Il dott. Rossi alle prese con la tecnica del debriefing: un processo analitico al termine di un’esperienza, utile a dare nuove interpretazioni dei fatti e direzioni di senso, e uno strumento per aumentare la consapevolezza sui propri agiti in una dimensione collettiva.

Proprio come altre categorie professionali, quali pompieri, medici o forze dell’ordine, anche ai medici veterinari il mestiere richiede questo tipo di incombenza. Le emergenze scatenano, nella mente degli operatori che per professione devono gestirle, delle vere e proprie tempeste emotive e chi lavora in un ospedale veterinario questo lo sa bene. In queste situazioni, il debriefing può essere un prezioso alleato.

Un esempio? Sono le due di notte e il telefono del dott. Rossi lacera, con un trillo acuto, il silenzioso sudario della notte. “Questa è un’emergenza!” – grida allarmato il suo cervello – mentre nella stanza accanto anche il chirurgo di turno interrompe il suo riposo. Il fatto di “essere reperibili”, l’imprevedibilità di cosa ci si troverà a gestire sul piano clinico, la paura di non esserne all’altezza e le conseguenze di eventuali errori sono tutti pensieri che tolgono il sonno e, a lungo andare, lo stress suscitato da questa costante pressione può condurre a problemi di salute e vulnerabilità psicologica, fino al burnout o alla compassion fatigue.

Il debriefing

I medici ospedalieri impegnati nel Pronto Soccorso, così come tutti gli operatori che hanno a che fare con situazioni ad alto impatto emotivo, dopo l’intervento di aiuto vengono sottoposti a una tecnica psicologica utile per aiutarli a rielaborare le emozioni provate e impedire l’insorgenza di uno stress post-traumatico.

Il debriefing è una tecnica che nasce attorno agli anni ’40 – in pieno conflitto mondiale – su iniziativa del generale Samuel Lynn Marshall che ne faceva un uso descrittivo per documentare gli avvenimenti durante gli sconti bellici. Viene applicata a molti altri settori e in particolare in ambito medico, dove è prevista e “normata” nelle varie medicine specialistiche che operano in prima linea, per discutere sulle situazioni cliniche appena vissute, promuovere la riflessione, accogliere le emozioni, assimilare nuovi concetti da applicare nel futuro e ridurre lo stress.

Come descritta dall’anestesista David Gaba alla fine degli anni ’80 “...è una riflessione guidata o facilitata nel ciclo di apprendimento esperienziale” poiché si basa sul ciclo di Kolb che concettualizza l’apprendimento umano in una successione di quattro eventi:

  • esperienza concreta (quello che si fa);
  • osservazione riflessiva (si riflette su quello che si è fatto);
  • concettualizzazione astratta (si creano concetti che spiegano come comprendere appieno e modificare l’esperienza vissuta);
  • sperimentazione attiva (si applicano i concetti alla pratica per testarne la funzionalità).

Fondamentalmente si tratta di uno strumento comunicativo che prevede un incontro dove poter riflettere, assieme a un facilitatore, su quanto è successo e cosa si è provato, condividendo dubbi e obiettivi; ciò si realizza nello svolgersi di tre fasi in successione temporale: descrizione, analogia/ analisi e applicazione. Lo scopo ultimo è quello di imparare qualcosa di nuovo attraverso il ripercorrere mentalmente l’esperienza vissuta, valutare le difficoltà incontrate, narrare le emozioni connesse, esplorare le soluzioni alternative che sono emerse e sviluppare una modalità di pensiero critico.

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Nella prima fase i partecipanti hanno il compito di descrivere quanto accaduto, raccontare la loro esperienza e, nel contempo, ascoltare anche quelle degli altri in modo da sentirsi parte di un gruppo. Nella fase di analogia/analisi si procede cercando di sperimentare l’evento vissuto da una prospettiva differente, discutendo su ciò che è andato bene e ciò che non è stato applicato in modo corretto, identificando i cambiamenti necessari per il futuro. Nell’ultima fase ognuno descriverà quali scoperte ha fatto durante la narrazione (anche altrui) e quali azioni vorrà applicare nel futuro.

Il compito del facilitatore

In tutto questo, il facilitatore ha il compito di favorire il flusso delle idee e lo scambio di esperienze tra le persone, evitando di suggerire apprendimenti non raggiunti ma prodigandosi per rendere manifeste le dimensioni emotive e cognitive di chi ha partecipato.

Se il dott. Rossi vorrà sostenere questo ruolo dovrà imparare a utilizzare i silenzi come spazi dove riflettere e assimilare, nonché riproporre e riformulare più volte tutte le domande che hanno funzionato, cercando di coinvolgere tutti allo stesso modo, facilitando soprattutto chi ha maggiori difficoltà a parlare delle proprie esperienze. In funzione del tempo trascorso tra evento critico e incontro per rielaborare l’esperienza possono aversi hot, warm o cold debriefing, a seconda che, rispettivamente, trascorrano minuti, ore o giorni.

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Occorre adeguata organizzazione

Per organizzare un buon debriefing è meglio seguire alcuni suggerimenti: trovare uno spazio adeguato all’interno della clinica, stabilire un tempo congruo all’esperienza che si vuole fare e ai tempi del lavoro delle persone che si vogliono coinvolgere, e preparare almeno una domanda per ogni fase.

