La giornata sembra non finire mai: sono le nove di sera e Rossi ha ancora due clienti che lo aspettano in sala d’attesa e il “solito imprevisto” paziente critico di fine serata. “Dovrei organizzare meglio gli appuntamenti e lasciare un po’ di spazio anche per me!”, sussurra con poca convinzione un veterinario esausto.
Noi esseri umani siamo strani animali. In alcuni momenti sappiamo essere geniali e coraggiosi, in altri tutto il contrario: ottusi e codardi. A volte ci spaventa un pensiero o anche una semplice parola e, tra le tante, quella che lo fa più di tutte è CAMBIARE! Nei confronti di questa parola nutriamo lo stesso fascino che proviamo pensando ai paesaggi vulcanici della Nuova Zelanda, ne siamo attratti, sono luoghi dove prima o poi vorremmo andare, ma rimandiamo il viaggio perché l’ambiente è – si bellissimo – ma ci sembra così ostile.

“Si, vorrei proprio, ma…” rispondiamo quando qualcuno ci propone la sua soluzione a qualche nostro problema, una soluzione che ci chiede di cambiare qualche cosa nel nostro modo di comportarci o pensare.
Un equilibrio assai precario
Viviamo quotidianamente dentro una sorta di equilibrio che ci sembra stabile, ma in realtà è assai precario. Come tutti gli altri organismi viventi cerchiamo di mantenere una condizione di omeostasi e ogni volta che qualcosa perturba il nostro equilibrio, che provenga dal nostro mondo esterno o interno, avvertiamo subito l’impulso di rifugiarci nelle nostre certezze.
Facciamo come il bambino quando esplora un nuovo ambiente: se avverte un rumore improvviso si spaventa e corre dalla mamma a cercare conforto nelle sue carezze. Allo stesso modo davanti a un mutamento improvviso, o anche al suo ologramma proiettato dal futuro, corriamo a farci cullare nella sicurezza del “mondo che conosciamo”. Il cambiamento ha lo stesso fascino di una foresta vergine: ci attrae e desideriamo esplorarla, ma ci sentiamo più sicuri se indugiamo a immaginarne l’origine dei suoni e scrutarne la vegetazione lussureggiante ritti in piedi, sullo zerbino, davanti alla porta di casa.
È innegabile: anche noi, come il dottor Rossi, siamo esseri abitudinari. Lo verifichiamo ogni volta che ci laviamo i denti, apparecchiamo la tavola, ci vestiamo o guidiamo l’auto. L’abitudine non solo ci fa sentire “al sicuro” ma permette al nostro cervello di occuparsi di altre questioni. Un comportamento abituale diventa routinario quando passa in modalità automatica e consente alla nostra mente di fare qualcos’altro, mentre il corpo procede nelle sue azioni.
Se provassimo a passare in modalità manuale – provando ad esempio a lavarci i denti con la mano che abitualmente non usiamo – ci accorgeremmo come il cervello smetta di spaziare nei mondi del futuro, dove regnano le preoccupazioni o in quelli del passato, dove governa il rimorso, per dedicarsi al presente, una dimensione temporale nella quale solitamente non viviamo.
L’abitudine “ci tiene a galla”
Quindi sì, siamo esseri abitudinari e anche se ci crediamo molto più complicati – a pensarci bene – il nostro “carattere” coincide semplicemente con una serie infinita di abitudini che abbiamo accumulato durante la nostra vita e che, nel tempo, hanno messo robuste radici. Non solo abitudini a fare le stesse cose quasi ogni giorno, ma anche abitudini nel pensare, parlare con noi stessi, interpretare e dare un senso a quanto ci accade, a quello che fanno o dicono gli altri e al mondo in cui viviamo.

Abitudine è, da un lato, tranquillità, sicurezza e benessere, ma dall’altro è immobilità, rigidità e un quieto accontentarsi. È il salvagente al quale aggrapparsi quando nel mare dell’incertezza si scatena una tempesta. Qualcosa che ci tiene a galla, impedendoci di affogare nelle profonde acque dell’incognito, ma che a lungo andare ci impedisce di apprendere l’arte del nuoto e poter così giungere a nuovi approdi.
