in cui riprodursi e l’opportunità di diffondere ad altri ospiti suscettibili.

Un buon serbatoio dovrebbe:

  • Essere in stretto contatto con l’uomo tramite i flebotomi
    Essere recettivo all’agente patogeno
    Essere disponibile per il vettore in quantità sufficiente e nel giusto stato per causare l’infezione
    Offrire la risorsa alimentare principale per i pappataci ed entrambi dovrebbero condividere lo stesso habitat

Tutte queste caratteristiche identificano il cane (la specie animale più sinantropica) come il primo serbatoio di leishmaniosi e tuttavia non l’unico. A partire dagli anni ’80 le caratteristiche sintomatologiche dell’infezione da Leishmania nel cane sono diventate evidenti e facilmente riconoscibili nelle manifestazioni cutanee, caratterizzate da costante presenza di alopecia, dermatite furfuracea, onicogrifosi e ulcere, accompagnate da sintomatologia sistemica quale marcato dimagrimento nonostante appetito conservato (se non aumentato), splenomegalia e un quadro ematoclinico caratteristico.

Nel tempo però, la progressiva endemizzazione della malattia nel cane associata ai principali meccanismi di persistenza del parassita, hanno cominciato ad alterare le cosiddette forme classiche sfociando in quadri “atipici” (es. zoppia), complicando il quadro sintomatologico.

Oggi il cane si avvia a diventare sempre più il perfetto ospite serbatoio, albergando una malattia sempre meno facilmente riconoscibile dalla sola sintomatologia clinica e pertanto “silente”. Tuttavia è bene sottolineare che la natura fatale della malattia canina suggerisce come, in termini evoluzionistici, il cane sia ancora un ospite recente. Questo apre scenari più complessi di ricerca di ospiti serbatoio, forse meno sinantropici ma non per questo meno importanti dal punto di vista epidemiologico (roditori, selvatici, lagomorfi, ecc.).

Al momento in Italia la specie prevalente è L. infantum e, sotto il costante monitoraggio del CReNaL, non sono stati registrati casi autoctoni di specie di leishmanie diverse. Un interessante lavoro2, frutto di una collaborazione tra l’Università di Medicina Veterinaria di Bari e l’Università La Sapienza di Roma, suggerisce che l’identificazione di Leishmania tarentolae (le specie di Leishmania che infettano i rettili appartengono alla sottoclasse Sauroleishmaniae) e L. infantum nei vettori Sergentomiya minuta e Phlebotomus perniciosus, ne indichi la convivenza negli stessi ambienti, con il rischio di una potenziale sovrapposizione nei vertebrati.

Pur essendo di solito specie-specifica, è possibile che una specie tipica dei rettili infetti transitoriamente i mammiferi o viceversa. I rettili possono quindi agire come serbatoio di Leishmania patogene in aree dove l’ospite primario non è presente o dove i diversi ospiti convivono. È stato rilevato, infatti, che S. minuta può pungere e contagiare anche cane e uomo.

… e il gatto?

I felini erano tradizionalmente considerati una specie resistente e in tutto il mondo sono stati segnalati solo casi sporadici di malattia felina, principalmente causati da L. infantum. Le indagini epidemiologiche hanno confermato, tuttavia, che le infezioni feline non sono rare e che l’incidenza della malattia potrebbe essere sottostimata nelle aree endemiche. I gatti sono infettati dalle stesse specie di Leishmania che infettano i cani e gli esseri umani nelle aree tropicali e subtropicali di tutto il mondo per il tramite degli stessi vettori, come dimostrato sperimentalmente.

I segni clinici della malattia nel gatto sono quelli classici: lesioni cutanee (dermatite ulcerosa, crostosa, nodulare o squamosa), talvolta gli unici reperti all’esame obiettivo, linfoadenomegalia e perdita di peso. L’interessamento oculare (blefarite nodulare, uveite, panoftalmite), il calo dell’appetito, la gengivostomatite cronica e la letargia sono i reperti non cutanei più frequenti, da soli o in combinazione.