Il setting nel quale si svolge dev’essere un posto tranquillo e dove ognuno possa sentirsi a proprio agio, in un clima di accoglienza, rispetto e supporto. Per gli operatori in ambito medico umano gli hot e warm debriefing vengono preferibilmente fatti sul luogo dove si è gestita l’emergenza, mentre i cold qualche giorno dopo, in aule di formazione. È preferibile invitare non più di dieci persone per gruppo, numero oltre il quale occorrerebbe un altro facilitatore oppure una parte di partecipanti dovrebbe presenziare solo in modalità “osservatore”. Nei gruppi allargati, comunque, la presenza di membri del team che non hanno partecipato direttamente all’esperienza critica può stimolare una rielaborazione maggiormente oggettiva da parte di chi, invece, ne è stato coinvolto.

Di norma gli hot e warm debriefing vengono condotti su poche persone e possono avere una durata molto breve, dai 5 ai 10 minuti, mentre ai cold partecipano più persone e per un tempo che può variare dai 30 minuti all’ora e mezza. Anche il cold debriefing va comunque organizzato subito dopo un periodo particolarmente stressante e comunque prima che la “tempesta emotiva” si sia completamente placata. Nell’allestire l’aula si dovrà avere l’accortezza di disporre le sedie a formare un cerchio in modo che tutti si possano vedere e sentirsi parte di un gruppo.

Nel gruppo allargato può andare bene la “modalità acquario”, ossia allestire due cerchi concentrici di sedie e riservare i posti del cerchio esterno ai partecipanti che non hanno vissuto direttamente l’esperienza ma che possono presenziare come osservatori, oppure interagire previa richiesta di spostarsi temporaneamente *nell’anello di sedie più interno.

Debriefing: come procedere

Prima di iniziare l’attività è importante spiegare ai partecipanti quanto sta accadendo, ossia che ci si sta regalando uno spazio dove scoprire assieme quello che è successo e cosa significhi per ciascuno. Immaginando che la fotografia di quanto accaduto sia un puzzle, la si potrà ricostruire nitidamente solo raccogliendo le singole tessere che ciascuno offrirà, riflettendo sull’esperienza comune prima che ognuno la trasformi in una realtà “privata”.

A questo punto si procede con la fase della descrizione che si realizza formulando alcune domande che fungano da stimolo per narrare l’esperienza: “Cosa è successo? Quali decisioni avete preso e perché? Quali sono state le vostre frustrazioni? I vostri successi? Come vi siete sentiti? Quali emozioni avete provato?” Prima di passare alla seconda fase del debriefing può essere necessario un piccolo break, utile per prepararsi alla parte analitica ed evitare di dilungarsi eccessivamente nella narrazione.

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Un buon debriefing quindi esplora sia gli aspetti emotivi che quelli strettamente legati alla pratica clinica, permettendo contemporaneamente di rielaborare l’esperienza psicologica connessa all’emergenza – disinnescandone gli aspetti più emotivamente impattanti – e di individuare aree di miglioramento nella pratica clinica che è stata fornita durante l’intervento di cura. I debriefing effettuati in ambito sanitario nel periodo immediatamente successivo all’evento emotivo vengono chiamati defusing e servono prevalentemente alla gestione emotiva dello stress psicologico appena subito.

La seconda fase, quella dell’analogia/analisi, inizia ponendo una domanda: “Dei diversi temi-situazioni- problemi che sono emersi, quali ritenete siano cruciali? Quali aspetti della situazione pensi di avere gestito bene? Quali altri aspetti pensi che dovresti cambiare? Da quanto hai capito come puoi comportarti la prossima volta?” Prima di passare alla fase conclusiva è importante chiedere ai partecipanti se vi sia qualche argomento che non si è discusso che ritengono importante discutere.

L’ultima fase è chiamata applicazione perché serve ai partecipanti per riassumere quanto appreso, cosa si porteranno a casa dall’incontro e come metteranno in pratica i nuovi apprendimenti.

La tempistica del debriefing, non solo processo analitico

Va ricordato che se di norma il cold debriefing dovrebbe concludersi in 30-45 minuti, mentre per un hot o worm debriefing possono essere sufficienti anche 5-10 minuti, il tempo corretto è sempre quello dettato dal fluire delle emozioni e dalla comprensione empatica di ognuno nei confronti degli altri. Starà alla sensibilità emotiva del dott. Rossi capire quando terminare l’incontro di debriefing e alla sua capacità manageriale come promuoverlo e recuperare una finestra temporale opportuna nella frenesia delle attività del suo Pronto Soccorso veterinario.

Perché il debriefing non è solo un processo analitico al termine di un’esperienza utile a dare nuove interpretazioni dei fatti e direzioni di senso, ma uno strumento che consente di aumentare la consapevolezza sui propri agiti in una dimensione collettiva, molto utile anche ai giovani veterinari per accrescere le proprie competenze, migliorare le capacità pratiche e l’autoriflessione e sentirsi parte di un team affiatato nel quale anche la dimensione emotiva trova una condivisione e la possibilità di esprimersi senza implodere.


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