Questa volta il dott. Rossi si trova di fronte a una delle situazioni che lo preoccupano di più: la gestione dei clienti più problematici, per cui ci vuole una pazienza particolare.
L’incubo della sign. Patty
Il caldo del pomeriggio è ancora insopportabile e nell’ambulatorio veterinario del dott. Rossi è appena entrata una cliente molto particolare, una persona che lo mette sempre in grande difficoltà. La signora Patty ha una strana abitudine: pensa di avere sempre la precedenza su tutti quando porta il suo barboncino Otello per effettuare le visite di routine e il dottore, se legge il suo nome nella lista degli appuntamenti del giorno, comincia ad agitarsi.

La signora Patty, anche questa volta, come sua prassi, entra nell’ambulatorio con il mento rivolto verso l’alto e lo sguardo diretto verso la porta dove abitualmente riceve il veterinario. Non guarda la fila di persone che stanno attendendo il proprio turno ed entra, lamentandosi furiosamente se c’è ancora qualche cliente nella stanza. Lo fa in un modo così abilmente raffinato da far sentire in colpa tutti, zittendone qualsiasi rimostranza. Si lamenta dei suoi dolori alla schiena e inventa, evidentemente, una ricca serie di scuse per impietosire tutti i presenti, finché non riesce a ottenere ciò che vuole, cioè un accesso diretto e immediato alle cure veterinarie di routine.
Gestire certe situazioni
Il dott. Rossi, nel tempo, ha capito che per riuscire a gestire queste situazioni, deve fare un grosso esercizio di pazienza, al fine di non discutere con la signora e riuscire a mediare con i clienti in sala d’attesa.
Cos’è la pazienza? Il dizionario la definisce come “disposizione d’animo, abituale o attuale, congenita al proprio carattere o effetto di volontà e di autocontrollo, ad accettare e sopportare con tranquillità, moderazione, rassegnazione, senza reagire violentemente, il dolore, il male, i disagi, le molestie altrui, le contrarietà della vita in genere” ma anche come “capacità di frenarsi, di contenere l’ira, l’irritazione” e “calma, assiduità, costanza e insieme precisione nell’eseguire un lavoro, nello svolgere un’attività superandone le piccole difficoltà”.
Tutti noi, per così dire, sperimentiamo una pazienza “buona”, proattiva (coi figli ci vuole pazienza) e una “cattiva” (sei troppo paziente). Dunque, il confine dove sta?
Pazienza o tolleranza?
Probabilmente il confine sta nel rendere la pazienza un elemento attivo, senza confonderla con la tolleranza che sconfina nella sopportazione passiva. Il rischio di questa tolleranza passiva è trasformare chi ne fa uso in “persona buona”; ma siamo davvero sicuri che sia cosí? Proviamo a chiederlo al suo stomaco. Forse la pazienza può essere meglio intesa come “l’arte di saper comprendere quale sia il giusto tempo e il giusto spazio da dedicare a una situazione o persona”.
Sì, ma giusto per chi? Beh, per tutti i soggetti coinvolti. Quel sottile confine tra la comprensione dei miei bisogni e quelli dell’altro. E ovviamente, quando si è all’interno di una professione di aiuto, i bisogni dell’altro sono spesso prioritari. Ma non bisogna mai dimenticare i nostri, di confini, e qui ci viene in aiuto il famoso e un po’ abusato concetto di assertività.
Assertività e psicologia del profondo
Assertività è un costrutto psicologico che consiste nell’esprimere il proprio accordo o disaccordo rispettando anche le posizioni dell’altro. Questo concetto sembra molto semplice ed è facile essere in accordo con esso. Sì, ma allora perché molti di noi fanno fatica a essere assertivi e ad avere una sana pazienza? I motivi possono essere davvero tanti e, spesso, legati a questioni molto soggettive; cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.
Quando ci troviamo a parlare con una persona o in una situazione specifica, siamo inconsapevolmente sollecitati da numerosissimi stimoli emotivi che agiscono in noi ricollocandoci in situazioni che spesso abbiamo vissuto nella nostra infanzia o in momenti significativi del nostro sviluppo affettivo. Quindi, spesso, reagiamo nell’oggi come abbiamo imparato a fare ieri, nel passato. E se nel passato, per qualche motivo, i nostri comportamenti sono stati accettati e quindi rinforzati, li utilizzeremo in maniera permanente. Però, crescendo, ci troviamo immersi in contesti nuovi, più sfidanti, in cui le “vecchie maniere” non funzionano più.

