Un’analisi critica della fase attuale di post-emergenza Covid-19 non per ricercare responsabilità personali, ma per individuare i limiti culturali che hanno portato a deficit organizzativi. A cura di Pasqualino Santori, presidente dell’Istituto di Bioetica per la Veterinaria e l’Agroalimentare.

La piccola e antica Repubblica di San Marino non è affatto piccola, ed è molto moderna quando si tratta di Bioetica, tanto che nel 2024 è stata sede del 14° Global Summit dei Comitati Nazionali di Bioetica1 promosso da OMS e Unesco. La ragione, oltre alle indubbie capacità della presidente Maria Luisa Borgia, risiede nel riconoscimento della qualità dei documenti prodotti (https://bioetica.sm/) e nella loro diffusione nel mondo tra le autorità sanitarie che interpretano la bioetica come disciplina indispensabile per il reale raggiungimento degli obbiettivi socio-sanitari e di sviluppo civile che in genere tutte le amministrazioni si prefiggono.

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Le questioni riguardanti gli animali e la Veterinaria sono comparse in modo puntuale e significativo in molti dei documenti che hanno raggiunto visibilità mondiale attraverso OMS, Unesco e Consiglio d’Europa.

Un’analisi critica del fenomeno Covid-19

A luglio è stato approvato e pubblicato il documento: “La pandemia a distanza: effetti indiretti”. Si tratta di una prima analisi critica del fenomeno Covid-19, trattato non solo come “evento globale speciale sanitario” ma anche in tutti gli altri aspetti, quasi infiniti, dall’economico, al sociale, al pedagogico, al politico in senso proprio ecc. che poi gestiti relativamente bene hanno ricondotto a difficoltà nel trattare anche l’originale problema sanitario.

L’esplosione della “esitanza vaccinale”, andata oltre il prevedibile proprio nell’occasione in cui il vaccino era indispensabile, è probabilmente dovuta al modo in cui gli eventi sono stati proposti e interpretati nella loro complessità. Causa di un primo ostacolo a una buona comunicazione è la cultura media così come fornita dalla scuola, inadatta ad affrontare la “complessità” in senso tecnico, che richiederebbe almeno la conoscenza del metodo scientifico e della sua evoluzione da positivista- ottocentesca a novecentesca-moderna sotto l’influsso del pensiero di Popper e continuatori.

Sintetizzo l’utilizzo pratico per la ratio del presente articolo: “la scienza non produce verità ma è il modo largamente migliore di conoscere le cose”. Le decisioni devono essere poi della buona politica (alle lunghe funziona meglio quella delle liberal-democrazie che non quella delle dittature) magari dopo il lavoro pre-politico della buona bioetica fatto con il contributo della migliore produzione scientifica in rapporto colle discipline sociali e umanistiche.

A questo documento è sperabile che negli anni ne seguiranno degli altri e si spera che tutti accettino l’approccio della bioetica, conciliante non per “debolezza di pensiero”, ma per “larghezza di pensiero”, per capacità di “pensiero complesso” nella certezza che il primo dei valori sociali sia la convivenza pacifica anche nelle contrapposizioni di diverse visioni. Prima della “normalizzazione” e la dimenticanza, lo sviluppo della riflessione sul fenomeno dovrebbe essere visto come un punto chiave per la revisione del modo contemporaneo di essere Società in tempi di globalizzazione non più solo pacifica come nei decenni scorsi, ma evoluta verso numerosi conflitti se non vere guerre.

Estratto dal documento: “La pandemia a distanza: effetti indiretti” presentato al14° Global Summit dei Comitati Nazionali di Bioetica

La diffusa considerazione morale che riguarda gli animali e la loro incidenza nella vita quotidiana delle comunità e dei singoli individui umani ha portato il CSB (Comitato Sammarinese di Bioetica) a dedicare a questi un’attenzione specifica in parecchi dei suoi documenti. Nel caso del fenomeno Covid-19 gli animali hanno assunto un ruolo ancora più evidente in rapporto al concetto di “One Health”. Pur essendo già presente, forse soprattutto nella quotidianità del veterinario e – meno – del medico, tale visione è assurta a notevolissimi livelli di notorietà pubblica durante la pandemia, tanto da essere ormai comunemente presente, forse con qualche confusione, sulle labbra di comunicatori di professione.

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© Fauzi Muda – shutterstock.com

All’attenzione sociale e alla preoccupazione etica di una corretta convivenza si è quindi aggiunta, in forma ufficiale e politica, anche l’ottica di una comunità biologica di persone immerse in, e strettamente legate a, un ambiente costituito da animali ed esseri viventi e non.

L’origine dell’infezione da SARS-CoV-2 ha tra le sue ipotesi il salto di specie dal pipistrello, complici reali o solo potenziali i mercati del fresco, i cosiddetti “wet market”. Esula dal presente documento la discussione sulla reale origine della pandemia ma da anni viene denunciato un rischio crescente di zoonosi, definite come malattie infettive degli animali trasmissibili all’uomo e viceversa (dati OMS). Nell’ipotizzare l’origine zoonotica della malattia durante le prime fasi della pandemia, tuttora si accusano i grandi allevamenti industriali di aver ristretto sia direttamene sia indirettamente l’habitat delle specie selvatiche facilitando i contatti fra queste ultime e quelle domestiche con la sostituzione di ampi territori naturali con campi coltivati per le foraggere e granaglie.

La promiscuità tra le specie presenti e la scarsa igiene dei wet market avrebbe creato, secondo alcuni, un ulteriore problema nella complessissima relazione “One Health” tra umani, animali e ambiente, a riguardo della quale sono state avviate e dovranno essere ulteriormente sviluppate valutazioni di valenza bioetica circa la modalità più corretta di gestire gli ambienti naturali in rapporto alla crescita della popolazione umana.

Allo stesso tempo sono fiorite e hanno trovato un certo seguito culturale affermazioni apodittiche sulla pericolosità della specie umana tout court, frutto di un moralismo acritico incapace di distinguere tra le possibili, diverse scelte politico-economiche e culturali da compiere in base ai risultati della ricerca scientifica, e una corretta, ampia e fruibile diffusione degli stessi.

Interessanti e da valutare su base socioculturale sono gli approcci moralistici a riguardo di una “natura” che si vendicherebbe con la pandemia riacquisendo i suoi spazi, nella più totale rinuncia al pensiero logico in base al quale la ridotta mobilità delle persone, tesa ad evitare contagi, ha permesso agli animali di esplorare senza remore spazi di solito occupati da attività umane, come è avvenuto, per es., ai delfini nei porti.

In un tale contesto, la Bioetica è chiamata a perseguire in modo sistematico il necessario approfondimento del significato di quanto emerso in relazione agli obiettivi ambientali, sociali ed economici prospettati dalle Nazioni Unite.

Il rapporto umani-animali limitatamente alle specie domesticate è stato altro ambito di attenzione pubblica, spesso come fenomeno di costume. È stato più volte affermato – senza chiare evidenze statistiche – che si sia verificato un netto aumento del numero di cani per nucleo familiare come epifenomeno della necessità di trovare un appiglio legale al desiderio di uscire di casa durante le restrizioni imposte per ridurre i contagi. Al contrario, durante la pandemia e dopo la stessa con il ritorno alle condizioni preesistenti, i veterinari comportamentalisti avrebbero notato un aumento di problematiche relazionali legate alle diverse modalità di vita imposte dall’esterno.

Inoltre, gli animali sono stati più volte presi in considerazione come elementi di trasmissione del contagio, anche solo passivo. Drammatico, in tal caso, quanto avvenuto ai visoni, ampiamente utilizzati in allevamento prima della pandemia per la produzione di pellicce e oggetto di abbattimento sistematico successivamente (stamping out). La questione in sé costituisce un elemento di valutazione bioetica.

