Negli ultimi anni il microbiota intestinale è stato protagonista di molte ricerche in campo umano e veterinario: è emerso che un microbiota in salute, eubiotico, garantisce effetti benefici a tutto l’organismo. Vediamo le recenti evidenze sul microbiota intestinale e le sue incredibili interazioni con molteplici apparati e organi.

l microbiota si indaga dagli anni ‘50, con un intenso aumento delle pubblicazioni scientifiche dal 2005 in avanti; proprio in questo momento che funge da spartiacque sono state rese disponibili alcune tecnologie mediche di ultima generazione che hanno permesso alla ricerca di procedere velocemente e più profondamente.

Definizione di microbiota e microbioma intestinale

Il microbiota rappresenta la comunità di microrganismi (eucarioti, archaea, batteri, virus, funghi, protozoi) che abitano in un ambiente specifico, con caratteristiche fisiche e chimiche distinte. Questo ecosistema include un’enorme varietà di microrganismi e tutte le loro attività fondamentali per la salute locale e sistemica dell’ospite.

Il concetto di microbiota è stato suggerito per la prima volta da Joshua Lederberg, che ha rimpiazzato il termine “flora batterica” per indicare la comunità ecologica di microrganismi commensali, simbiotici e patogeni che condividono lo spazio corporeo con l’ospite. È accettato che il termine “microbiota” sia utilizzato per descrivere altre comunità batteriche residenti su mucose o vari siti corporei (ad esempio la pelle), anche se il microbiota intestinale è quantitativamente il più rappresentato dell’organismo.

Talvolta sovrapposto al termine “microbiota” – ma in realtà concettualmente distinto – il termine “microbioma” (microbiota + genoma) è oggigiorno utilizzato per riferirsi all’intera massa genetica dei microrganismi. Descrive le comunità genomiche batteriche, probabilmente però si dovrebbe fare riferimento rispettivamente al “batterioma”, “viroma”…

Sembra che il numero di cellule microbiche sia di circa di 10 volte superiore a quello delle cellule dell’ospite che lo accoglie; il peso del microbiota umano è stimato in 1 kg.

La composizione del microbiota

Gli studi sull’uomo esaminano condizioni di eubiosi e disbiosi; infatti, potendo disporre di molti soggetti volontariamente arruolati è possibile creare gruppi omogenei. In Medicina Veterinaria, invece, sussiste il limite delle razze e della genetica che comportano disomogeneità nella casistica.

Nel cane, il microbiota può contare fino a un milione di geni, una quantità talmente rilevante da essere chiamato per questo motivo “secondo genoma” dell’organismo.

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Distribuzione dei tipici phyla batterici nei diversi compartimenti del tratto intestinale del cane
(tratto da: Schmitz S. et al., 2016).

Attualmente, l’importanza della variabilità e la sua correlazione con la salute del tratto intestinale non sono ancora totalmente comprese, ma stanno emergendo sempre maggiori evidenze. In generale, il numero e la diversità batterica aumentano gradualmente lungo il tratto gastrointestinale del cane sano:

  • nello stomaco la carica batterica totale è relativamente bassa e appartiene principalmente ai Proteobacteria (99,6%) con una piccola quantità di Firmicutes (0,3%). Le altre specie sono Helicobacter e Lactobacillus spp.
  • la comunità microbica duodenale è composta da: Firmicutes (46,4%), Proteobacteria (26,6%), Bacteroidetes (11,2%), Spirochaetes (10,3%), Fusobacteria (3,6%) e Actinobacteria (1%);
  • nel digiuno sono stati identificati i Proteobacteria come i più abbondanti (46%), seguiti da Firmicutes (15%), Actinobacteria (11,2), Spirochaetes (14,2), Bacteroidetes (6,2%) e Fusobacteria (5,4%).

Il microbiota di alcune specie animali è stato tipizzato di recente: quello canino è risultato sovrapponibile all’uomo per il 90% (forse anche per il condizionamento dovuto ad almeno 40.000 anni di convivenza?), mentre l’uomo e il suino hanno mostrato solo un 30% di sovrapposizione.

