Alle porte di una data significativa come quella dell’8 marzo, si è svolto un webinar1 che ha affrontato una tematica importante, ovvero il gender gap e le discriminazione nella professione veterinaria.
L’evento, promosso dalla Società Italiana di Diagnostica di Laboratorio Veterinaria (SIDiLV), in collaborazione con l’Associazione Donne Medico Veterinario (ADMV) e con l’Ordine dei medici veterinari di Napoli, ha affrontato un argomento importante come quello della condizione della donna medico veterinario sia durante il suo percorso formativo che successivamente nel mondo del lavoro, ponendo lo sguardo su quale sia la situazione italiana a oggi.
Veterinarie e veterinari: un diverso approccio alla professione
La dott.ssa Laura Cutullo (presidente ADMV) ha introdotto l’argomento evidenziando come la presenza femminile nella professione veterinaria sia oggi predominante e come alcune situazioni che coinvolgono la donna debbano ancora essere sgretolate e reimpostate.
ADMV infatti, come associazione, si pone l’obiettivo di supportare e valorizzare il ruolo della donna medico veterinario, mostrando sbocchi professionali meno conosciuti e promuovendo incontri tra professionisti. Inoltre ha da poco istituito un supporto legale per i casi di disagio o disparità di genere sul posto di lavoro.
Con il suo intervento, la dott.ssa Loredana Baldi, presidente SIDiLV, ha poi messo in luce che, di pari passo con l’incremento della presenza femminile nel mondo veterinario, nel corso degli anni ci si è posti la domanda se una tale “femminilizzazione” della professione possa costituire una risorsa oppure un ostacolo.
In realtà sono emerse diverse sfaccettature: infatti dalle indagini è stato rilevato che la donna mantiene più un atteggiamento di tipo “pediatrico” nei confronti del lavoro, andando a prediligere settori in cui la cura e l’accudimento sono predominanti; il rischio di questa caratteristica è quello di crogiolarsi in una sorta di “comfort zone” e non essere portate all’esplorazione di altri orizzonti. Ciò che emerge di positivo è il rapporto con il paziente, che diventa più empatico e meno distaccato.
Al contrario, il genere maschile ha, nei confronti della professione, un atteggiamento maggiormente “meccanico”, ovvero tende a vedere e risolvere le problematiche mediche con più distacco e pragmatismo, vedendo i pazienti quasi più come macchine da riparare.
Esistono però dei rischi correlati a quello che può essere definito un “post-femminismo”: infatti, appurato che la donna ha una presenza sempre più maggioritaria nel panorama della professione veterinaria, si rischia di incorrere in un effetto paradosso, ovvero identificare quello della disparità di genere come un problema ormai appartenente al passato, oppure appartenente ad altre culture o addirittura una battaglia ormai individuale e personale da portare avanti con le proprie sole forze nel vano tentativo di impersonare delle “Wonder woman” dei tempi moderni.
La situazione italiana
L’intervento della dott.ssa Natalia Sanna (coordinatrice della Commissione Pari opportunità dell’Ordine dei medici veterinari della Provincia di Napoli) ha posto uno sguardo generale sulla condizione lavorativa della donna. È chiaro che quello delle pari opportunità non è un problema che interessa unicamente il mondo femminile, ma riguarda in realtà tanto gli uomini quanto le donne, su uno sfondo socioculturale che vede entrambi protagonisti attivi e in sinergia.
L’articolo 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE condanna qualunque tipo di discriminazione, comprendendo anche quella di sesso. Tuttavia, secondo l’European institute for gender equality, l’Italia ha un gender equality index (indice che misura i progressi nella parità di genere in diversi settori della vita economica e sociale nell’UE) ancora piuttosto basso in confronto ad altri Paesi europei. La donna, infatti, si trova spesso a dover scegliere tra carriera professionale e cura della famiglia, optando quasi sempre per la seconda; in questo modo trova impossibile sfondare quello che viene definito il “tetto di cristallo”, ovvero quell’insieme di ostacoli e difficoltà che impediscono di progredire nella carriera lavorativa e raggiungere eventualmente posizioni di leadership.
Per ovviare a tali difficoltà sarebbe auspicabile che il ruolo accudente nei confronti del nucleo famigliare fosse condiviso con la figura maschile; risulterebbe inoltre molto utile avere la disponibilità, presso le strutture lavorative, di asili nido, oggi ancora molto scarsi in Italia, o ausilii simili che supportino il genitore lavoratore.
Alla luce di ciò, un dato che emerge è che sempre più professioniste veterinarie in Italia optano per una carriera professionale nel mondo dell’insegnamento, con un notevole cambio di rotta nel panorama lavorativo.
Il gender pay gap in Italia
Altro dato preoccupante relativo al nostro Paese riguarda il gender pay gap; infatti, per quanto riguarda le discipline STEM, a un anno dalla laurea trovano impiego il 91,8% dei laureati maschi contro l’89,3% delle neolaureate; ma se si considera poi il salario, si è calcolato che lo stipendio medio netto per l’uomo è di 1.600 euro mentre per la donna scende a 1.400 euro.
Così il nostro Paese, secondo la classifica per le pari opportunità del World Economic Forum, presenta un global gender gap, ovvero una disparità tra i sessi sia a livello economico che politico, che ci porta all’ottantasettesimo posto su 146 Stati esaminati, con solo il 55% della popolazione femminile occupata.
Negli anni sono state fatte varie proposte per ovviare a, o quantomeno tamponare, questa condizione di divergenza; un esempio è la Legge 120/2011, o Legge Golfo Mosca, che ha introdotto le famose “quote rosa”, che però hanno diviso l’opinione pubblica e quella della popolazione femminile stessa, perché questa previsione non è ritenuta a tutti gli effetti una soluzione adeguata e realmente efficace nell’eradicare la disparità di genere.
La situazione nelle università italiane
La FVE (Federation of Veterinarians of Europe) ha constatato che, tra gli studenti iscritti alle Facoltà di Medicina Veterinaria, il 63% è rappresentato da donne ma solo il 41% di queste raggiunge posizioni di leadership. Secondo la prof.ssa MariaIaura Corrente (docente della Sezione Malattie infettive del Dipartimento di Medicina Veterinaria presso l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”) un capitolo importante da considerare nell’ambito accademico italiano è quello delle STEM (Science, Technologies, Engineerings, Mathematics), Facoltà per le quali è evidente una prevalenza maschile tra gli iscritti già a partire dagli anni ’70.

Tuttavia, con la comparsa dei test d’ammissione, tale tendenza ha cominciato a invertirsi, facendo ipotizzare una miglior qualità di studio e impegno da parte delle studentesse.

Ad ogni modo, ciò che si osserva in ambito accademico dopo la laurea è una sorta di “effetto imbuto”, per cui solo una minima parte rispetto alle figure candidate alle varie posizioni professionali raggiunge ruoli di rilievo, sempre e comunque con prevalenza maschile rispetto a quella femminile, andando nuovamente a invertire il trend; questo fenomeno coinvolge anche altre Facoltà, dunque non è una realtà esclusiva del mondo veterinario.

La Medicina di genere
Un altro aspetto importante emerso nell’esposizione della dott.ssa Sanna è stato quello riguardante la Medicina di genere. Molti studi, infatti, hanno evidenziato come le differenze biologiche, come il sesso, ma anche socioeconomiche e culturali, influenzino le dinamiche della Medicina e il suo funzionamento (ad esempio, alcuni farmaci è dimostrato abbiano concentrazioni di assorbimento differenti tra sesso maschile e femminile).
In seguito, la dott.ssa Daniela Mulas (vicepresidente della Federazione Nazionale degli Ordini Veterinari Italiani e direttrice del Servizio di Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare della Regione Sardegna) ha focalizzato l’attenzione sulla condizione lavorativa della donna facendo riferimento agli Ordini veterinari e confermando una crescita della presenza femminile tra gli iscritti.
