Nessuno vuole più lavorare con gli animali da reddito e anche il settore degli animali da affezione registra una generale crisi dell’offerta di professionisti a causa di condizioni di lavoro e di retribuzione non sufficientemente attrattive o soddisfacenti.
Il sovraccarico di lavoro dei veterinari che restano in attività può raggiungere soglie di burnout e creare disaffezione verso la professione: nel 2023 il 59% dei veterinari europei ha dichiarato di lavorare “troppo” e tra le donne si registra il mancato rientro nella professione dopo la maternità.
Il Rapporto FVE Workforce Shortage of Veterinarians 2024 riassume in sette punti le cause della mancanza di veterinari e del mismatch tra una domanda e un’offerta di lavoro che fanno fatica ad incontrarsi:
- scarsa attrattività delle aree rurali
- preferenza ad esercitare per gli animali da compagnia
- difficoltà economiche del settore agro-zootecnico
- difficoltà ad avviare un’attività che risulti redditizia
- aumento delle corporates nella professione veterinaria
- condizioni di lavoro insoddisfacenti
- calo delle assunzioni/committenze nel settore pubblico
Questi dati spiegano, in parte, la crescente carenza di veterinari anche nelle strutture per animali da compagnia; molti ospedali o cliniche hanno interrotto il servizio di apertura 24 ore su 24. Molte cliniche veterinarie vorrebbero assumere forza lavoro aggiuntiva, ma faticano perché le condizioni (retribuzione, carico di lavoro, ecc.) che possono offrire non sono sempre allettanti.
In Italia ci sono attualmente circa 26.600 veterinari attivi. Negli ultimi anni, sono aumentati i posti disponibili per studenti del primo anno nelle Facoltà di Veterinaria (da 759 nel 2019 a 1.080 nel 2022), e una nuova Facoltà è stata istituita a Roma. Nello stesso periodo, si è registrata una tendenza al ribasso delle nuove iscrizioni alla FNOVI (940 nel 2019, 689 nel 2022) e un aumento delle richieste di cancellazione (488 nel 2019, 546 nel 2022).
Si riscontra una crescente difficoltà a coprire i posti vacanti in tutti i settori, sia nel campo dei grandi animali che in quello dei pet. Perché sta accadendo tutto ciò? La tesi che vogliamo dimostrare è che la professione veterinaria è diversa da tutte le altre e che i veterinari hanno un comune denominatore che li differenzia dagli altri professionisti.
Perché diventare veterinario?
Iniziamo col rispondere a questa domanda: perché mai un/a ragazzo/a alle scuole medie o anche prima si mette in testa di voler fare il veterinario? Chi decide di fare l’avvocato, l’ingegnere, il ristoratore, il geometra, il ragioniere ecc. pensa a un lavoro che gli darà da vivere più o meno agiatamente, ma non è questo il ragionamento che fa quel/la ragazzo/a. Anzi, non fa nessun ragionamento. È una vocazione, una suggestione fortissima generata dai cartoni della Walt Disney & Co, co-generatori dell’attuale animalismo, che hanno forgiato almeno quattro generazioni di amanti degli animali.
E una parte di questi giovani cresciuti a latte e Dalmatians vede del tutto naturale assecondare questa pulsione studiando per diventare veterinario. Chi intraprende questa difficile strada ha quasi sempre in mente un obiettivo subconscio che lo assimila agli altri colleghi: salvare la mamma di Bambi. Cioè a dire curare e guarire a tutti i costi gli animali protagonisti dei cartoni animati.
Non c’è niente di razionale in tutto questo. E quando il nonno chiede al nipote cosa vuole fare da grande e questi risponderà il veterinario, è come se dichiarasse il proprio amore per un’altra persona. Meglio dire innamoramento secondo la lettura di Francesco Alberoni. Quello “stato nascente” in cui tutto sembra meraviglioso.1

E allora come può il nonno, che pur lo avrebbe voluto ingegnere, mettersi di traverso di fronte al nipote innamorato? Sa che non sarà una passeggiata di salute ma di fronte alla passione non osa andare oltre un: “se ti piace fare il veterinario, fallo pure”. E qui cade un macigno virtuale spaventoso. Come fa il ragazzo a sapere che gli piacerà fare il veterinario? Infatti, non lo sa. Sa solo che così finalmente potrà “salvare” tutti gli animali del mondo.
Beninteso, pochi teenager sanno se a loro piacerà avere che fare con bilanci e partite doppie o con leggi, codici e codicilli. Sanno che quelle professioni probabilmente daranno loro da vivere bene, con una buona considerazione sociale e non si fanno troppe domande. Coinvolgimento emotivo bassino. Nel futuro veterinario queste motivazioni così prosaiche non ci sono, l’unico sogno è quello di poter lavorare con e per gli animali.
Certo, durante il corso di studi qualche perplessità affiora quando egli entra nella sala necroscopie e affronta il gruppo di esami afferenti all’anatomia patologica. Ma è un rospo da inghiottire se vogliamo arrivare all’agognato traguardo. “Tanto“, pensa il ragazzo, “io li salverò gli animali“. La passione è così grande che non si pensa ad altro. Arriva il giorno della laurea che è una festa per tutta la famiglia, anche e soprattutto per il nonno che da lontano ha seguito tutto il percorso del nipote e lo vede felice.
Le strade possibili della professione
Il neodottore è sempre in pieno “stato nascente”, anzi è al suo apice, perché da quel momento accadranno delle cose che cambieranno comunque la sua esistenza. Sempre con in mente Alberoni possiamo imboccare tre strade possibili.
- I Soddisfatti. Dallo stato nascente dell’innamoramento (il movimento), dopo aver superato delle prove cruciali (i punti di non ritorno) si passa all’amore, che è una condizione stabile (l’istituzione) e, nel nostro caso, soddisfacente. È l’evoluzione più auspicabile che non è data per sempre, perché va coltivata, ma è estremamente gratificante, se sufficientemente redditizia. Fra i soddisfatti mettiamo anche quei giovani che emigrano all’estero dove le condizioni di lavoro, non solo economiche, sono migliori.
- I Delusi. Oppure può capitare che le prove cruciali non vengano superate e l’innamoramento non si converta in amore con conseguente delusione e senso di frustrazione. Ne consegue l’abbandono della professione. I punti di non ritorno sono, tipicamente, la prima eutanasia e la presa di coscienza che non tutti gli animali si possono salvare. Questa evoluzione, oggi in crescita preoccupante, è percorsa da molti giovani che preferiscono intraprendere carriere lontanissime da quella che avevano sognato e che, alla prova dei fatti li aveva traditi.
- Gli Assuefatti. O, ancora, terza possibilità non pensata da Alberoni, è quella in cui non c’è il passaggio dall’innamoramento all’amore, dallo stato nascente all’istituzione, e i punti di non ritorno si rivelano delle trappole diaboliche che non riusciamo a interpretare, ma si continua, malgrado tutto, ad esercitare in proprio, da titolari di struttura, una professione che non si ama più. Come un matrimonio finito in cui i coniugi continuano a convivere sotto lo stesso tetto. È un lasciarsi vivere senza gioia né entusiasmo. Questo porta alla lunga a uno stress cronico che mina inevitabilmente la vita di questo veterinario che ha scelto di non scegliere.
Ma il fattore che più incide sul livello di soddisfazione, è riuscire a trasformare la passione dell’innamoramento ante-laurea, quand’anche maturato felicemente in un’appagante pratica ambulatoriale, in un business sostenibile e redditizio.
Escluso il secondo gruppo, formato per lo più da giovani collaboratori, la questione tocca i veterinari del primo e del terzo gruppo e in particolare i titolari di struttura. Con una differenza sostanziale. Nei primi la passione è lo stimolo che motiva la crescita imprenditoriale, ma nei terzi – ecco il punto – il buon andamento economico dell’attività professionale può compensare l’effetto “timbra il cartellino” che farebbe della professione veterinaria un lavoro qualsiasi, quando non lo è affatto?
Quello del veterinario è veramente il lavoro più bello del mondo. Ma a due condizioni:
- che non venga mai meno la passione
- che abbia una redditività sufficiente a garantire il tenore di vita desiderato
Fuori dai denti, non si diventa veterinari – o meglio, pet practitioner – per fare i soldi. Lo si diventa per rincorrere il sogno di cui sopra. Un sogno che non ha prezzo – dice qualcuno – ma che, quando questo prezzo diventa troppo elevato, rischia di diventare un incubo.
Il 62% delle 8.410 strutture veterinarie italiane è mono titolare e impiega uno o due collaboratori (dato Anmvi 2023); vale a dire che circa 5.000 veterinari lavorano per lo più da soli nel proprio ambulatorio. Quanti sono quelli felicemente sposati con la professione da cui traggono anche una gratificazione economica? Li troviamo nel primo gruppo e comprendono la generalità delle strutture complesse in cui è vitale produrre utili visti gli ingenti costi di esercizio, e in parte negli ambulatori ben gestiti. Diciamo che quasi la metà delle strutture sta in questo gruppo.
Ora prendiamo la curva di Rogers dell’innovazione – dove per innovazione si intenda l’alfabetizzazione imprenditoriale – e applichiamola alla nostra ipotesi. Nella metà di sinistra della gaussiana vi sono gli innovators, il 2,5% della popolazione (7.000 nel 2014, 8.410 nel 2023); in seconda battuta arrivano gli early adopters, il 13,5% della popolazione. Rapportando il numero delle strutture di dieci anni fa alle attuali 8.410, possiamo stimare che oggi le strutture gestite secondo le best practice imprenditoriali siano circa 2.500, cioè tutte le cliniche e ospedali (1.170) più circa 1.400 ambulatori e studi che rappresentano la metà della early majority.

Naturalmente è solo una congettura ma, se l’ipotesi fosse vera, in questo momento potremmo stimare che il 33% delle strutture abbia una gestione appropriata. Questo significa che due su tre dovrebbero ancora uscire dalla caverna e attrezzarsi a modo per confrontarsi con l’economia reale. Tuttavia sembra che vi sia uno zoccolo duro dei titolari di struttura refrattario a evolvere verso un cultura imprenditoriale.