Eubiosi vs disbiosi, un equilibrio precario

Il microbiota intestinale si trova in una situazione di equilibrio dinamico. La sua composizione varia in risposta a continui fattori intrinseci ed estrinseci, tra cui la dieta, l’ambiente intestinale, l’età, la genetica e lo stile di vita del soggetto. Se questo equilibrio rimane sano, si avrà un ecosistema che vive in eubiosi. Quando un fattore rompe questo delicato equilibrio e si assiste a un’alterazione qualitativa e quantitativa, si parla di alterazione disbiotica.

Non è scontato che la disbiosi comporti necessariamente il sopraggiungere di malattia clinicamente diagnosticabile; infatti, diversi individui potrebbero non avere alcun sintomo clinico. Non è da escludere comunque che tale squilibrio potrebbe favorire la prevalsa di alcune specie batteriche dannose che potrebbero incrementare l’infiammazione locale. La risposta dipende dalla gravità del processo e dalle caratteristiche del singolo soggetto.

Da studi in Medicina Umana è emerso che, in base all’ambiente di vita e alle condizioni socio-economiche, il microbiota cambia. Si parla di “impronta digitale del microbiota e del metaboloma”, in quanto si tratta di organi strettamente specifici e tipici del singolo essere vivente; per questo un microbiota definito “normale” o “di riferimento” non esiste. Uno studio svolto sull’uomo (che ha incluso anche gemelli omozigoti), ha evidenziato che il microbiota intestinale di individui imparentati non era più sovrapponibile di quello di individui non imparentati. Questo indica anche che la dieta e l’ambiente di vita influenzano primariamente oltre che nel breve e nel lungo termine le comunità microbiche intestinali.

Il microbiota è formato da due parti:

  • core: una volta stabilizzato e consolidato diventa molto resiliente. Modificarlo in maniera profonda risulta difficile in quanto tende a tornare alla sua condizione naturale e di base. Il momento della nascita e dello svezzamento sono fondamentali poiché si assiste ad una fase plastica del core del microbiota. Le specie core nel cane e nel gatto sono simili. Va specificato che un microbiota diverso a causa del sopraggiungere di fattori modulanti non può sostituire totalmente quello “vecchio”, in quanto il fenomeno della resilienza porta il core a tornare al suo assetto originario;
  • zona periferica: composta da specie accessorie (non core). Risulta molto più intaccabile dai fattori intrinseci ed estrinseci quali la dieta, l’ambiente intestinale, l’età, la genetica e lo stile di vita del soggetto.

Il microbiota intestinale: un organo endocrino multipotenziale

Il microbiota intestinale è riconosciuto come organo metabolico ed endocrino complesso, altamente attivo e ricettivo, con la potenzialità di influenzare la salute dell’ospite, partecipando a moltissimi processi fisiologici. Ciò avviene attraverso diverse vie metaboliche, come l’attivazione o l’alterazione di reazioni infiammatorie e anche attraverso la produzione dei prodotti fermentativi (acidi grassi volatili e non volatili).

È coinvolto anche nella sintesi di neurotrasmettitori e ormoni che interagiscono con tutti gli altri organi e apparati dell’organismo. Tra questi i principali sono:

  • Grelina, leptina, peptide Y: coinvolti nella regolazione del comportamento alimentare.
  • Vitamina B12, acido folico, biotina, riboflavina: insieme al selenio e all’adenosina-chinina, partecipano alla metilazione del DNA.
  • Acido butirrico, acido propionico, acido acetico: interagiscono con molti recettori espressi sui linfociti, monociti, cellule B pancreatiche, tessuto adiposo, tessuto cardiaco, sistema nervoso centrale ecc…
  • Serotonina e triptofano: regolano i ritmi circadiani, gli equilibri sonno-veglia e le reazioni emotive.

Il microbiota partecipa a processi fisiologici e immunologici vitali, tra cui l’omeostasi energetica e il metabolismo, l’equilibrio redox, la sintesi di vitamine, degli acidi biliari e altri nutrienti, la segnalazione endocrina, la prevenzione della colonizzazione di enteropatogeni, la regolazione della funzione immunitaria e il metabolismo di composti xenobiotici.

In effetti, molte malattie gastrointestinali e sistemiche sono state associate a comunità microbiche intestinali aberranti. Non è chiaro se il microbioma partecipi direttamente alla patogenesi di questi stati patologici, tuttavia, prove crescenti lo vedono implicato a causa di interazioni complesse con i sistemi metabolici e immunitari dell’ospite.