Paura di provare paura
Quando si parla di cambiamento la paura fa novanta. Paura di fallire, di essere giudicati, ripudiati, umiliati. A volte è solamente paura dell’ignoto, di perdere il controllo, ma altre più semplicemente è paura di provare paura. Se Rossi vorrà migliorare la sua qualità della vita dovrà seriamente riflettere sul perché non riesce a diventare la persona che davvero desidera essere. Cosa realmente glielo impedisce?
Esistono alcune grandi verità riguardo il cambiamento comportamentale.
- La prima è che per abbandonare le proprie abitudini ci si deve impegnare con tutte le energie disponibili.
- La seconda è che il cambiamento si produce solo dall’interno. Lo sperimentiamo ogni giorno. Nessuno può farci cambiare idea se non siamo noi stessi a volerlo, tant’è che davanti alla supplica dell’amico, del partner o del collega “Vorrei che tu fossi…facessi…” si attiva immediatamente il nostro sistema anti-persuasione e di conseguenza tendiamo a fare perfettamente l’opposto di quanto ci viene richiesto, secondo l’insana abitudine di rimanere refrattari ai “buoni consigli”.
- La terza verità è che dobbiamo agire il cambiamento dentro un mondo imperfetto, in un ambiente in gran parte fuori dal nostro controllo.
Gli attivatori psicologici: sabotatori del tentativo di cambiamento
Quando progettiamo di cambiare un qualcosa nella nostra vita, troviamo immediatamente una manciata di buonissime ragioni per non farlo. Sono delle convinzioni che scattano come la molla di una trappola sabotando il nostro tentativo di cambiamento e giustificando ogni nostro fallimento o stato di inerzia. Queste prendono il nome di attivatori psicologici.
Di seguito qualche esempio:
- sovrastimiamo frequentemente la nostra forza di volontà e capacità di autocontrollo, ignorando che l’ambiente nel quale viviamo nasconde mille insidie capaci di azzerare queste forze;
- per ogni nostro scivolone momentaneo abbiamo la scusa del “giorno speciale”, e conferiamo ad alcuni eventi eccezionali, che sia il nostro compleanno o qualche altra ricorrenza, la capacità di introdurre un certo grado di incoerenza nel nostro agire risoluto e bloccare il cambiamento già sul nascere (la frase tipica è: “Ma si dai, per questa volta farò un’eccezione!”);
- nel confronto con gli altri ci consideriamo migliori e quindi il pensiero “lui è peggio di me e dovrebbe migliorare” ci immunizza dal dover cambiare;
- per tutti i compiti che riteniamo elementari pensiamo di non avere bisogno di una struttura che ci aiuti a eseguirli e abbiamo due convinzioni fortemente limitanti: disprezziamo la semplicità (riserviamo la nostra attenzione solo alle cose complicate) e ci infastidisce dover seguire regole precise (alzi la mano chi legge i libretti delle istruzioni). Fondamentalmente siamo poco umili e senza umiltà non si cambia;
- sottovalutiamo la quantità di tempo che serve per fare qualcosa e siamo convinti che esso sia una risorsa inesauribile. In realtà abbiamo solo poco più di ottomila ore all’anno, che diventano quasi seimila togliendo quelle in cui dormiamo. Questa convinzione crea le basi del nostro procrastinare irrefrenabile;
- non mettiamo mai in conto gli imprevisti o i fattori di distrazione che inevitabilmente il futuro ci riserverà. E ce ne riserverà molti, stiamone certi;
- crediamo fortemente che un evento clamoroso cambierà la nostra vita e noi, prima o poi, avremo una sorta di illuminazione. Questo si chiama pensiero magico e alimenta la credenza che si possa avere un’esperienza istantanea di profondo cambiamento. È però assodato che ogni cambiamento che si basi sull’impulso invece che sulla strategia non può durare a lungo;
- crediamo che nel raggiungere i nostri obiettivi sia le energie che l’entusiasmo non ci abbandoneranno mai, anche se in realtà l’autocontrollo è una risorsa abbastanza limitata, il processo di cambiamento è lungo e la stanchezza, prima o poi, si farà sentire;
- siamo certi che il cambiamento, una volta raggiunto, sia per sempre. Pensare che raggiungere un obiettivo possa risolvere ogni cosa crea un falso senso di stabilità. La verità è che eliminare vecchi problemi semplicemente ne crea di nuovi. Posso, infatti, essere felice per la mia nuova e così ambita posizione lavorativa, ma una volta insediato arriveranno le preoccupazioni del dover essere all’altezza dell’incarico e le responsabilità del nuovo ruolo;
- pensando al futuro non mettiamo mai in conto gli imprevisti o i fattori di distrazione che inevitabilmente incontreremo. Spesso esiste un’elevata probabilità che si verifichino tutti quegli eventi a “bassa probabilità”;
- siamo stati educati a pensare che i nostri sforzi verranno riconosciuti e ricompensati, nella credenza di base che la vita sia “giusta”. La legge della realtà ci insegna il contrario e ogni nostra aspettativa delusa dal vedere ignorate le regole della “giustizia cosmica” ingrasserà la palude del risentimento;
- temiamo che cambiando possiamo “non riconoscerci più” e perdere noi stessi. Da ciò l’ostinazione a rimanere “sempre gli stessi” per conservare l’immagine che abbiamo di noi, la nostra identità, dimenticandoci che il modo di definire la nostra immagine è solo uno tra i tanti possibili.