Dal punto di vista epidemiologico il gatto rappresenta una criticità per le caratteristiche sociali della specie, per l’assenza di un vaccino e per l’assenza di misure preventive conosciute a eccezione del controllo vettoriale.

Il problema dei cani e dei gatti randagi

Una premessa è necessaria: nel nostro Paese la tutela degli animali e la lotta al randagismo sono principi fondamentali sanciti dal punto di vista normativo sin dal 1991, anno in cui è stata emanata la Legge quadro 14 agosto 1991, n. 281.

Negli ultimi anni ulteriori provvedimenti, quali l’Accordo tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano del 6 febbraio 2003 e le recenti ordinanze ministeriali, hanno integrato e arricchito il quadro normativo, prevedendo nuovi adempimenti sia per le pubbliche amministrazioni sia per i proprietari e detentori di animali.

L’insieme dei Provvedimenti Legislativi ha consentito, tra le altre cose, l’attivazione dell’Anagrafe Canina Nazionale, la gestione del sistema informatico e la realizzazione di un programma di prevenzione del randagismo il quale prevede sia l’informazione e l’educazione nelle scuole, sia la formazione e l’aggiornamento del personale delle Regioni, degli Enti locali delle Aziende Sanitarie Locali (ASL) che operano in questo ambito.

Fatta questa premessa, si potrebbe pensare che, a tanti anni di distanza dei primi provvedimenti legislativi emanati in materia, il randagismo sia solo un brutto ricordo, ma purtroppo, almeno in alcune regioni, le cose non stanno proprio così. La presenza di cani (anche se molto ridotta rispetto al passato) e di gatti ancora erranti nei territori è una criticità nel sistema di controllo e prevenzione del serbatoio animale nella leishmaniosi.

Ancora una volta entra allora in gioco l’ambiente inteso come circolazione dei vettori, che possono essere contrastati con efficaci campagne di disinfestazione programmate e gestite dalle autorità locali. In alcune realtà locali di reintroduzione nell’ambiente del cane microchippato e sterilizzato dai Servizi Veterinari (cane di quartiere) è possibile un controllo individuale in termini di repellenza, ma è necessaria una coscienza civica e una formazione/informazione in termini di popolazione.

Venendo all’aspetto più pratico, la profilassi nel cane si articola essenzialmente in due linee principali: una profilassi vaccinale, oggi possibile, e una profilassi vettoriale orientata a contenere la densità dei flebotomi, responsabili della trasmissione della malattia.

Il vaccino è un presidio di profilassi individuale che mira a creare le migliori condizioni di resistenza alle forme gravi di malattia nel cane ma, ovviamente, non ha influenza sulla possibilità del pasto di sangue dell’insetto vettore nell’ospite. Va da sé che le due linee di profilassi delineate debbano integrarsi e magari essere potenziate da accorgimenti miranti al cambiamento di stile di vita (evitare disponibilità del serbatoio all’aperto nelle ore notturne; uso di zanzariere a maglie strette nei canile e nei rifugi).

Leishmaniosi e coscienza civica

In base a quanto detto prima, appare inderogabile e necessario quanto già il legislatore ha previsto in materia di benessere e contrasto al randagismo degli animali. Nessun regolamento/legge o disposizione comunale può sostituire un’efficace campagna informativo/educativa che non sia solo diretta al contrasto delle zoonosi ma tenga conto dell’approfondimento del rapporto uomo-pet in un nuovo modo di intendere la sua posizione nella nostra vita quotidiana: un compagno, un amico, un familiare, quindi inserito in un contesto umano, non sempre adeguatamente preparato a questa importante convivenza.

Questo ha portato a una antropomorfizzazione che spesso va a ledere il benessere dell’animale. Ma il pet può essere anche il reservoir naturale di infezioni per altri animali, oltre che per l’uomo, di cui occorre essere consapevoli. L’esempio dell’infezione da Leishmania, lungi dall’essere esaustiva, vuole dare un contributo al processo di consapevolezza mirante, fosse solo per la inderogabile necessità di difesa dalle zoonosi, a sviluppare una palestra antropo-decentrativa, vale a dire un percorso che aiuta la persona a essere meno proiettiva nell’assegnazione di qualità, disposizioni, bisogni a un soggetto appartenente a un’altra specie.