Attualmente è in corso lo sviluppo di test molecolari per gruppi batterici specifici, calcoli di indici di disbiosi microbica e test per metaboliti postbiotici funzionali per aiutare a valutare la disbiosi. Questi consentiranno una migliore comprensione della fisiopatologia delle malattie gastrointestinali e potrebbero anche portare a nuovi approcci diagnostici e terapeutici.

Se i cambiamenti della composizione del microbiota siano la causa oppure il risultato delle reazioni immunitarie aberranti osservate nel tratto gastroenterico nel paziente con IBD, resta una questione dibattuta.

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Distribuzione dei phyla batterici nel duodeno di 14 cani con malattia infiammatoria intestinale (IBD) e di 6 cani sani (tratto da: Schmitz S. et al., 2016, basato su: Suchodolski et al., 2012).

Il trapianto di microbioma fecale (FMT): evidenze in Medicina Veterinaria

Il trapianto di microbioma fecale comporta il trasferimento di feci da un donatore sano al tratto intestinale di un ricevente malato.

L’esperienza in Medicina Umana

Il primo resoconto moderno di FMT, per il trattamento di esseri umani con colite pseudomembranosa, è stato riportato nel 1958. La prima condizione per cui l’FDA ha validato lo status di nuova terapia sperimentale negli Stati Uniti è stata l’infezione da Clostridium difficile. Nei pazienti affetti da clostridiosi ricorrente che presentavano proporzioni ridotte di Bacteroidetes e Firmicutes fecali, si è raggiunto un tasso di guarigione di circa il 90% dopo aver ricevuto il trapianto.

Nei pazienti riceventi, il microbiota fecale rispecchiava quello del donatore, fino a 24 settimane dopo il trapianto. Sono stati inoltre segnalati miglioramenti clinici in pazienti umani con IBD, sclerosi multipla, distonia mioclonica e colite ulcerosa refrattaria e sindrome metabolica.

Due review di Medicina Umana mostrano che il trapianto fecale è risultato sicuro ed efficace nell’83-92% dei pazienti, i quali inoltre hanno raggiunto la piena risoluzione dei segni clinici.

L’esperienza in Medicina Veterinaria

Se in Medicina Umana l’FMT è ritenuto risolutivo per combattere Clostridium difficile in quanto l’antibiotico non ha effetti, l’enteropatia degli animali domestici non è sovrapponibile al precedente quadro: il trapianto fecale non risulta sufficiente come unica terapia, seppur continuativa nel tempo.

Attualmente l’esperienza nei piccoli animali per quanto riguarda la sicurezza e l’efficacia di FMT è ancora aneddotica. Due recenti abstract forniscono informazioni sull’FMT nei cani.

  • Un cane con IBD è migliorato notevolmente dopo aver ricevuto un clistere FMT ed è rimasto privo di segni clinici per 3 mesi. Il sequenziamento ha rivelato che 2 giorni dopo l’FMT, il microbiota fecale del cane era più simile al donatore rispetto al suo campione pretrattamento. Il campione fecale post-FMT aveva una maggiore diversità microbica rispetto al campione pre-FMT.
  • Un altro studio ha documentato un FMT riuscito in 8 cani con diarrea associata a C. perfringens refrattaria. Il trapianto è stato somministrato tramite clistere e la diarrea si è risolta in tutti i cani dopo il trattamento.

Trattandosi di una terapia di supporto che si basa su protocolli totalmente individuali e ancora empirici, non ci sono in letteratura evidenze universali. Alcuni gruppi di lavoro che si occupano di gastroenterologia hanno approfondito il tema del trapianto fecale: nella loro casistica, il 76% dei cani è migliorato dopo il secondo o terzo trattamento. Non bisogna però confondere la guarigione con il miglioramento clinico, infatti, nel corso di enteropatie croniche non sarebbe realistico raggiungere una guarigione totale del processo infiammatorio cronico.

Il paziente ideale dovrebbe essere giovane e avere un grado lieve-moderato di enteropatia, possibilmente con una risposta clinica non soddisfacente rispetto alle canoniche terapie.