Andiamo ancora oltre ed entriamo nella psicologia del profondo. A volte non riusciamo ad essere assertivi e siamo o troppo o poco pazienti perché, per esempio, quella determinata persona ci “ricorda” qualcuno del nostro passato, un qualcuno che su di noi ha avuto forse un ruolo dominante e, quindi, inconsapevolmente, ci relazioniamo a lei come facevamo da piccoli, con una certa forma di timore.
Sbirciamo nel passato del dott. Rossi
Il dott. Rossi, per esempio (non ditelo a nessuno), ha avuto un genitore piuttosto direttivo, che non accettava di essere contraddetto perché altrimenti reagiva con strategie passivo aggressive per suscitare in lui laceranti sensi di colpa. Quindi Rossi ha sviluppato una particolare sensibilità verso coloro che sente (da sentimento – dentro di sè, profondamente e senza pensiero razionale) essere simili per atteggiamento a questo familiare. E la sig.ra Patty evoca in lui esattamente questo tipo di sensazioni, a cui lui d’impeto risponderebbe con lo schema relazionale appreso nell’infanzia, ossia passività di fronte alla direttività.
A volte, poi, siamo impazienti perché i nostri contenuti di pensiero si avvicinano a paure profonde e quindi agiamo per non sentire ciò che proviamo. Non riusciamo a metter spazio tra l’emozione e il pensiero. Quindi reagiamo stizziti o con superficialità (per esempio, rispondendo male a qualcuno) perché quella situazione ci pone in una condizione emotiva che “scotta”, ci fa sentire impotenti o in gabbia e quindi mettiamo in atto le contromisure rigide per levarci dal pericolo percepito.
Ad esempio, se vogliamo dimostrare sempre di essere persone che hanno il controllo di tutto, che non sbagliano mai, quando accade l’imprevisto ci arrabbiamo e reagiamo con impazienza per toglierci alla svelta da quella situazione che contrasta con l’idea di persone efficientissime che vogliamo avere di noi.
Accettare se stessi
In realtà, forse, è più opportuno imparare ad accettare che anche noi, sì noi, abbiamo dei limiti. E se lo accettiamo, accade una cosa interessante: possiamo mettere a proprio agio gli altri, rilassarli, e renderli più pazienti nei nostri confronti (e verso loro stessi). La pazienza, poi, ha anche a che fare con l’amore. Quando stiamo facendo qualcosa che amiamo o siamo con qualcuno a cui teniamo tanto, riusciamo sempre ad avere quella forza in più per resistere, accompagnare, soffrire insieme, spiegare, rispiegare, accogliere, capire.

Perché parliamo dell’amore in questo contesto? Perché, se amiamo il nostro mestiere, allora ne ameremo anche le sfumature, le sventure, le sfide e le riusciamo a vivere come momenti di crescita, momenti che fanno bene.
E poi condividere
È importante riuscire a condividere coi colleghi, ma anche coi clienti, le nostre emozioni. Sì, perché di fronte a qualcuno che soffre, dobbiamo sì essere forti per riuscire a risolvere la situazione, qualsiasi essa sia, ma non dobbiamo per forza vivere la sofferenza di un animale o l’insoddisfazione di un cliente come un fallimento personale al punto da irrigidirci. Dovremmo provare a tenere aperti i canali comunicativi con l’altro, con i colleghi, e soprattutto imparare ad avere pazienza con noi stessi. Bilanciare l’idea che abbiamo di noi (io voglio essere un ottimo veterinario) con la realtà dei fatti (anch’io ho dei limiti e i clienti possono notarli).
Ma tutto ciò fa parte del gioco delle relazioni perché siamo immersi in una rete in cui la persona che entra nel nostro ambulatorio, consciamente o meno, ha già un effetto su di noi, ci emoziona (più o meno consapevolmente) e noi ci troviamo già a preferire un atteggiamento di una persona piuttosto che quello di un’altra. Sì, ma chiediamoci sempre perché.
Un tocco alle corde emotive
Perché con questo cliente mi trovo meglio e con quello peggio? Se riesco a scoprire come, profondamente, certe persone mi toccano le corde emotive, allora posso riuscire ad andare oltre la semplice relazione formale nella quale cerco di risolvere in fretta e bene il caso clinico, e riconoscere che il “caso clinico” davanti a me è un animale col suo umano che lo accompagna che soffre insieme a lui, in un carico di tensione che inevitabilmente mi travolge. In alcuni momenti potrei trovarmi in una situazione che umanamente riuscirei a gestire solo dicendo a me stesso “farò quel che posso”.

Ecco, forse in “quel che posso” sta la pazienza attiva ed equilibrata, addirittura “saggia” potremmo dire. Se io mi considero parte della relazione, allora sarò paziente anche con me stesso e consapevole dei miei limiti, e così mi verrà più facile essere paziente anche con l’altro.
Il paziente
Se ci pensiamo, poi, tutti coloro che hanno a che fare con le professioni legate alla salute hanno a che fare coi “pazienti”. È un termine talmente di uso comune che spesso nemmeno si riflette sul reale significato della parola. Queste persone, quando giungono da noi con i loro beniamini, stanno già male, “patiscono” già da un po’ di tempo delle preoccupazioni e sono lì da noi e con noi perché hanno urgenza, hanno paura e vorrebbero essere ovunque ma non in una sala visite, poiché per loro può essere un luogo associato al dolore.
Vorrebbero che il professionista risolvesse la situazione velocemente perché hanno desiderio di ritornare serene, ritrovare la calma e la normalità. Ricordiamoci che esse stanno già facendo un esercizio inconsapevole di pazienza, nell’accezione di sopportazione, ma anche di pathos (sofferenza) che il termine evoca.
Tornando alla nostra signora Patty, forse lei è così spaventata da quello che può capitare al suo Otello, unico compagno di vita, che il solo modo che ha per togliersi la paura che lui soffra è passare davanti a tutti per risolvere le sue angosce il prima possibile.
Allora, forse, se comprendo che davanti a me c’è solo una persona spaventata, potrò attuare delle strategie relazionali per farle capire che ci occuperemo della malattia di Otello e di tutte le emozioni che gravitano attorno a questa, come sta cercando di fare con “santa pazienza” il dott. Rossi.
Di seguito le altre avventure disponibili del dott. Rossi alle prese con le sfide della vita da veterinario: