“Essere o non essere” come recitava il principe Amleto (William Shakespeare, XVII sec.), o ancora “Odi et amo” come scriveva Catullo all’incirca nel 55-54 a.C… Esistono tantissimi esempi di dilemmi nella letteratura ma anche nella vita vera; quella clinica particolarmente, che ne è piena tutti i giorni. Potremmo persino ammettere che il dilemma sostanziale della nostra attività ci si presenta all’inizio, quando il nostro paziente viene in visita per sintomi (segni clinici), che in parte ci sono elencati e spiegati dal proprietario e in parte tocca a noi discernerli. Trattasi della diagnosi differenziale.
In breve, il soggetto che è appena entrato in visita è cardiopatico o no? Non è così semplice alle volte attribuire un segno clinico a una malattia. Semplice lo è, per esempio, quando il paziente mostra un segno clinico cosiddetto “patognomonico”, cioè tipicamente e univocamente legato a una precisa affezione (come le orecchie ravvicinate in un cane infettato dal tetano). Nella maggior parte dei casi, tuttavia, facendo una buona anamnesi, raccogliendo elementi affidabili e concreti, si riesce a orientare il sospetto diagnostico e a privilegiare un’ipotesi.
Ma non è sufficiente prima di iniziare un trattamento; bisogna infatti escludere le altre cause degli stessi sintomi. In semiologia cardiologica i segni clinici sono effetto delle alterazioni cardiovascolari e i tre passi dell’esame clinico (ispezione, palpazione e auscultazione) necessitano una finezza e un’esperienza appropriate in quanto l’apparato cardiovascolare è profondo e complesso.
Certo gli esami complementari vengono in aiuto al clinico permettendo di spartire le acque e fornendo elementi di certezza a supporto dell’ipotesi diagnostica. Questi esami però hanno ovviamente un costo, necessitando quindi un momento di analisi finalizzata all’ottimizzazione dei tempi e costi accordati dal proprietario. Non solo; gli esami complementari non sono tutti disponibili alla stessa maniera. Solo per citare un esempio, l’ecocardiografia è un esame altamente tecnico e richiede un’abilità maturata in almeno due-tre anni di pratica, il che lo rende non sempre disponibile nella clinica dove si lavora.
Diagnosi differenziale di fenotipo
Ipocinetico-dilatativo nel cane
- Cardiomiopatia dilatativa primaria: razze predisposte, assenza di comorbidità, non reversibile
e progressiva. - Metabolica: carenza di taurina, alimentazione povera in cereali e ricca in leguminose.
- Ipotiroidismo: associata ad altri segni clinici della malattia endocrina e a un alto valore di TSH e diminuzione di T4.
Ipertrofico nel gatto
- Cardiomiopatia ipertrofica primaria: assenza di comorbidità, irreversibile e progressiva.
- Miocardite infettiva: non sempre reversibile, associata a manifestazioni sistemiche dell’infezione e a un aumento significativo della troponina.
- Ispessimento transitorio: reversibile, secondario a stress o anestesia.
Profilo del cane e del gatto cardiopatico
È così complessa la diagnosi differenziale in cardiologia che torna utile un ripasso del profilo clinico del paziente cardiopatico. Tra il cane e il gatto esistono delle differenze di specie nell’espressione dei segni clinici della malattia cardiaca. Fermo restando che le affezioni cardiovascolari sono multiple e varie, si può nondimeno disegnare il “profilo” del cane e del gatto cardiopatico. Partiamo dal presupposto quindi, che ciò che bisogna identificare sono i segni funzionali di insufficienza cardiaca, la maggior parte delle volte nella forma congestiva e più raramente associata a diminuzione della portata cardiaca.
Il gatto cardiopatico mostra come segni tipici la dispnea e l’anoressia; il cane invece, molte volte presenta tosse oltre alla dispnea o a volte solo la tosse, ma questo dipende dalla concomitanza molto frequente di un’affezione respiratoria cronica, lo dettaglieremo più avanti. Entrambi, cane e gatto, possono manifestare sincope anche detta perdita transitoria di coscienza e proprio questa terminologia può far intuire come diversi scenari eziologici possano causarla.
Dilemmi semiologici: iniziamo dalla tosse
Come abbiamo visto, i tre segni clinici che potrebbero esserci descritti dal proprietario o che potrebbero presentarsi in visita sono: la tosse, la dispnea, l’anoressia e la sincope. Partiamo quindi dal descrivere le varie cause all’origine di questi sintomi, analizzandoli individualmente e per specie.
Tosse nel cane: non un segno di insufficienza cardiaca
Nel cane la tosse non è causata dall’insufficienza cardiaca. In effetti l’edema polmonare non provoca tosse se non quando stravasa nei bronchi, praticamente poco prima del decesso, ma ciò non si verifica per fortuna quasi mai nella pratica della cardiologia clinica. Tuttavia, il riscontro quasi sistematico della tosse in cani con soffio cardiaco di importante intensità è risaputo.
Cosa induce la tosse nel cane? Un articolo di Luca Ferasin1, apparso sul Journal of Veterinary Internal Medicine, spiega bene come la tosse non sia un segno di insufficienza cardiaca e mette in luce il ruolo della broncopatia cronica nel causare la tosse in quei cani che sono tipicamente affetti da malattia mitralica cronica. Ciò è stato dimostrato nello studio pubblicato, mediante analisi retrospettiva di radiografie toraciche ed ecocardiografie e in alcuni casi mediante esami endoscopici delle vie respiratorie in 202 cani con malattia mitralica.
Lo studio ha messo in evidenza un rischio di tosse 4 volte superiore in quei cani che avevano criteri di malattia respiratoria cronica e dilatazione atriale sinistra rispetto a quelli che mostravano criteri di edema polmonare. Questo articolo è stato molto importante per divulgare la dissociazione eziologica della tosse dalla malattia mitralica, proponendo di conseguenza in larga scala ai veterinari l’idea che l’ecocardiografia e la radiografia fosse l’approfondimento diagnostico necessario prima di trattare la tosse con il diuretico.
Quello che fa della tosse il file rouge che lega la broncopatia alla malattia mitralica è la cardiomegalia e soprattutto la dilatazione dell’atrio sinistro che va a comprimere i bronchi principali, in particolare il sinistro. Tuttavia, quei pochi studi alla ricerca di questo fil rouge non sono riusciti a dimostrarlo statisticamente. Vi è poi l’associazione genetica: i cani di razza piccola sono spesso affetti da entrambe le patologie (respiratoria e cardiaca) per una predisposizione di razza. La malattia mitralica è causata da una degenerazione congenita del collagene, e la tracheobroncomalacia da un difetto congenito della cartilagine degli anelli tracheobronchiali.
Ciò premesso, il diuretico non va prescritto a un cane che tossisce senza sottoporlo almeno alla radiografia. Questa, nel caso in cui la comparsa – o il peggioramento – della tosse fosse legata alla cardiomegalia e quindi in relazione all’evoluzione di una malattia mitralica cronica, mostrerebbe una dilatazione atriale significativa associata a una dislocazione dorsale della trachea toracica nel suo ultimo tratto. Se la stessa radiografia permettesse poi anche di escludere l’edema polmonare (cosa che si verifica molto spesso), piuttosto che prescrivere il diuretico l’approccio dovrebbe restare ancora nell’ambito della diagnosi e indurre la richiesta di un’ecocardiografia per scegliere il protocollo terapeutico più adatto.
La radiografia potrebbe in alcuni casi permettere di escludere la cardiomegalia in cane con soffio che tossisce. In questo caso, l’uso dell’ecocardiografia e dei biomarker cardiaci può confermare l’assenza di una malattia cardiaca significativa e orientare il clinico verso una diagnosi di patologia respiratoria in decompensazione, portandolo a un approfondimento diagnostico più centrato sulla malattia respiratoria o toracica.

Infatti, quando siamo di fronte a un segno clinico funzionale d’insufficienza cardiaca bisogna porsi le seguenti due domande: se il paziente ha una malattica cardiaca, e se questa malattia è sufficientemente grave per causare l’insufficienza cardiaca. Le cause di tosse “extra-cardiache” nel cane sono numerose: bronchite, neoplasia, fibrosi polmonare, tracheo-broncomalacia, corpi estranei, verminosi. Pertanto, gli esami diagnostici più adatti variano da ipotesi a ipotesi ma possono spaziare dall’esame coprologico all’endoscopia, alla radiografia dinamica per fluoroscopia, alla TC.
Gatto e tosse cardiaca
Nel gatto è diverso, la tosse non è quasi mai presente in associazione all’insufficienza cardiaca. Spesso è causata da un’affezione respiratoria come la bronchite o l’asma ma può essere anche causata da neoplasia o da parassitosi. Raramente la tosse può essere osservata in concomitanza di una malattia cardiaca. Tuttavia, la malattia cardiaca nel gatto, prendendo l’esempio di quella più prevalente ovvero la miocardiopatia ipertrofica, non si associa alla tosse nemmeno negli stadi più avanzati dell’insufficienza cardiaca.
Eccezionalmente, il versamento pericardico può associarsi a tosse probabilmente per compressione di un volume toracico più esteso rispetto a quello che occuperebbe una dilatazione atriale significativa. Il versamento pericardico può associarsi nel gatto all’insufficienza cardiaca sinistra in corso di miocardiopatia ipertrofica.
La dispnea: gli esami per definirla
Nel cane la dispnea è tipicamente il segno clinico dell’insufficienza cardiaca congestiva sinistra, dell’edema polmonare. Molti di noi hanno visto l’edema polmonare del cane nel primo anno di pratica, magari durante un turno di guardia. Il cane con edema polmonare secondario a insufficienza cardiaca è spesso anche stressato per questo si parla di distress respiratorio. Ciò è dovuto alla componente psicologica, cioè la sensazione di soffocamento, e all’attivazione delle catecolamine a seguito dell’ipossia.
La dispnea, letteralmente, “cattiva respirazione” (dal greco δύσπνοια), indica la difficoltà nella respirazione e questa difficoltà può riguardare la fase inspiratoria piuttosto che quella espiratoria o riguardare entrambe le fasi del ciclo respiratorio; in questo caso è detta dispnea mista. Quella causata dell’edema polmonare nel cane è piuttosto espiratoria (può anche alle volte essere inspiratoria) o mista. In genere all’edema polmonare iniziale si associa un aumento della frequenza respiratoria (tachipnea) quando l’edema è localizzato a livello interstiziale. Invece in corso di progressione, quando l’edema passa nello spazio alveolare, la dispnea si aggrava e può associarsi a cianosi all’ispezione e a rantoli a piccole e medie bolle all’auscultazione toracica.
Questi segni clinici possono essere osservati nel cane anche in corso di altre affezioni, in particolare respiratorie. Per fare l’esempio più comune di diagnosi differenziale di dispnea, cianosi e crepitii polmonari nel cane si può citare il caso della fibrosi idiopatica polmonare. Si tratta di una malattia che ha un’associazione o predisposizione nel West Highland white terrier, nel Jack Russel terrier e nel Pechinese ma può essere osservata anche in altre razze terrier come lo Yorkshire, per esempio. La fibrosi polmonare si presenta clinicamente in maniera simile all’edema polmonare; pertanto, l’esame diagnostico che dovrebbe essere richiesto per primo è la radiografia per escludere l’edema polmonare in quei cani che presentano soffio cardiaco.
La radiografia permetterebbe allora di emettere una prima diagnosi differenziale escludendo o confermando la presenza di edema. Se l’edema è presente, si ricorrerà all’ecocardiografia e/o all’uso di analisi ematologiche per il dosaggio del biomarker della malattia cardiaca, cioè il frammento ammino-terminale del pro-peptide natriuretico di tipo B (NT-proBNP): se superiore a 1.500 pmol/L, indica un rischio importante di insufficienza cardiaca e confermerebbe quindi di propendere verso la causa cardiaca di dispnea.
In caso contrario dovrebbero essere cercati alla radiografia i criteri di fibrosi polmonare. Questi non sono sempre oggettivabili, in generale si tratta di un pattern interstiziale caratterizzato nei casi più flagranti da un’opacizzazione netta dello stroma polmonare. In genere si può osservare una preminenza della silhouette cardiaca craniale nel cliché laterale, con un aumento del contatto margino-sternale cardiaco.
L’ecocardiografia se necessaria potrebbe confermare l’ipotesi di un edema non cardiogenico legato alla fibrosi polmonare idiopatica o giusto escludere la presenza di un’affezione cardiaca evoluta allo stadio dell’insufficienza cardiaca. Ciò è possibile evidenziando dei segni di ipertensione polmonare significativa, quali un rigurgito tricuspidale di velocità aumentata (ben al di sopra di 2,8 m/s), una dilatazione delle cavità destre, un aspetto a triangolo rettangolo del flusso polmonare che pur rimane laminare, un’insufficienza della valvola polmonare di velocità aumentata (ben al di sopra dei 2,2 m/s), per citarne alcuni.
Distinguere le classi di ipertensione polmonare
Proprio quando si parla di ipertensione polmonare e si riescono a metterne in evidenza i criteri ecocardiografici, il concetto di diagnosi differenziale si ripropone. Infatti esistono due grosse classi fisiopatologiche di ipertensione polmonare e distinguere tra le due permette di scegliere l’approccio terapeutico più adatto anche nel contesto di quadri clinici complessi o misti (concomitanza di malattia cardiaca e respiratoria).
L’ipertensione polmonare post-capillare è quella che si verifica in corso di malattie cardiache associate a dilatazione e sovraccarico pressorio dell’atrio sinistro e quindi del circolo polmonare venoso, mentre l’ipertensione polmonare pre-capillare invece è associata a malattia respiratoria, o toracica e si associa a sovraccarico del circolo arterioso polmonare e del ventricolo destro.
È oramai assodato che il trattamento sintomatico dell’ipertensione polmonare consiste nella somministrazione di sildenafil, un inibitore della fosfodiesterasi V che ha un potente effetto vasodilatatore e del quale traggono vantaggio soprattutto i pazienti affetti dalla forma pre-capillare sintomatica.
Va da sé che l’ecocardiografia, benché sia uno strumento di grande utilità in ragione della sua non-invasività, ha comunque dei limiti legati al fatto che non permette di misurare le pressioni polmonari in modo preciso come farebbe invece uno studio emodinamico mediante cateterismo cardiaco. Alcuni autori si sono pertanto cimentati a studiare ed eleggere dei parametri e misure ecocardiografiche che permettano di identificare questa seconda forma d’ipertensione polmonare. In uno studio apparso su Frontiers of Veterinary Science nel 20222, un gruppo di cardiologia di Liegi (Belgio) ha dimostrato che mediante uno score su 10 punti, corrispondenti a 10 parametri clinici ed ecocardiografici, anche un non-cardiologo può riuscire a mettere in evidenza l’ipertensione polmonare pre-capillare.
La dispnea nel gatto
Nel gatto la dispnea è spesso l’unico segno clinico di insufficienza cardiaca. Spesso si associa a disoressia o anoressia e ad apatia e diminuzione dell’attività. Il gatto dispnoico è meno spesso stressato rispetto al cane e presenta un comportamento più remissivo. Non è raro osservare un cambiamento di comportamento sostanziale, specie in quei pazienti che sono in generale più difficili da approcciare ed esaminare a causa della paura o dell’aggressività nei casi peggiori. Il gatto dispnoico, infatti, diventa d’un tratto più approcciabile all’esame clinico. Naturalmente ciò dipende anche dal grado di severità della dispnea.
Gli esami strumentali come il prelievo ematico o la radiografia che impongono una contenzione importante sono in genere sconsigliati in questi pazienti perché a rischio di provocare un’insufficienza respiratoria grave e letale in alcuni casi. L’approccio è quindi conservativo ed essenziale.
La differenza nella gestione dei pazienti felini rispetto ai cani dispnoici è data dal fatto che più spesso l’insufficienza congestizia sinistra nel gatto si manifesta con versamento pleurico, rispetto all’edema polmonare che è invece tipico nel cane. Questa è una specificità del gatto, nel cane invece il versamento pleurico di origine cardiaca è esclusivamente espressione di insufficienza cardiaca destra.
Di conseguenza nel gatto, tenuto conto anche dei rischi legati alla contenzione, in generale un’ecografia superficiale toracica orientata permette non solo di confermare la presenza di versamento pleurico ma anche di prelevarlo e drenarlo mediante toracocentesi. In questi pazienti, infatti, il solo trattamento diuretico può non essere sufficiente a risolvere la dispnea a causa proprio del versamento, il cui drenaggio invece permette un miglioramento sintomatologico immediato.

Altre cause di versamento pleurico nel gatto
Nel gatto però esistono diverse altre cause di versamento pleurico oltre a quella cardiaca, perciò l’identificazione o l’esclusione di quest’ultima è fondamentale per l’attuazione di una terapia adeguata. Le cause “extra- cardiache” più comuni di versamento pleurico nel gatto comprendono il chilotorace (idiopatico) e il corpo estraneo o trauma con piotorace, quella tumorale, la peritonite infettiva da coronavirus, e altre meno comuni come l’ernia diaframmatica e la torsione di lobo polmonare.
Di conseguenza è essenziale determinare se esiste una malattia cardiaca, più spesso una miocardiopatia e se questa miocardiopatia è abbastanza avanzata per causare insufficienza cardiaca. Teoricamente la dilatazione atriale sinistra o la dilatazione biatriale potrebbero supportare l’origine cardiaca ma non è sempre così facile stabilirlo. Infatti, spesso il versamento pleurico causa un’ipertensione polmonare e una dilatazione cardiaca destra secondaria. Inoltre, come è stato detto sopra, l’approccio al gatto dispnoico spesso non può farsi in maniera prolungata e puramente diagnostica e l’ecocardiografia completa è da evitare.
In questi casi torna di grande utilità il dosaggio del biomarker cardiaco NT-proBNP che si è dimostrato altamente specifico anche se dosato nel versamento. Il gruppo cardiologico del Royal Veterinary College di Londra ha pubblicato uno studio3 nel 2013, che ha dato nel sangue un cut-off di 214,3 pmol/mL con una sensibilità dell’86,4% e una specificità dell’88,9% e nel versamento pleurico un cut-off di 322,3 pmol/ mL con una sensibilità del 100% e una specificità del 94,4%.
Nel gatto questo biomarker ha un ruolo che potremmo definire cruciale in quanto permette di distinguere una dispnea di origine cardiaca da una extra-cardiaca. Può quindi far parte in piena legittimità del primo approccio al gatto dispnoico in quanto verrebbe dosato nel prelievo effettuato durante l’atto terapeutico della toracocentesi.
Il terzo dilemma diagnostico: la perdita di coscienza
La perdita transitoria di coscienza è un altro grande dilemma diagnostico. Nell’aggettivo transitorio esiste già un criterio differenziale. Infatti, perdite di coscienza non transitorie, cioè prolungate, possono verificarsi in corso di coma, di ipossia e di ipoglicemia. Le eziologie della perdita di coscienza transitoria sono molteplici ma possono riassumersi in due grandi classi anatomiche, quella cardiovascolare, la sincope, e quella neurologica, l’epilessia.
La sincope
La sincope è caratterizzata da un’interruzione transitoria del flusso cerebrale ovvero un’ipoperfusione cerebrale. Il flusso cerebrale rappresenta circa il 15% della portata cardiaca e dipende dalla pressione arteriosa e quella venosa. Pertanto, qualsiasi fattore in grado di cambiare uno di questi due parametri è in grado di condizionare il flusso cerebrale e potenzialmente causare sincope. È dunque facile dedurre che un disturbo del ritmo cardiaco o una disfunzione sistolica così come una stasi venosa o una vasodilatazione arteriosa possono anch’esse contribuire alla sincope.
Tuttavia, raramente la perdita transitoria di coscienza può essere osservata in cani con una marcata sindrome brachicefalica a causa di un’ipossia transitoria in genere sotto sforzo. L’anamnesi dovrebbe in caso di sincope essere molto meticolosa in modo da mettere in evidenza delle possibili caratteristiche tipiche e differenziali.
L’epilessia
L’epilessia è quasi sempre preceduta da una fase detta “aura” durante la quale l’animale appare disorientato o manifesta un cambio improvviso del comportamento, e seguita da una fase post-ictale che fa seguito alla perdita di coscienza e che in genere è caratterizzata da una debolezza profonda e prolungata, da qualche minuto a due-tre ore.
Le manifestazioni della crisi possono invece essere sovrapponibili tra la causa cardiaca e quella neurologica. Infatti, l’ipossia cerebrale che si produce durante una sincope di origine cardiovascolare può dare luogo a segni clinici quali l’opistotono o le contrazioni tonico-cloniche dei muscoli degli arti, più raramente emissione di feci o urina. In genere però non si osservano ptialismo, nistagmo e movimenti masticatori che sono invece tipici dell’epilessia.
Le cause cardiovascolari
Ritornando alle cause cardiovascolari, queste sono molteplici ma possono riassumersi nelle due forme principali: quella neuromediata e quella cardiaca.
La prima forma è causata da una risposta esagerata del sistema nervoso autonomo che può indurre una vasodilatazione (vasodepressiva) a causa di una diminuzione del tono simpatico e una bradicardia (cardioinibitoria) per aumento del tono parasimpatico. Le due situazioni possono verificarsi simultaneamente a causa, per esempio, di stimoli barorecettoriali come lo stimolo dei seni carotidei, oppure in situazioni rappresentano degli stimoli vagali come la tosse, la defecazione, o alle volte dei processi acuti infiammatori e algici dell’addome come la pancreatite, l’enterite con peritonite ecc.
Delle forme neuromediate o riflesse fa parte anche il riflesso di Bezold-Jarisch che scatena le stesse alterazioni summenzionate a partire da uno stimolo dei mecanocettori situati nelle pareti ventricolari destre e sinistre. Un’eccessiva stimolazione di questi recettori può verificarsi in corso di ipovolemia per un meccanismo definito “contrazione a camera vuota”, e anche nei quadri ipertrofici secondari alle stenosi aortica e polmonare. Anche l’ipertensione arteriosa può causare dei riflessi vagali che possono scatenare una sincope riflessa.
La sincope cardiaca invece è quella tipicamente causata da asistolia o bradicardia prolungata. Sono sufficienti 6 secondi di interruzione del flusso cerebrale per causare ipoperfusione cerebrale e sincope nel cane a riposo, probabilmente anche meno se l’animale sta facendo attività intensa. Nel gatto questi tempi possono essere leggermente più lunghi (8-10 secondi), probabilmente per il fatto che il gatto è in genere più piccolo del cane e rispetto a quest’ultimo ha un istinto di auto-preservazione più pronunciato.
Cosa causa allora questa interruzione di flusso per un tempo così lungo? Senz’altro l’asistolia, cioè l’assenza di battito cardiaco. Un’asistolia così lunga si verifica per esempio in caso di arresto sinusale tipicamente nel contesto di malattia del nodo del seno; o ancora in corso di blocco atrioventricolare di grado avanzato ovvero di secondo grado avanzato, o terzo grado quando il ritmo di scappamento che sostiene la portata cardiaca, si interrompe improvvisamente senza un motivo specifico.
Nel gatto più spesso che nel cane si può verificare il blocco atrioventricolare parossistico che è sempre un blocco di secondo grado avanzato che si può reiterare più volte a distanza di pochi minuti e per alcune ore e causare manifestazioni cliniche molto simili all’epilessia a causa dell’ipossia cerebrale che accompagna queste asistolie ripetute.
Nel gatto (più che nel cane), la sincope può essere causata raramente anche dalla tachicardia che sia ventricolare o sopraventricolare. Perché una tachicardia induca ipoperfusione cerebrale, essa dovrebbe essere molto rapida. In letteratura e nell’esperienza dell’autore, la sincope può essere osservata nel gatto quando la frequenza cardiaca supera i 300 bpm per la ventricolare e i 375 per la sopraventricolare. Tuttavia, occorrono a volte molti secondi o minuti perché la sincope si verifichi. Ciò probabilmente perché la bassa portata non si verifica nei primi istanti della tachicardia ma soprattutto se questa è sostenuta.
Nel caso dei blocchi atrioventricolari, per emettere diagnosi è sufficiente un esame ECG.

Per la malattia sinusale e la tachicardia bisogna ricorrere all’esame Holter di 24 ore. Quest’ultimo è particolarmente utile per la diagnosi di malattia sinusale in quanto permette il conteggio e la quantificazione precisa delle pause sinusali e del blocco atrioventricolare spesso associato.
Invece per le sincopi riflesse il challenge diagnostico è più complesso. Infatti, le sincopi possono verificarsi in maniera sporadica e occasionale quando gli stimoli sopraggiungono: ci sono pazienti che hanno sincope una volta al mese durante cicli di riacutizzazione di gastro-enterite cronica; in questi casi l’Holter di 24 ore difficilmente risulterà diagnostico. Esistono però dispositivi che possono essere impiantati sottopelle e che sono in grado di percepire il segnale elettrico cardiaco in maniera permanente, e che possono attivarsi automaticamente in caso di percezione di pause o di tachicardia, ma possono ugualmente registrare dei minuti di ECG su comando del proprietario dell’animale nel momento in cui quest’ultimo divenisse sintomatico.
- Ferasin L, Linney C. Coughing in dogs: what is the evidence for and against a cardiac cough? J Small Anim Pract. 2019;60(3):139-145. doi: 10.1111/jsap.12976. ↩︎
- Lyssens A, Lekane M, Gommeren K, Merveille AC. Focused Cardiac Ultrasound to Detect Pre-capillary Pulmonary Hypertension. Front Vet Sci. 2022;9:830275. doi:10.3389/fvets.2022.830275 ↩︎
- Humm K, Hezzell M, Sargent J, Connolly DJ, Boswood A. Differentiating between feline pleural effusions of cardiac and noncardiac origin using pleural fluid NT-proBNP concentrations. J Small Anim Pract. 2013;54(12):656-661. doi:10.1111/jsap.12152. ↩︎