Gli studi in Medicina Veterinaria indicano la possibilità di svolgere diversi tipi di trapianto fecale:

  • per bocca tramite prodotto che esita da un processo di congelamento, triturazione, liofilizzazione, macinazione, filtraggio, e incapsulamento
  • nel colon-retto tramite clistere (enema)
  • nel colon-retto per via endoscopica

A causa della scarsità di dati basati sull’evidenza che includono le indicazioni di utilizzo, l’incertezza riguardo alla selezione di donatori appropriati, la preparazione dei campioni fecali del donatore e i metodi di somministrazione, gli autori non raccomandano FMT, tranne che per i casi di diarrea associata a Clostridium e altre enteropatie croniche che sono refrattarie alle terapie standard.

Microbiota, un organo poliedrico dalle mille relazioni interpersonali

I cambiamenti nel microbiota gastrointestinale sono associati a malattie nell’uomo e negli animali: infiammazioni intestinali, asma, obesità, sindrome metabolica, malattie cardiovascolari, condizioni immunomediate, condizioni neurologiche e psichiche (es. disturbo dello spettro autistico).

Studi recenti su animali da laboratorio indicano una finestra in cui il microbiota intestinale entra in profonda relazione con lo sviluppo di diversi organi, sistemi, apparati.

Microbiota e alimentazione a base di ingredienti animali crudi

Un grande rischio che la categoria medico veterinaria sta notando negli ultimi anni riguarda la scelta di nutrire gli animali con prodotti di origine animali crudi (BARF = Biologically Appropriate Raw Food). In tutto il mondo industrializzato si assiste alla ricerca di un ritorno alle origini, da qui la tendenza di alcuni proprietari a scegliere diete crude, soprattutto nell’ambito della nutrizione canina (meno in quella felina).

Diversi studi si sono concentrati proprio sull’alterazione dei microbiota intestinale come anche sugli squilibri nutrizionali e sui rischi igienico-sanitari per la salute pubblica conseguenti a questa scelta. Le possibili infezioni e infestazioni a carico del proprietario possono coinvolgere Salmonella spp., Campylobacter spp., Listeria monocitogenes, Escherichia coli, Clostridium spp., Yersinia enterocolitica, Cryptosporidium, Toxoplasma gondii, Alfaherpesvirus 1 (morbo di Aujesky), Echinococcus multilocularis, Mycobacterium bovis.

La composizione del microbiota analizzata in soggetti alimentati con dieta BARF aveva un maggior indice di variabilità (beta diversità) in confronto ai cani che utilizzavano sola una dieta estrusa (crocchette), d’altro canto, è emerso un aumentato indice di disbiosi oltre che una maggior abbondanza di Escherichia coli, C. perfringens e streptococchi. Si evince che le comunità microbiche e il metaboloma variano significativamente tra i cani alimentati con BARF e quelli alimentati commercialmente.

Microbiota e sistema immunitario

Le prime prove di un effetto terapeutico dei probiotici risalgono al 1909: uno studio descriveva il miglioramento dell’artrite autoimmune dopo l’integrazione con colture vive di Streptococcus lactis e Bacillus bulgaricus.

Da un’altra ricerca si è visto che i roditori senza batteri (germ free) avevano una conformazione anatomica dei villi diversa dalla normalità. L’intestino in questi soggetti è stato colonizzato con batteri, stimolando lo sviluppo del loro sistema immunitario. Sono state riportate differenze significative anche nei loro metabolomi plasmatici, soprattutto se paragonati a quelli dei topi convenzionali, concludendo che il microbiota interagiva con circa il 10% dei percorsi metabolici dell’ospite.

La colonizzazione intestinale di cavie germfree ha modificato anche alcuni comportamenti patologici stress-correlati e legati alla sfera affettiva.

Questo dato indica nuovamente che il microbiota partecipa allo sviluppo degli individui e che può avere effetti anche a lungo termine.

Negli esseri umani e negli animali da laboratorio, una vasta gamma di malattie sistemiche su base immunomediata quali artrite reumatoide, atopia e asma è stata correlata alla disbiosi intestinale. Queste associazioni non sono state ancora identificate nei piccoli animali.

Nonostante la scarsità di dati e la mancanza di chiarezza riguardo al ruolo del microbiota nella patogenesi delle condizioni qui esaminate, ci sono chiari collegamenti tra il microbiota intestinale e la salute sistemica.