La corretta ricollocazione inter-specifica sarà il presupposto essenziale per impostare un efficace contrasto alle zoonosi e ristabilirà la corretta dignità delle specie. L’antropomorfizzazione, infatti, non eleva la specie ma, di fatto, la sminuisce, perché non ne riconosce le caratteristiche e i bisogni propri e trasforma gli eterospecifici in quasi-umani, assumendo la specie umana come unità di misura e astro intorno a cui orbitare.

One Health

Il One Health Concept è una strategia globale per espandere la collaborazione interdisciplinare e la comunicazione in tutti gli aspetti della cura della salute, accelerare le scoperte della ricerca biomedica, accrescere l’efficacia della Medicina Pubblica, espandere la conoscenza scientifica di base, migliorare l’educazione medica e le cure cliniche.

La leishmaniosi può essere un esempio concreto della strategia collaborativa, in cui si attivano e attraggono competenze diverse ma tutte funzionali al raggiungimento dello scopo: medici veterinari, per riconoscere e trattare le forme cliniche animali; medici di medicina umana, per riconoscere e trattare le forme cliniche umane (cutanea e viscerale); biologi, per ottimizzare i laboratori di ricerca; entomologi, per monitorare i vettori; esperti di selvatici, per individuare i serbatoi non antropizzati; ecologisti, per responsabilizzare le autorità sanitarie ai principi di igiene pubblica; epidemiologi, per delineare le strategie di sorveglianza; media, per informare correttamente sui rischi e la prevenzione.

La leishmaniosi è anche e soprattutto una malattia trasmessa da vettore la cui pressione selettiva, nell’ambito territoriale, ne consente la definizione di “determinante primario” nella genesi dell’infezione. Con il “determinante” si introduce il concetto di causa come “fattore capace di incrementare la probabilità” della malattia. Tutto questo ci ricolloca nella prospettiva One Health laddove assumiamo il postulato che l’interazione tra gli esseri viventi che condividono lo stesso ambiente sia un sistema dinamico unico, in cui la salute di ciascun componente è inevitabilmente interconnessa e dipendente dagli altri.

La leishmaniosi è un perfetto paradigma di One Health Concept coinvolgendo nella sua patogenesi la triade della salute uomo-animale-ambiente così tanto enfaticamente enunciata ma, nei fatti, scarsamente applicata pure in uno scenario così drammaticamente condizionato dal “climate change”.

La capacità di una visione “olistica” potrà non solo apportare benefici al trattamento individualizzato del singolo caso, ma aiuterà a comprendere meglio i fattori di rischio, gli interventi preventivi e a impostare una corretta visione epidemiologica predittiva.

Le iniziative del CReNaL

Il Centro di Referenza Nazionale della leishmaniosi ha, ormai da un decennio, sviluppato piani formativi/informativi che vengono erogati annualmente in modalità residenziale attraverso un corso itinerante che negli anni ha toccato tutte le regioni italiane.
Le attività sono volte soprattutto a:

  • Organizzare corsi di formazione per il personale degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali
  • Ricercare le informazioni relative alle novità nel settore in modo da diffonderle a enti interessati
  • Fornire al Ministero della Sanità l’assistenza tecnica e le informazioni epidemiologiche
  • Collaborare con altri Centri di Referenza Comunitari o di Paesi Terzi
  • Svolgere attività di tirocinio grazie alle collaborazioni con le Università e gli Enti di Ricerca

Attraverso il sito web https://crenal.izssicilia.it/ è possibile informarsi sulla malattia e sulle attività del centro.

  1. 1. 16/5/2023; svoltosi presso l’IZS Sicilia – Area territoriale di Catania. ↩︎
  2. 2. Pombi M, Giacomi A, Barlozzari G, Mendoza-Roldan J, Macrì G, Otranto D, Gabrielli S. Molecular detection of Leishmania (Sauroleishmania) tarentolae in human blood and Leishmania (Leishmania) infantum in Sergentomyia minuta: unexpected host-parasite contacts. Med Vet Entomol. 2020 Dec;34(4):470-475. ↩︎

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