Del problema hanno cominciato a occuparsi pochi anni fa alcune persone che lavorano nel settore dell’economia, principalmente. Fino ad allora il campo della Veterinaria che si occupa di animali da compagnia era una sorta di nicchia piuttosto snobbata, perché economicamente presentava cifre poco appetibili e interessanti. Negli ultimi anni però la situazione è completamente cambiata, complice il principale fattore dell’aumento demografico degli animali d’affezione nelle famiglie che, per qualcuno (Papa Francesco in primis) andrebbe a colmare un decremento delle nascite facendo una sorta di travaso d’affetto dai figli agli animali.
La costante crescita dell’economia dei pet
Personalmente credo ci siano altri fattori che incidono su questo andamento, ma è indubbio che gli oltre 60 milioni di pet entrati nelle famiglie italiane negli ultimi due decenni stanno a dimostrare che le abitudini della nostra popolazione sono radicalmente cambiate.
Naturalmente tenere animali in casa vuol dire dargli da mangiare e curarli, oltre ad avere un impatto su altri eventi che si riflettono, per esempio, sulle abitudini lavorative. Un esempio? Si fa sempre più frequente, per chi ha un tipo di professione che lo consente, chiedere di lavorare da casa perché si ha il beneficio di avere la compagnia del proprio pet e di poterlo tenere costantemente sotto osservazione quando è malato, specie se si tratta di malattie croniche.

Non voglio annoiare con dati che potete trovare su qualunque sito, per quanto riguarda l’aumento dei fatturati dei petshop e anche l’aumento di quelli delle strutture veterinarie, talmente evidente da attirare l’attenzione delle cosiddette corporates, dei fondi d’investimento, delle assicurazioni e di singoli imprenditori economicamente impegnati in tutt’altri settori.
In un articolo di Aboutpharma datato marzo 2021 si leggeva: “A ciò va aggiunto il consolidamento di un fenomeno chiamato pet humanization, che consiste nella tendenza a considerare i propri animali domestici come membri effettivi della famiglia. La conseguenza è che tendiamo a trattarli come noi, vestendoli, facendoli mangiare e soprattutto curandoli alla stregua di un essere umano. A questo proposito, secondo il rapporto Cgp household and Pet Care di Edge di Asciental, riportato di recente in un articolo sul portale Lifestyle Pets di Ansa.it, la spesa per la cura dei propri animali domestici in Europa crescerà fino al 2023 del 28%, arrivando a toccare quota 203 miliardi”. Così, più o meno è stato.

L’imprenditoria economica di un certo livello, dunque si accorge che c’è un mercato in piena espansione che può fruttare notevoli introiti: quello delle medie e grosse strutture veterinarie. E ci si butta a capofitto. Se lavorate in una media o grossa struttura veterinaria, sono certo che, negli ultimi due o tre anni, avrete ricevuto la richiesta di colloqui con alcuni degli attori attenti a questo mercato. La notizia comincia a interessare anche la stampa, e non solo la nostra, come si legge su 30 giorni in un articolo della nostra collega Carla Bernasconi.
È proprio di pochi giorni fa un lungo pezzo scritto da Pippo Rossi sul quotidiano Domani dal titolo: “Boom delle cliniche veterinarie. Le multinazionali fiutano l’affare”. Questo l’incipit di Rossi: “È un’espansione silenziosa. Avviene in modo irregolare sul territorio italiano e replica una tendenza che in altri Paesi è consolidata da tempo. Tocca le cliniche veterinarie di piccole e medie dimensioni, che una dopo l’altra vengono inglobate da colossi del settore. E porta il segno di una trasformazione che riguarda non soltanto la professione dei medici veterinari, ma anche e soprattutto il profondo mutamento culturale che stiamo attraversando lungo una linea di confine fondamentale: quella fra società umane e mondo animale.”
Le corporate
Quindi il fenomeno parte da lontano (diversi anni fa) in altri Paesi, prima di tutti la Svezia (in Europa): ma chi sono i principali attori di questa trasformazione? “In questa cornice” documenta Aboutpharma, “si sta delineando il quadro degli attori che popolano il mercato privato della cura degli animali”.
Tra i più noti c’è Anicura. Il gruppo nasce nel 2011 in Svezia, con l’acquisizione di due cliniche a Stoccolma. Il percorso di crescita si è sviluppato rapidamente, supportato dal fondo di private equity svedese, Nordic Capital, che ha finanziato la prima parte della crescita. L’anno dopo Anicura sbarca in Norvegia e poi in Danimarca. Nel 2015 entra in Europa centrale, Germania, Austria e Olanda. Nel 2018 Anicura decide di avviare una terza espansione europea in Italia, Spagna e Francia. L’ingresso in Italia avviene a marzo 2018 con l’acquisizione della clinica veterinaria San Siro a Milano”.
Oggi Anicura possiede 14 strutture in 5 Regioni e 65.000 animali in cura. Spiega il team manageriale di Anicura: “La proposta che facciamo all’imprenditore si basa sulla continuità manageriale, compriamo le cliniche se l’imprenditore rimane con noi. L’imprenditore continua a essere il principale decisore della clinica mentre noi cerchiamo di farlo lavorare al meglio. Il nostro obiettivo è fornire supporto in tutte le aree in cui il veterinario non è esperto: contabilità, marketing, infrastruttura tecnologica, digitale, risorse umane. Tutto ciò ha un effetto sinergico e l’imprenditore può così ancora meglio concentrarsi sul core business della clinica e cioè erogare servizi di qualità attraverso le migliori attrezzature e le persone giuste, noi lo supportiamo in tutto il resto”.
In parole povere: voi veterinari non avete alcuna formazione in campo manageriale ed economico, per cui lasciate parlare noi di budget, target ecc. A farvi guadagnare ci pensiamo noi. In fin dei conti, alla maggioranza dei veterinari poco interessa di essere proprietari di struttura con tutte le beghe che comporta: interessano molto di più orari regolari, ferie e uno stipendio fisso equo.

I vari player (Anicura, BluVet, VetPartners, Ca’ Zampa ecc.) pur con differenze di gestione sostanziali e con maggiore o minore gradimento sono già “sul pezzo” e lo saranno maggiormente nel prossimo futuro. Prepariamoci a non farci illusioni: stetoscopio e bisturi sono importanti ma devono andare d’accordo con budget e target.