Microbiota e cervello/comportamento

Il sistema nervoso enterico è strettamente collegato a quello centrale, infatti, la comunicazione continua tra i due cervelli avviene grazie ai neuroni (via nervosa) e anche grazie ai neurotrasmettitori e ormoni (via endocrina). Se da un lato il sistema nervoso centrale condiziona la produzione di muco e la peristalsi intestinale, d’altro canto una psiche alterata, con picchi emotivi non ben gestiti, modifica il microbiota.

In Medicina Umana sono stati svolti approfonditi studi che correlano il morbo di Chron con gli stati di depressione e le patologie intestinali con gli stati epilettici. Questi legami indicano chiaramente quanto il microbiota alterato possa condizionare lo sviluppo neurocomportamentale.

Alcune ricerche scientifiche hanno evidenziato che il 20% dei pazienti umani con malattie infiammatorie intestinali manifestavano disturbi del sonno e depressione.

Microbiota e reni

Studi recenti su cani e gatti evidenziano il legame tra la salute intestinale e quella dell’apparato urinario, “gut-kidney axis”, suggerendo che un intestino sano possa prevenire il passaggio di tossine nel sangue. Questo è particolarmente importante in presenza di patologie renali croniche, poiché tali tossine, se non adeguatamente eliminate, possono aggravare ulteriormente la malattia renale.

I prebiotici, probiotici e simbiotici rappresentano un’innovativa strategia nutrizionale per supportare la salute degli animali. Possiedono effetti antinfiammatori, antiossidanti e immunomodulatori locali e sistemici. Alcuni esempi di prebiotici con comportamento benefico renale sono:

  • Xylo-oligosaccaridi (XOS). Provenienti principalmente dalle pareti cellulari delle piante che contengono lignocellulosa, favoriscono la crescita di batteri benefici come bifidobatteri e lattobacilli nell’intestino. Nelle malattie renali, gli XOS migliorano la salute del microbiota intestinale, riducendo le tossine uremiche come p-cresil solfato e indoxil solfato, che contribuiscono alla progressione della malattia renale cronica. Gli studi sugli animali hanno mostrato che gli XOS riducono l’infiammazione sistemica e migliorano la funzione renale, diminuendo i livelli di creatinina sierica e di azoto ureico nel sangue.
  • Mannano-oligosaccaridi (MOS). Derivano dalla parete cellulare di lieviti (es. Saccharomyces cerevisiae). Nelle patologie renali croniche, anche i MOS possono migliorare la salute del microbiota intestinale, favorendo la crescita di batteri benefici e riducendo l’accumulo di tossine uremiche che aggraverebbero il danno renale.
  • Psillio (Plantago afra) pianta officinale appartenente alla famiglia delle Plantaginaceae. Il gel che si genera nell’intestino aumenta il volume della massa fecale, ne ammorbidisce il contenuto e stimola meccanicamente la peristalsi facilitando lo svuotamento e la defecazione. La mucillagine ha inoltre proprietà antinfiammatorie e lenitive sulla mucosa. Le bucce e i semi di psillio sono utilizzati per migliorare la salute intestinale e possono avere effetti benefici anche nelle patologie renali. Studi scientifici su cani e gatti hanno dimostrato che l’integrazione con psillio può ridurre l’infiammazione e lo stress ossidativo. Inoltre, migliorano i marker di funzionalità renale, si riducono i livelli di creatinina sierica e azoto ureico nel sangue, si attenua il danno tubulo-interstiziale renale, migliora il microbiota intestinale e la funzione della barriera intestinale, si riducono i livelli sierici di interleuchina (IL)-1, IL-6 e solfato di indossile. Questi risultati dimostrano il potenziale della supplementazione di psillio nel trattamento della malattia renale cronica, rallentando la progressione della malattia.
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Pianta officinale appartenente alle Plantaginaceae, la Plantago afra (psillio) fornisce bucce e semi che vengono utilizzati per migliorare la salute intestinale e che possono avere effetti benefici anche nelle patologie renali. © cmac2009 – shutterstock.com

Microbiota e tratto genitale

Dopo aver trattato i ratti con Lactobacillus e trapianto di microbiota fecale (FMT) proveniente da ratti sani, si è scoperto che i cicli estrali erano migliorati grazie a una diminuzione della biosintesi degli androgeni. Anche la morfologia ovarica si è normalizzata. Nelle donne con infezioni ricorrenti del tratto urinario, la somministrazione orale di un probiotico aiuta a ripristinare il normale microbiota vaginale.