In parole povere, pensiamo di saperci valutare con giudizio e obiettività, ma nei fatti ci sovra o sotto stimiamo con grande frequenza, sbagliando grossolanamente. Se il dottor Rossi vorrà diventare il “professionista organizzato e sereno che trova il tempo per coltivare anche le proprie passioni” che ha in mente, dovrà prima di tutto individuare tutti quegli attivatori psicologici che lo tengono intrappolato nei vecchi comportamenti, e solo dopo potrà procedere lungo la strada del cambiamento.
La mente collabora poco al cambiamento
Sembra incredibile come la nostra mente, uno strumento che nell’evoluzione della vita umana si è dimostrato così prezioso nel fare adattare la specie alle richieste dell’ambiente, sostenendo sia grandi che piccoli cambiamenti, sia così poco collaborativa quando il bisogno di cambiare origina da dentro di noi.
La professione medico veterinaria ha vissuto in questi ultimi anni degli stravolgimenti epocali nelle conoscenze, negli strumenti, nell’organizzazione e nel modo di praticarla. Ai veterinari di oggi la società richiede conoscenze e competenze sempre nuove e aggiornate alla velocità supersonica dei mutamenti che impone la tecnologia. Tutto quello che ci circonda ci chiede di cambiare perché è in continuo e inarrestabile movimento.
Come esseri umani, nella dolce comodità delle nostre abitudini, sappiamo che cambiare non è affatto facile. Il solo pensiero di farlo scatena emozioni che ci mettono a disagio, che ci convincono a rimanere nello stato di malessere che conosciamo, anziché incamminarci lungo un sentiero insolito e sconosciuto. È innegabile che i pensieri e le emozioni che proviamo in ogni momento influiscano enormemente sul nostro modo di vivere e agire nel mondo.
Allo stesso modo le certezze che ci siamo costruiti negli anni, attraverso il nostro personalissimo modo di “sperimentare la vita”, ci sussurrano di non lasciare la via vecchia e conservare quell’equilibrio che abbiamo raggiunto così faticosamente, stazionando nell’illusoria quiete di uno status quo dove la lamentazione diventa padrona di casa.
Ma se per il nostro benessere è così importante cambiare, che cosa ci impedisce di farlo? Abbiamo visto che portiamo in dotazione tutta una serie di abitudini e convinzioni che non ci aiutano certo ad aggiungere molte novità alla nostra vita e così, alcune volte, abbiamo l’impressione di trovarci nella palude della noia ad ammirare un orizzonte ignoto e lontano.
Il desiderio di liberarci può anche essere forte, ma senza la giusta determinazione gli stivali affondano sempre di più nel fango che si crea ogni volta; tentiamo di uscirne svogliatamente finché, alla lunga, svincolarsi dal pantano diventerà impossibile. A quel punto diciamo all’amico che ha catturato l’infelicità nei nostri occhi: “Ma si, non mi lamento, alla fine è la cosa migliore e in giro c’è chi è messo peggio!“
Cosa ci impedisce di cambiare?
Questo comportamento dimostra che l’essere umano non è razionale, ma razionalizzante, ossia decide sulla base delle sue emozioni (e non sul risultato di un ragionamento) ma poi trova scuse “ragionevoli” (razionalizza) per giustificare, a sé stesso e agli altri, la sua decisione sbagliata o, per meglio dire, il suo “colpo di genio”!