Ma quanti di questa maggioranza poco reattiva farebbero parte del gruppo degli Assuefatti e quanto siano effettivamente interessati a crescere? Se gli Assuefatti fossero i soli laggards, cioè 1.300-1.400, sarebbe ancora accettabile, il bacino di espansione della platea dei quasi-Soddisfatti da alfabetizzare sarebbe ancora importante cioè il 40% vale a dire 3.400 titolari fra la metà degli early e tutti i late majority. Ma se gli Assuefatti fossero molti più del 16% verrebbe ad assottigliarsi quel 40% di potenziali Soddisfatti, e questo sarebbe un problema.
Perché, se tutto ciò è vero, i veterinari italiani sarebbero in così gran misura refrattari a impegnarsi in un percorso di crescita imprenditoriale?
Il caso italiano: tra interesse personale limitato…
La risposta può arrivare dalla combinazione di due fattori eccezionali e inimmaginabili.
Una possibile ragione, riguarda tutti i veterinari, non solo quelli italiani, ed è illustrata nel lavoro The unintended detrimental effects of pursuing a professional vocation: the case of veterinarians del 2023.2 “Perseguire la propria vocazione può essere appagante a livello personale e gratificante a livello professionale, ma richiede anche sacrificio. Forniamo la prova di una forte spinta professionale utilizzando studenti veterinari come caso di studio e scopriamo che contribuiscono volentieri con donazioni monetarie più elevate per aiutare gli animali rispetto agli studenti di altri campi.
Abbiamo anche riscontrato una significativa riduzione delle funzioni cognitive degli studenti veterinari quando esposti a una manipolazione di un paziente animale. Le funzioni cognitive degli studenti non veterinari non sono influenzate dalla manipolazione di un animale in difficoltà. I nostri risultati evidenziano la necessità di programmi per affrontare il benessere economico, finanziario e di salute mentale di studenti e professionisti per promuovere un impegno professionale sostenibile.”
Sembra incredibile, ma dai risultati della survey emerge che nel trattamento di animali in difficoltà, le prestazioni cognitive degli studenti veterinari sono state ridotte del 25,8% mentre quelle degli studenti non veterinari sono rimaste inalterate. I risultati di questa survey suggeriscono anche che i futuri studenti veterinari siano non del tutto motivati finanziariamente. Questo comportamento altruistico è stato etichettato dagli economisti comportamentali come “interesse personale limitato”, un termine che indica come le persone spesso sacrificano i propri interessi per aiutare gli altri o, nel caso dei veterinari, per aiutare gli animali.

Dunque, il veterinario investirebbe così tante energie nella cura degli animali da risultarne deprivato sia sul piano fisico che su quello intellettuale al punto di non trovare il verso di pensare ad altro. Con tutte le cautele necessarie su un lavoro unico nel suo genere, resta il fatto che la circostanza è molto suggestiva e darebbe ragione della tesi iniziale. La professione veterinaria è effettivamente diversa da tutte le altre e i veterinari hanno un comune denominatore che li differenzia dagli altri professionisti, cioè l’interesse personale limitato.
… e analfabetismo funzionale in aumento
Un altro fattore, che riguarda noi italiani, è il cosiddetto analfabetismo funzionale. All’analfabetismo storico che nel 1951 era ancora del 12,9%, per scendere al 2,1% solo nel 1991, è succeduto quello che oggi chiamiamo funzionale, e che vede crescere nella popolazione la difficoltà di comprendere una realtà sempre più complessa per rinchiudersi in quelle gabbie cognitive meglio note come social media.
Nel nostro Paese, il 28% della popolazione è “analfabeta funzionale”, solo la Turchia fa peggio.3 Cioè, quasi tre italiani su dieci non riescono a capire completamente un articolo di giornale. E il dato è in aumento.
Queste premesse introducono lo scenario in cui ci muoviamo e che è fondamentale per capire la nostra realtà. Perché un veterinario, come tutti, è figlio del suo tempo e della società in cui vive. La combinazione dell’interesse personale limitato e dell’analfabetismo funzionale, dunque, sembrerebbe agire in maniera pesante e decisiva su molti veterinari italiani facendone una categoria debole e fragile.
Se tutto quello che abbiamo scritto makes sense, come se ne esce? Ci affidiamo al solito darwinismo sociale o affrontiamo il problema a livello strutturale? Selezione naturale o mutuo appoggio?
- Movimento e istituzione (1977); Innamoramento e amore (1979) ↩︎
- Palma MA, Zhang P, Cornell K, Salois M, Bain B, Neill C. The unintended detrimental effects of pursuing a professional vocation: The case of veterinarians. PLoS One. 2023;18(5):e0284583. Published 2023 May 10. doi:10.1371/journal.pone.0284583 ↩︎
- In Italia il 28% è “analfabeta funzionale”. Tra i popoli meno istruiti del mondo – La Discussione ↩︎