Sulla base di tale scoperta, è stato condotto uno studio per determinare se la somministrazione orale di un probiotico avrebbe avuto un analogo riscontro anche nelle cagne. Gli studiosi hanno scoperto che la somministrazione orale di un simbiotico commerciale non ha modificato la popolazione vaginale canina, tuttavia, non sono state incluse cagne con una storia d’infezioni ricorrenti urinarie ma solo soggetti sani.

Altre evidenze indicano che i neonati partoriti per via vaginale ospitano comunità microbiche, Lactobacillus spp. e Bifidobacterium spp., simili a quelle presenti nel canale vaginale della madre. Al contrario, i neonati partoriti tramite parto cesareo sono stati colonizzati da comunità microbiche composte da comuni microbi della pelle come Staphylococcus.

Questi studi suggeriscono che l’acquisizione neonatale del microbiota intestinale dipende dagli organismi incontrati nei primi giorni di vita dalla madre e dall’ambiente circostante. Anche la modalità di nascita, gli antibiotici e la dieta hanno influenzato la colonizzazione microbica.

Microbiota e cute

Sono stati condotti studi per valutare i cani sensibilizzati a Dermatophagoides farinae. Una coppia riproduttiva ha generato due cucciolate, di cui la prima è stata scelta come campione di controllo. La coppia riproduttiva ha ricevuto un probiotico prima della nascita della seconda cucciolata, la quale ha ricevuto il probiotico da 3 settimane a 6 mesi di età.

Tutti i cuccioli, sottoposti a test allergeni intradermici, sono risultati sensibilizzati a D. farinae, sebbene coloro che hanno ricevuto il probiotico abbiano avuto reazioni ridotte ai test cutanei intradermici e titoli IgE più bassi. I segni clinici dopo l’esposizione all’allergene non erano diversi tra le due cucciolate e la valutazione dei campioni di biopsia cutanea non ha rivelato alcuna differenza nell’espressione della filaggrina (proteina meno espressa negli animali con dermatite atopica).

Tuttavia, a 3-4 anni d’età i cani che avevano ricevuto il probiotico in giovane età presentavano una gravita dei segni clinici ridotta.

Microbiota e sindrome metabolica

Studi recenti hanno rivelato correlazioni convincenti tra obesità, sindrome metabolica e disbiosi intestinale negli esseri umani, negli animali da laboratorio e negli animali domestici. Uno studio condotto su topi germ free a cui è stato inoculato il contenuto intestinale di topi convenzionali suggerisce un collegamento diretto e causale tra il microbiota intestinale e l’aumento dell’adiposità e del peso corporeo. Ciò si è verificato a causa di un accentuato assorbimento intestinale dei monosaccaridi e di un’incrementata deposizione di trigliceridi, nonostante la restrizione calorica.

Per comprendere meglio va considerato che proprio il microbiota produce acidi grassi a corta catena, molecole che riducono il tempo di transito intestinale e promuovono l’adiposità.

Anche recenti studi di sequenziamento dell’DNA mitocondriale di campioni fecali di esseri umani obesi, rivelano che l’obesità umana è associata a una ridotta diversità batterica, oltre che a ridotte quantità di Bacteroidetes fecali, dato verificato anche nella specie felina. Coerentemente, la perdita di peso eèstata associata a un aumento proporzionale di Bacteroidetes.

Non solo la quantità ma anche il rapporto tra diverse popolazioni batteriche e rilevante: uno stato di disbiosi caratterizzato da un rapporto Firmicutes:Bacteroidetes aumentato è stato identificato nei topi obesi.

Sembra che i cambiamenti nel microbiota sopra citati si verifichino prima che l’obesità sia clinicamente evidente e rilevante.

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Principali funzioni del microbiota intestinale.

Conclusioni

Attualmente le informazioni disponibili riguardo alle conseguenze metaboliche della disbiosi intestinale sono ancora piuttosto limitate, tuttavia, è possibile affermare che l’antica massima “Tutte le malattie iniziano nell’intestino”, affermata da Ippocrate nel III secolo a.C., sembra essere piuttosto coerente con la medicina moderna.

Le attuali evidenze sul microbiota intestinale in Medicina Umana e animale hanno rivelato inimmaginabili connessioni e interazioni complesse tra cellule, tessuti, organi, sistemi, apparati che aprono la strada verso un interessante filone di ricerca.

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