Non hanno avuto, invece, il dovuto, ampio riscontro sui giornali, nonostante rappresentino un grave problema sia per gli interessati sia per gli approvvigionamenti alimentari alle comunità umane, le difficoltà strutturali in cui versa il settore del lavoro autonomo nel mondo agricolo e dell’allevamento in particolare. Nel caso di future pandemie che dovessero coinvolgere i gestori, le attività di allevamento e cura degli animali, con le relative attenzioni quotidiane ad alimentazione, parto, mungitura, ecc, più che in altri settori potrebbero produrre danni consistenti all’economia, alla produzione di cibo e all’impostazione stessa della società e della convivenza fra esseri umani e animali.

Quanto appena, per quanto succintamente, accennato dovrebbe suggerire un’attenta analisi post-emergenza per la formulazione di adeguate, stabili misure alla base di futuri piani utili ad affrontare in modo efficace le nuove pandemie.

Un buon esempio di come trattare la complessità

La particolarità ulteriore del documento deriva dall’approccio a una problematica così complessa senza ricercare responsabilità individuali, ma analizzando che tipo di cultura ha reso possibili, a livello di alta amministrazione della cosa pubblica mondiale e locale, le carenze, i ritardi, le disattenzioni, la mancanza di cura e responsabilità che proprio l’evento della pandemia ha reso evidenti. Tanto da poter rendere reale quello che si diceva a febbraio-marzo 2020, “le cose non saranno più come prima” intendendo, immagino, che dopo sarebbero migliorate.

Il metodo applicato è quello della “bioetica dei disastri” che divide nelle tre fasi l’affrontare attività e impegni:

  • A) pre-emergenza
  • B) emergenza
  • C) post-emergenza

La divisione delle tempistiche rende meno impattante emotivamente, quindi razionalizzabile lo stato di emergenza. Un buon esempio di come trattare la complessità. Nella fase attuale di post-emergenza è necessario fare un’analisi di cosa non è andato, di cosa non era stato previsto, di quali elementi sono stati critici. Il tutto con lo stile di non ricercare responsabilità personali ma per individuare i limiti culturali che hanno portato a deficit organizzativi.

Non aver creduto alla reale necessità di avere pronto, disponibile all’applicazione, rodato nella mente di chi riveste ruoli di alta responsabilità, un piano pandemie è elemento da indagare. Una malattia che si potrebbe diffondere per via aerea, molto contagiosa e la cui contagiosità fosse presente prima della comparsa dei sintomi era talmente prevedibile da essere stata prevista.

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© M_Agency – shutterstock.com

Quindi, dove è stata la dimenticanza nel non prepararsi anche per i riscontri economici e tutti gli altri elementi che il documento per intero affronta, conseguenza delle necessarie interruzioni di servizi che un indispensabile distanziamento corporale (chiamarlo sociale fu già un primo errore) prevedibilmente avrebbe richiesto? Rispondere a tutte le domande che nella fase di post-emergenza potranno essere fatte permetterà di creare una migliore pre-emergenza per la futura emergenza di qualsiasi genere possa essere. Un dibattito pubblico e trasparente su questi temi è il mezzo migliore per combattere polarizzazioni e contrapposizioni, almeno quelle intellettualmente oneste.

Bioeticisti e politologi

Il ragionamento, poi, relativo alla riconosciuta straordinarietà del fenomeno Covid-19 oltre che dei bioeticisti è affare dei politologi. Perché le misure prese per ragioni straordinarie non si può assolutamente pensare di poterle prendere anche per ragioni meno straordinarie, o addirittura mantenerle in permanenza. Ricordando che parte della straordinarietà del fenomeno Covid-19 è dovuto al non essersi accorti, da parte di chi ne avrebbe avuto il ruolo, che il previsto e non l’imprevisto, quantunque epocale e di enormi dimensioni, si stava realmente realizzando.

  1. San Marino, 17-19/4/24. ↩︎

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