In collaborazione con la Fondazione della professione psicologica Adriano Ossicini e con l’Osservatorio delle Pari opportunità, è stato redatto un questionario rivolto ai professionisti veterinari dal quale è emersa l’effettiva presenza di disparità tra i generi sia in termini economici che culturali. Infatti l’81% delle rispondenti di sesso femminile ha dichiarato di essere stato discriminato a causa del proprio sesso.
Anche lo stress è donna
La professione del veterinario, si sa, può essere molto stressante, ricca di sfaccettature e variabili che spesso mettono a dura prova il medico, uomo o donna che sia. Il dott. Alessandro Schianchi, medico veterinario e psicoterapeuta, con il suo intervento ha messo in luce come, in ambito veterinario, le categorie maggiormente a rischio dal punto di vista psicologico siano gli studenti e le donne.
I fattori di stress sono svariati: la relazione con il cliente, i rapporti tra colleghi, la mancanza di strumenti adeguati allo svolgimento del proprio lavoro, la condizione salariale, le pratiche eutanasiche, il poco tempo a disposizione per attività extra-lavorative, lo scarso riconoscimento sociale e infine le numerose ore di lavoro.
Per quanto riguarda la pratica dell’eutanasia, un dato sconcertante è che è stato rilevato che eseguire un numero di eutanasie maggiore di cinque a settimana rappresenta un fattore predisponente allo sviluppo di pensieri suicidari o dipendenze.
Questo quadro è poi aggravato dall’ansia e dai sensi di colpa che spesso coinvolgono il professionista medico, sia umano che veterinario. Le difficoltà e le sfide quotidiane portano il professionista a sviluppare quella che viene definita “sindrome dell’impostore”, che porta a un giudizio verso sé stessi negativo, fino a considerarsi non all’altezza della situazione e non meritevoli di apprezzamento.
A peggiorare questo quadro di autocritica va aggiunta anche l’incapacità, spesso femminile, di chiedere aiuto, rendendo così il carico di stress da sopportare spesso insostenibile. Il peggiore e più severo giudice del professionista, infatti, è egli stesso.
Partire dalle fondamenta
Ci si è quindi chiesti quali possano essere le strategie e le accortezze da mettere in atto per poter ridurre il gender gap che tutt’oggi esiste nel nostro Paese. Secondo studi recenti, infatti, se lasciassimo fare al corso naturale degli eventi raggiungeremmo una condizione di pari opportunità tra i sessi nell’arco di circa 150 anni, lusso che la moderna società non può certo permettersi. Considerando poi che uno degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU è proprio quello di “raggiungere l’uguaglianza di genere e l’autodeterminazione di tutte le donne e ragazze” possiamo constatare come il nostro Paese (ma non solo) sia decisamente in ritardo sul programma.
Un ruolo fondamentale è sicuramente svolto dalla scuola; già a partire dall’infanzia è possibile – e auspicabile – educare alla parità di genere in tutte le sue forme e sfaccettature. Si punterebbe così all’educazione sia dei giovani che degli adulti, demolendo e destrutturando determinati stereotipi e pregiudizi.
Per quanto riguarda nello specifico la professione veterinaria, servirebbero maggiori interventi sia a medio che a lungo termine, oltre a buone pratiche che garantiscano le pari opportunità. Inoltre sono necessarie politiche attive per la gender equity e una maggior consapevolezza tra gli iscritti all’Ordine sulla condizione lavorativa dei professionisti veterinari, che li renda più consci e responsabili delle dinamiche che caratterizzano la professione.
- 7/3/25: Come cambia la professione veterinaria: affrontare il disagio e le disparità di genere. Organizzato da SIDiLV, in collaborazione con ADMV e Ordine dei medici veterinari di Napoli ↩︎