Purtroppo, oltre a ciò che dipende strettamente da noi, dobbiamo tenere in considerazione un altro acerrimo nemico del cambiamento: l’ambiente. Ogni nostro comportamento è, infatti, un’aberrazione innescata dall’ambiente. Crediamo di controllarlo quando, in realtà, diventiamo vittime del suo potere spietato. Un ambiente che, sempre per le convinzioni di prima, tendiamo a interpretare in modo erroneo.
Quando, dopo mille fatiche, abbiamo deciso di realizzare un cambiamento in qualche aspetto della nostra vita, ecco che succede qualcosa che ci mette i bastoni tra le ruote, impedendoci di mutare o portandoci molto lontano da dove saremmo voluti arrivare.
Ogni volta che l’ambiente cambia, anche il nostro comportamento ne viene alterato. L’ingresso in un nuovo ambiente modifica anche il nostro comportamento: si pensi al differente modo di comportarci che abbiamo dentro le mura di casa, dal meccanico o entrando in ambulatorio coi nostri colleghi. Basta una piccola variazione dell’ambiente per trasformarlo in uno scenario catastrofico. La temperatura non idonea di una sala d’attesa può raggelare o riscaldare gli animi di chi aspetta per entrare in visita.
Basti pensare che alcuni ambienti vengono progettati appositamente per spingerci ad agire contro i nostri stessi interessi; pensiamo a come è organizzato un centro commerciale ad esempio: ogni cosa è studiata per “farsi desiderare ed essere comprata”. L’ambiente influenza quindi le nostre decisioni e ci spinge a seguire i nostri desideri immediati, ma non a operare quelle abitudini che ci porterebbero beneficio nel lungo termine.
L’ambiente ci spinge a seguire i nostri desideri immediati
La sera, in una camera da letto col televisore, tendiamo a seguire una serie che ci piace rimandando a chissà quando una bella dormita. Spesso non siamo in grado di riconoscere come l’ambiente condizioni le nostre abitudini e manchiamo di autodisciplina. L’ambiente è quindi tutt’altro che statico poiché cambia in continuazione, ma quello più pericoloso non è il macro-ambiente, bensì ogni più piccolo e specifico contesto dove interagiamo poiché ogni situazione nuova nella quale entriamo è una trasformazione che per immersione “contagia” anche noi.
Potrei adirarmi e comportarmi aggressivamente solo in una certa situazione, ad esempio quando alla riunione partecipa anche il collega anestesista che non tollero più. Se vogliamo che la nostra barca del cambiamento giunga nel porto che desideriamo, dobbiamo diventare consapevoli del nostro comportamento e di come l’ambiente ci possa trasformare in qualcos’altro. Da questa consapevolezza nasce l’azione correttiva e si attiva un comportamento positivo.
Meccanismi di attivazione costante: gli attivatori comportamentali
L’ambiente è quindi un meccanismo di attivazione costante (attivatore comportamentale) che dobbiamo tenere in considerazione perché se non lo facciamo sarà lui a considerare noi, trasformandoci in individui che non riconosceremo più. In generale un attivatore comportamentale è qualunque stimolo in grado di influire sul nostro comportamento e può essere:
- diretto o indiretto: se provoca un cambio immediato del comportamento (un tizio che ride mi scatena un sorriso improvviso) oppure dopo un certo tempo (una foto mi fa pensare a una certa persona, che deciderò di contattare);
- esterno o interno: se proviene dall’ambiente (sensi) o dai nostri pensieri (o sentimenti);
- conscio o inconscio: se ci rendiamo conto di come plasma il nostro comportamento (so che un ferro rovente non va toccato) oppure ci cambia inconsapevolmente (se parliamo di una giornata uggiosa ci sentiamo tristi);
- prevedibile o inatteso: se ci aspettiamo la sua influenza (un tizio indisponente sappiamo già che ci farà arrabbiare) oppure ci prende di sorpresa provocando un comportamento inaspettato;
- incoraggiante o scoraggiante: se ci stimola a fare (o continuare) oppure all’inerzia (o a interrompere);
- produttivo o controproducente: se ci fa fare un passo in avanti o indietro verso la persona che vorremmo diventare.
Gli attivatori, di per sé, non sono né buoni né cattivi, tutto dipende da come noi vi rispondiamo. Una madre “molto” amorevole può fare sentire uno dei due figli adorato e l’altro asfissiato. Sulla base di queste due ultime coppie di attivatori è possibile allestire una matrice che esprime la costante tensione tra quello che desideriamo e ciò che ci serve: vogliamo gratificazioni a breve termine, ma ci servono benefici a lungo termine. Questo conflitto costante ci lacera e permea ogni cambiamento in età adulta.
Siamo noi a decidere cosa rende incoraggiante uno stimolo
In funzione dell’esperienza di vita di ciascuno e, quindi, delle proprie convinzioni, una stessa coppa di gelato potrebbe ingolosire l’uno e nauseare l’altro. Allo stesso modo decidiamo se uno stimolo è produttivo. Pensiamo allo stimolo-attivatore della “sicurezza economica”: a qualcuno un aumento di stipendio consente di costruirsi una casa, a qualcun altro di andare al casinò: stesso attivatore (soldi) e stesso obiettivo (sicurezza economica), ma risposta diversa (investimento vs fallimento).
Il conflitto tra queste due istanze contrapposte può portarci, nella migliore delle ipotesi, verso ciò che vogliamo (incoraggiante) e ciò che ci serve (produttivo), nella peggiore al suo esatto contrario. Queste situazioni “estreme” accadono raramente, poiché è più frequente che scegliamo ciò che vogliamo, allontanandoci da quello che in verità ci servirebbe.

- Lo vogliamo e ci serve: è la situazione ideale, dove gli attivatori incoraggianti e produttivi si incontrano regalandoci gratificazioni nel breve termine e consentendoci, al contempo, di perseguire progetti nel lungo termine. Gli attivatori tipici di quest’area sono lodi, riconoscimenti, ammirazione altrui e ricompense economiche. Sono stimoli che ci fanno impegnare al massimo nel “qui e ora” e sostengono la nostra motivazione nel raggiungere obiettivi futuri.
- Lo vogliamo ma non ci serve: qui abbiamo un attivatore che ci incoraggia nell’immediato, ma è controproducente nel lungo termine. Sono i piaceri, le distrazioni e le tentazioni della vita che ci distraggono dai nostri obiettivi, come guardare una lunga serie tv (gratificazione immediata) anziché andare a dormire e risvegliarsi riposati l’indomani (maggiore lucidità sul lavoro).
- Ci serve ma non lo vogliamo: sono tutti quegli attivatori che non gradiamo ma sappiamo esserci utili quali regole, disciplina, punizioni, paura o dolore. Il dolore, in particolare, è l’attivatore scoraggiante per eccellenza, spingendoci a interrompere immediatamente un comportamento che ci fa stare male.
- Non ci serve e non lo vogliamo: include le situazioni senza via d’uscita, che ci rendono infelici e dalle quali non sappiamo come allontanarci, come isolamento, mancanza di rispetto, ostracismo e pressione del gruppo. Si raccolgono tutti i tipi di ambiente che attivano un comportamento malsano e ci conducono lontano dai nostri obiettivi, ma non sempre un attivatore produce esiti negativi. La pressione di un gruppo potrebbe spingere un giovane ad abbandonare la sua carriera universitaria, oppure motivarlo a isolarsi per continuare a studiare, una situazione poco piacevole nell’immediato ma proficua nel lungo termine.
Questi 4 quadranti rappresentano quindi quattro diversi ambienti con i rispettivi attivatori capaci di modificare il nostro comportamento in modo tale da da orientarlo verso gli obiettivi di cambiamento auspicati, possibilmente che ci servono e anche desideriamo.
Se il dottor Rossi volesse fare qualche passo in avanti sulla strada del cambiamento, nella direzione di quello che “desidererebbe diventare” dovrebbe considerare meglio questo strumento: questa griglia permette di fare un inventario degli attivatori presenti nella sua vita, renderlo consapevole dell’ambiente nel quale si trova per capire se stia operando all’interno di un quadrante produttivo o meno.
Ripetendo ogni tanto la riflessione proposta da questo esercizio si raggiunge una consapevolezza migliore del proprio grado di adattamento ambientale e delle dinamiche che tendono a trattenerci, facendo assomigliare il nostro tentativo di “spiccare il volo” verso il cielo della realizzazione al fallimentare decollo del tacchino quando si crede aquila.
Di seguito le altre avventure disponibili del dott. Rossi alle prese con le sfide della vita da veterinario: